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Le origini

Le fonti storiche, scarse, non aiutano a fare piena luce sull'origine del nome "Benestare" e sull'anno della sua fondazione. I catastrofici terremoti che, periodicamente, si sono verificati nel corso dei secoli, hanno contribuito alla distruzione di documenti e testimonianze. Unica notizia certa, riportata nel volume delle Refute dei regi quinterniani, è che Benestare, già nel 1559, era un Casale della terra di Mottabobalina, l'odierna Bovalino Superiore, allora sotto il dominio del conte Tommaso Marullo. Altre notizie vengono riportate nel Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, tomo secondo. "Benestare - vi si legge - Casale della terra di Bovalino in Calabria ulteriore in diocesi di Gerace, da cui ne dista 15 miglia. Egli è situato in una collinetta e vi si respira un'aria molto buona. Forse a cagione della amenità del luogo ebbe a sortire il suo nome. Vi sono da circa mille abitanti addetti quasi tutti all'agricoltura e alla pastorizia. Col terremoto del 1783 si rovinò in buona parte con Cirella, altro Casale di Bovalino". La supposizione del nome potrebbe essere vera, perché non si discosta molto dalle voci che sono state tramandate di generazione in generazione e che sono giunte fino a noi.Dicono queste voci che sia stato proprio il feudatario dell'epoca a chiamare Benestare quel piccolo Casale abitato da poche famiglie di pastori ed agricoltori i quali, ripetevano sempre, con l'ottimismo dei poveri, a chi chiedeva loro come stessero, le solite parole: "Bene, bene!" "Un luogo così - si dice che abbia esclamato un giorno il conte - non può che chiamarsi Benestare". E quel luogo così denominato registrò, in un arco di tempo relativamente breve, un notevole sviluppo demografico tanto che intorno alla metà del secolo XVI contava più di mille abitanti si estendeva su quasi tutta l'area dell'attuale territorio. In alcuni volumi del catasto Onciario, consultati nell'Archivio di Stato di Napoli e che risalgono ai primi anni del 1600, vengono menzionati quasi tutti i nomi delle contrade del paese. Molti di quei nomi, specialmente per quanto riguarda il centro abitato, appartengono, oggi, esclusivamente, al dizionario delle persone più anziane. I giovani non sanno che l'attuale via Umberto era il luogo dove venivano custodite le pecore e le capre e si chiamava Terrata; che il rione Sant'Anna era il Vaccarizio (Vaccaro) del paese; che Zimbegli e Zimba, oggi, corrispondono alle vie San Michele e Bernardino Telesio e al rione Beato Camillo Costanzo. Intorno alle suddette quattro località dovette svolgersi, quasi tranquillamente, la vita dei nostri avi, pastori ed agricoltori. Una vita non facile ma, certamente, meno amara di quella che sarà descritta, mirabilmente, quattro secoli più tardi, da Corrado Alvaro, in Gente d'Aspromonte.Le terre di Benestare, infatti, che costituiscono un anfiteatro naturale, sono riparate, proprio dalle ultime pendici dell'Aspromonte, dai venti del nord e sono esposte al sole dall'alba al tramonto. Il sole qui sembra essere più grande e più caldo che altrove. La mattina, appena si leva dal mare, bussa alla finestra e ti sveglia. Ti da la sensazione che esso sorge solo per te e per le tue cose. Anche la sera ti saluta prima di valicare la cima dei monti per andare a svegliare altre cose e altre genti. Le stesse sensazioni dovettero provare quei pastori che si dichiaravano sempre soddisfatti della loro condizione. "Stiamo bene - ripetevano continuamente - l'unica cosa che ci manca è una chiesa". Il feudatario Gismondo Loffredo, che da Filippo II aveva ottenuto il titolo di Marchese, esaudì la richiesta e ben presto si pose mano alla costruzione della chiesa di San Giuseppe e Sant'Antonio. Si era intorno al secolo XVI.

(Le notizie fin qui pubblicate, sono tratte dal libro "Benestare: oltre la speranza..." di Vincenzo Garreffa.