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" Nessun romano poté mai dire:

- Ieri sera sono stato a cena con i Borgia - "

(Max Beerbhom, 1872-1956, scrittore inglese)

 

 

Nell'uso corrente del nostro linguaggio si distingue tra fame ed appetito. La fame è un bisogno fisiologico di cibo. L’appetito deriva dal termine appetenza, che significa buona disposizione a mangiare, dipende dallo stato d'animo e coinvolge - a differenza della fame - il piacere del mangiare.

- La persona che soffre di inappetenza o di disappetenza ha perso questo piacere, siede davanti al cibo senza gioia e senza interesse. Raramente manifesta desideri particolari e non si lascia appetire nemmeno da preparazioni elaborate. L’inappetenza del bambino è spesso legata ad esperienze negative avute con certi alimenti nella prima infanzia. Tali avversioni perdurano poi anche da adulti e lo stesso vale, al contrario, per i cibi preferiti. La disappetenza in quanto avversione ai grassi può essere indice di un'affezione al fegato o alla cistifellea; la totale disappetenza per la carne si riscontra spesso nei soggetti affetti da tumore allo stomaco.

- Il rifiuto del cibo è la manifestazione attiva della perdita di appetito. Esso può significare, da parte del paziente (specialmente se si tratta di un anziano ricoverato), una dichiarazione di guerra contro la vita, contro una certa situazione contingente, contro certe persone. In casi estremi può equivalere ad un desiderio inconscio di suicidio.

- La fame, ovviamente, non è una malattia: infatti essa scompare con un'alimentazione corretta. Invece, una "fame da lupi" ( chiamata in medicina con vari termini quali bulimia, cinoressia, acoria, iperoressia) è spesso sintomo collaterale di determinate malattie del metabolismo, come ad esempio il diabete mellito e l’ipertiroidismo.

- Particolari voglie possono inoltre comparire durante la gravidanza oppure in momenti di crisi psicologica: sono chiaramente espressione di un tipo di fame non fisiologica, che non potrà essere soddisfatto soltanto materialmente.

- La sete funge normalmente da regolatore per l'ingestione di liquidi e si manifesta quando l'organismo avverte impoverimento idrico poiché è soggetto all'influenza della temperatura esterna, dell'umidità atmosferica, dell'attività lavorativa svolta e del tipo di cibo ingerito. Un maggiore bisogno di acqua si riscontra in determinate malattie che comportano delle perdite di liquidi come ad esempio febbre, diarrea, vomito. Si parla di disidratazione quando non vengono assorbite sufficienti quantità di liquidi: la pelle diventa flaccida e ruvida, le mucose sono secche, la voce si affievolisce, la lucidità mentale è turbata ed insorge l'apatia.

Per quanto concerne l'assunzione di cibo, nei soggetti normali il senso dell'appetito costituisce una guida istintiva nella scelta quantitativa ed anche qualitativa degli alimenti. La regolazione è dovuta al centro dell’appetito, un centro nervoso situato in una zona del cervello detta ipotalamo, che viene stimolato attraverso complessi meccanismi metabolici. Inoltre, altri fattori come ad esempio le contrazioni gastriche (in parte regolate attraverso l'ipotalamo), la distensione gastrica, il passaggio del cibo nella faringe, l'equilibrio idrico, le variazioni di temperatura ambientale ed anche fattori psicologici, ambientali e culturali, interagendo fra loro, contribuiscono a regolare l'assunzione di cibo.

 

Nei casi in cui ci sia un'alterazione diretta o indiretta di uno dei suddetti meccanismi, si verificano condizioni idonee a generare malnutrizione.

Lo stato di nutrizione carente è caratterizzato dalla mancanza di pannicoli adiposi sottocutanei. Il peso è inferiore alla norma e il paziente è stanco, fiacco e poco efficiente. Si parla di cachessia quando si è in presenza di grave deperimento organico, debolezza fisica e psichica e manifestazioni di astenia generale cioè "stanchezza" di tutti gli organi. Per l'assenza di pannicoli adiposi la pelle diventa flaccida, rugosa, il viso è incavato. La perdita di peso si riscontra in molte malattie come, ad esempio, in quelle infettive, nelle affezioni gastrointestinali, nelle disfunzioni endocrine, nella tubercolosi e nei tumori maligni.

L'obesità o adiposità è caratterizzata da un eccesso di tessuto grasso distribuito più o meno uniformemente nel corpo. Le complicazioni derivanti dall'obesità sono numerose e nella maggior parte dei casi si ha un sovraccarico degli organi vitali; possono insorgere pericoli di disturbi organici del sistema cardiocircolatorio, disturbi metabolici, problemi per l’apparato scheletrico ecc. L'eccesso di peso è quasi sempre dovuto ad abitudini alimentari errate o ad un eccessiva ingestione di cibo: solo raramente è conseguenza di disturbi ghiandolari.

Sia l'alimentazione carente sia l'assunzione in eccesso di alimenti sono da considerare stati di malnutrizione.

Nella maggior parte dei paesi del mondo prevale la malnutrizione da carenza di alimenti e nonostante specifici programmi alimentari sostenuti da governi e organizzazioni internazionali (F.A.O.) la situazione stimata è di circa 500 milioni di persone sottoalimentate nel mondo. La situazione è particolarmente grave in Africa, in Asia e nell'America centrale e del sud, dove esistono ancora malattie da carenza di vitamine, proteine e minerali. Alle nostre latitudini si trovano abbastanza frequentemente stati carenziali di acido folico (una vitamina) e di Ferro nei bambini, negli anziani e nelle donne specie in età fertile (la perdita di sangue e quindi di Ferro, contenuto nei globuli rossi, con le mestruazioni aumenta il fabbisogno di Ferro, e quindi favorisce l'instaurarsi di uno stato carenziale) e in gravidanza dove maggiore è il rischio di anemia per le richieste di Ferro e acido folico da parte del feto.

E’ fuori di dubbio però il fatto che molto più frequentemente la malnutrizione nei paesi sviluppati, industrializzati, Italia compresa, è rappresentata dall'eccesso di alimentazione. Tale eccesso può sfociare nell'obesità come abbiamo detto, ma più subdolamente può determinare l'aumento dei grassi nel sangue che possono aumentare il rischio di infarto e di malattie cerebrovascolari (ictus). L'obesità del resto, oltre ad essere in stretta relazione con il diabete e con l'infarto sarebbe, secondo alcuni studi, correlata con una maggiore incidenza di tumori.

 

Gli obiettivi di un'alimentazione sana e bilanciata sono:

- il soddisfacimento del bisogno di cibo;

- la funzionalità degli organi preposti all'alimentazione;

- la crescita ed il mantenimento dell'organismo secondo la contingente fase di sviluppo;

- l'idoneità alla scuola, al lavoro ed alla vita quotidiana (capacità fisiche);

-       il mantenimento del peso normale.

Tali obiettivi vengono raggiunti con il giusto apporto quantitativo di tutte le sostanze nutritive necessarie alla vita: carboidrati, proteine, grassi, vitamine, sali minerali (sodio, cloro, potassio, calcio, fosforo, magnesio ecc.) ed acqua.

 

Gli alimenti, comunque, devono essere igienici, cioè devono essere:

  1. genuini,

  2. digeribili ed assorbibili,

  3. innocui.

La genuinità di un alimento sta ad indicare che le sue caratteristiche e la sua composizione sono naturali. Si può avere mancanza di genuinità per alterazione (cioè per processi naturali come ad esempio la putrefazione) oppure per adulterazione (cioè per trattamenti come ad esempio l’annacquamento del latte) oppure ancora per sofisticazione (cioè per sostituzione od aggiunta di sostanze di natura diversa, come ad esempio l’aggiunta di olio di semi all’olio d’oliva). Un alimento non genuino può anche non essere tossico, ma è sempre poco appetibile o comunque di minor valore nutritivo.

La digeribilità e la assorbibilità dei vari alimenti sono diverse in rapporto alla diversità di composizione. Non tutti gli alimenti che noi utilizziamo sono digeribili: ad esempio, la cellulosa contenuta nelle fibre vegetali non è affatto digeribile né assorbibile ma la consideriamo ugualmente utile perché stimola la normale funzione intestinale. Inoltre, anche gli alimenti digeribili contengono delle piccole parti che non vengono assorbite e sono eliminate senza essere utilizzate. I glucidi e i lipidi sono completamente digeriti ed assorbiti, le proteine un po’ meno.

L’innocuità di un alimento è data dall’assenza di germi patogeni (non devono esserci germi in origine nell’alimento stesso, come potrebbe essere il caso del bacillo della tubercolosi nel latte o del virus dell’encefalite nella carne, né germi immessi nell’alimento a seguito di manipolazioni contaminanti) o di sostanze pericolose per la salute (tossine dei funghi, tossine prodotte da fenomeni di putrefazione, insetticidi, ormoni, alcuni conservanti ecc.).

 

 

Tecniche di conservazione degli alimenti

Da sempre l'uomo ha sentito la necessità di conservare gli alimenti in modo tale da essere utilizzati al momento del bisogno. Oggi, specie nelle zone industriali, lo scambio continuo di prodotti alimentari da una zona all'altra, anche notevolmente distanti fra loro, rende particolarmente importante lo sviluppo di tecniche per la conservazione degli alimenti.

Il trattamento e la conservazione degli alimenti sono processi realizzati per proteggere il cibo da microbi e da altri agenti nocivi e per consentire il consumo anche non immediato del prodotto. Il cibo conservato deve mantenere un aspetto, un sapore e una consistenza gradevoli, come pure, per quanto possibile, il suo valore nutrizionale iniziale.

Molti fattori possono causare il deterioramento dei cibi freschi: tra questi vi sono soprattutto i microrganismi, come batteri e funghi, ma anche semplici enzimi, che possono modificare la consistenza e il sapore originale degli alimenti. Quindi i principali metodi di conservazione hanno l'effetto di inibire le reazioni enzimatiche o di distruggere i microrganismi, che possono essere patogeni e non patogeni per l'uomo. Anche l’ossigeno presente nell'atmosfera può però reagire con alcuni componenti dei cibi, causandone l'irrancidimento e cambiandone il colore. Inoltre gravi alterazioni degli alimenti possono essere provocate da infestazioni di insetti e roditori.

Non esiste un singolo metodo di conservazione che da solo possa preservare da tutti i rischi, a tempo indeterminato. Al Polo Sud è stato trovato del cibo in scatola che è rimasto commestibile per più di 50 anni; certamente non ci si potrebbe aspettare un analogo tempo di conservazione per lo stesso cibo in un clima tropicale.

La conservazione degli alimenti può essere attuata con mezzi fisici (riscaldamento, raffreddamento ed essiccamento) oppure con mezzi chimici (sale, zucchero, aceto, affumicatura e additivi).

 

MEZZI FISICI DI CONSERVAZIONE ALIMENTARE

  • Riscaldamento

Durante questo processo, il cibo, sottoposto a un trattamento ad alta temperatura (intorno ai 121 °C), viene liberato da tutti i microrganismi, inclusi quelli nocivi per la salute umana. La maggior parte dei procedimenti di inscatolamento industriale dei cibi si basa sul principio che la distruzione dei batteri aumenta di 10 volte per ogni incremento di temperatura di 10 °C. Il cibo sottoposto ad alta temperatura per tempi molto brevi conserva maggiormente il suo sapore originale. Alcuni interessanti processi di conservazione alimentare basati sul riscaldamento sono la pastorizzazione e la sterilizzazione

La pastorizzazione è un processo di riscaldamento di un liquido (in particolare del latte) a una temperatura compresa tra i 55 e i 75 °C per alcuni secondi, fatto per distruggere i microbi potenzialmente pericolosi. Questo processo deve il suo nome al microbiologo francese Louis Pasteur, che lo mise a punto nel 1865 per inibire la fermentazione del vino e del latte.

Per il comune latte a breve conservazione in passato è stata molto usata la cosiddetta "pastorizzazione bassa": il latte veniva riscaldato a 63 °C per 30 minuti, poi veniva rapidamente raffreddato a 45 °C e conservato a una temperatura inferiore ai 10 °C. Oggi invece si usa la pastorizzazione alta (detta anche stassanizzazione): si tratta il latte per circa 15 secondi alla temperatura di 75 °C in ambiente sigillato per evitare il contatto con l’aria.

Altro modo di trattare il latte, sempre a breve conservazione, è quello cosiddetto UHT (Ultra High Temperature, temperatura ultra alta) che consiste nell'esporre il latte alla temperatura di 90 °C per 1 secondo. La pastorizzazione alta e quella UHT a 90 gradi distruggono solo i germi in forma "attiva"; quelli per così dire "addormentati", più resistenti, restano tali finché il latte viene tenuto in frigorifero, ma si "svegliano" e si moltiplicano rapidamente non appena viene portato a temperatura ambiente. Il latte così pastorizzato può quindi essere conservato in frigorifero per 2-3 giorni; dopo questo periodo di tempo si ha comunque, anche in frigorifero, un risveglio dei germi, per cui il latte si considera "scaduto" cioè non più sicuro dal punto di vista microbiologico.

Per ottenere invece, sempre con il metodo UHT del latte a lunga conservazione è necessario esporlo alla temperatura di 150 °C per 12 secondi. Questo tipo di trattamento distrugge tutti i germi presenti, anche quelli addormentati, per cui il latte può resistere a temperatura ambiente anche per oltre 6 mesi (purché non si apra il contenitore). Purtroppo però il sistema UHT provoca nel latte gravi danni (non provocati, invece, dalla normale pastorizzazione): diminuzione della quota calorica; diminuzione del valore biologico delle proteine; riduzione marcata delle vitamine B1, B2 e C; scomparsa quasi totale degli enzimi; diminuzione e trasformazione dei grassi; parziale trasformazione del lattosio, che produce sapore di "cotto". Inoltre il calcio diventa meno assimilabile.

La pastorizzazione di altri alimenti liquidi, come i succhi di frutta, la birra e il vino, avviene invece con un riscaldamento a 70 °C per circa 30 secondi.

La sterilizzazione è una tecnica usata di solito per le conserve (vegetali, animali). I cibi vengono posti in autoclave dentro recipienti metallici sigillati ed esposti a temperatura superiore a 120 °C per più di 15 minuti. La uperizzazione è analoga alla sterilizzazione ma si ottiene con immissione di vapore a 160-170 gradi per frazioni di secondo.

 

  • Raffreddamento

Tale tecnica di conservazione alimentare comprende la refrigerazione, il congelamento e la surgelamento.

Già dai tempi preistorici gli uomini avevano imparato a conservare i cibi in grotte ghiacciate. Anche oggi tutti noi usiamo la refrigerazione in speciali "grotte ghiacciate casalinghe" chiamate frigoriferi, che hanno una temperatura oscillante tra 0 e 4 °C. Con la refrigerazione si ha diminuzione della temperatura dell’alimento con conseguente rallentamento dell'attività dei microbi e degli enzimi.

Il congelamento fu utilizzato commercialmente per la prima volta nel 1842, ma su larga scala si è affermato solo verso la fine del XIX secolo, con l'avvento della refrigerazione meccanica. Si porta l’alimento alla temperatura di 20-25 gradi sotto zero in modo da bloccare completamente la riproduzione dei microrganismi (cosa che non si ottiene con la semplice refrigerazione). Bisogna tenere presente che a questa bassa temperatura l’acqua presente nelle cellule del cibo passa lentamente allo stato di ghiaccio formando dei grossi cristalli che tendono a rompere le membrane cellulari; questi cristalli di ghiaccio quando l’alimento viene scongelato non sono riassorbiti dalle cellule del cibo stesso, per cui si ha perdita di liquidi, di proteine, di vitamine ecc. Dunque, il congelamento è una tecnica di conservazione valida soltanto per gli alimenti poveri d’acqua, come la carne.

Inoltre c’è da dire che il congelamento, anche se permette di conservare i cibi in quanto impedisce ai microrganismi di moltiplicarsi, non uccide tuttavia tutti i tipi di batteri e quelli che sopravvivono sono anche più attivi di prima e nel momento in cui il cibo viene scongelato si riproducono più rapidamente: per questo motivo un cibo scongelato non può essere nuovamente congelato.

Il surgelamento si ottiene abbassando molto rapidamente la temperatura di un alimento fresco a 80 gradi sotto zero per poi mantenerlo a 20-25 gradi sotto zero. I cibi surgelati mantengono più di quelli conservati con altre tecniche l'aspetto degli alimenti freschi. Nel surgelamento i cristalli di ghiaccio sono di dimensioni molto piccole, tali da non rovinare le cellule del cibo; quando l’alimento surgelato viene riportato alla temperatura ambiente, l’acqua di questi piccolissimi cristalli riesce a ritornare al proprio posto senza generare lesioni cellulari .

 

  • Essiccamento e disidratazione

Sebbene questi termini indichino entrambi l'estrazione dell'acqua dai cibi, nella terminologia delle preparazioni alimentari si designa con "essiccamento" il processo naturale (come ad esempio l'esposizione al sole di frutti su rastrelliere) e con "disidratazione" l'essiccamento ottenuto con mezzi artificiali (come l'utilizzo di aria calda). La "liofilizzazione" è un altro processo di essiccamento, che comporta il surgelamento dei cibi e l'estrazione di tutta l'acqua presente in essi in condizioni di vuoto spinto.

L'eliminazione dell'acqua garantisce un'eccellente protezione contro le cause più comuni di deterioramento dei cibi. I microrganismi, infatti, non possono crescere in un ambiente privo di acqua, dove l'attività enzimatica è assente e la maggior parte delle reazioni chimiche viene fortemente rallentata. Queste caratteristiche rendono preferibile la disidratazione all'inscatolamento, qualora il cibo debba essere conservato ad alte temperature.

Una volta eliminata l'acqua, l'alimento deve poi essere chiuso in un involucro che sia impermeabile all'umidità in modo che il cibo non possa riassorbirla dall'aria. Per questo la conservazione degli alimenti disidratati avviene spesso in scatole sigillate ermeticamente. Tali contenitori offrono, inoltre, il vantaggio di impedire gli attacchi di insetti e roditori e il contatto con agenti esterni come l'ossigeno e la luce.

Verdure, frutta, carni, pesci e altri alimenti, che contengono anche l'80% di umidità, con la disidratazione possono ridursi a un quinto del loro peso e a metà del loro volume iniziale.

Gli svantaggi di questo metodo di conservazione sono il tempo e la laboriosità della reidratazione, necessaria per il consumo degli alimenti. Il cibo, infatti, assorbe solo circa due terzi del contenuto d'acqua iniziale e questo fenomeno tende a conferirgli una consistenza dura e gommosa. L'essiccamento era utilizzato dagli uomini primitivi per conservare numerosi cibi, ad esempio i fichi. Per la carne e i pesci, altri metodi di conservazione come l'affumicatura e la salatura sono stati preferiti in quanto mantenevano a questi alimenti un sapore più appetibile. Ma fu solo dopo la seconda guerra mondiale che la disidratazione iniziò a prendere piede come processo industriale. Gli alimenti oggi sottoposti a questo trattamento sono limitati a latte, minestre, uova, lievito e caffè in polvere.

 

MEZZI CHIMICI DI CONSERVAZIONE ALIMENTARE

Numerose sostanze chimiche vengono utilizzate per la conservazione degli alimenti: una di queste è il sale. La salatura dei pesci e della carne suina viene praticata da moltissimo tempo, utilizzando sia il semplice sale a secco, sia la salamoia (cioè una soluzione acquosa ricca di sale). Il sale entra nei tessuti e ne cattura l'acqua, inibendo così la crescita dei batteri che provocano il deterioramento dell'alimento stesso. Per potenziare l'azione del sale negli insaccati si aggiungono sostanze chimiche come nitrati e nitriti.

Anche lo zucchero, ingrediente principale di marmellate e gelatine, è un altro conservante. Perché si abbia un'efficace conservazione, il contenuto totale di zuccheri nell'alimento deve essere superiore al 65% del suo peso finale. Lo zucchero agisce con gli stessi meccanismi del sale, inibisce lo sviluppo dei batteri dopo che il prodotto è stato riscaldato ad alte temperature.

Un altro metodo consiste nell'affumicatura, che si applica spesso a pesci e salumi. Il fumo si ottiene tramite la combustione lenta e incompleta, cioè senza fiamma, di vari tipi di legni. L'affumicatura viene effettuata non solo ai fini della conservazione, ma anche per conferire ai cibi il caratteristico profumo e sapore.

L'aceto è usato spesso con il sale e il calore per la conservazione di carni, pesci (cibi macinati), funghi ecc. Dato il suo alto grado di acidità, sufficiente ad inibire la crescita batterica, l'aceto (che contiene almeno un 6% di acido acetico) viene utilizzato come conservante soprattutto per vegetali e pesci precedentemente cotti.

La fermentazione dovuta a determinati batteri, che producono acido lattico, è alla base della conservazione di alimenti come i crauti.

Il sodio benzoato, utilizzato in concentrazioni inferiori allo 0,1%, è usato per preservare la frutta da lieviti e muffe.

Un altro metodo attualmente allo studio degli specialisti delle preparazioni alimentari è la conservazione di frutta e verdura tramite il trattamento anaerobico con gas come l'azoto o il biossido e il monossido di carbonio.

Data la sempre maggiore diffidenza dell'opinione pubblica verso l'utilizzo di agenti chimici potenzialmente tossici, l'uso di radiazioni ionizzanti può essere considerato una valida alternativa. L'irraggiamento ritarda, infatti, la maturazione di frutti e vegetali, inibisce il germogliamento di bulbi e tuberi, disinfesta le granaglie, i cereali, la frutta fresca ed essiccata, come pure le verdure, dagli insetti e distrugge i batteri presenti nella carne fresca. Tuttavia, anche la sicurezza nell'utilizzo delle radiazioni è oggetto di dibattito e pertanto il loro impiego non è per ora esteso su larga scala.

 

 

 

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