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INVECCHIAMENTO  DELLA  POPOLAZIONE :

ASPETTI   DEMOGRAFICI  E  SOCIO-ASSISTENZIALI

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"Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che, ad un certo punto, mollano il loro corpo

e quelli che lo fanno vivere, lo accettano anche se perde di freschezza, linea, elasticità.

Allora, sono vecchi bellissimi, sono pieni di luce. Sono i padroni di sé.

Se qualcosa è accaduto, se la pelle non è più liscia ed i capelli non sono più folti, è un fatto secondario.

È la storia della persona quella che conta.

Ed è bello sfidare il tempo."

(G. Albertazzi)

 

 

Come è noto, la demografia o meglio i fattori demografici influenzano le decisioni che riguardano la natura e la disponibilità dei servizi sanitari e si riflettono, indirettamente, sul benessere generale psichico, psicologico e sociale degli anziani. Dunque è innegabile che chiunque sia impegnato nell’area dell’assistenza alla popolazione anziana può operare con maggiore consapevolezza ed efficienza se dispone di adeguate conoscenze circa la dimensione e le caratteristiche strutturali di tale popolazione.

Prima di parlare del problema dell’invecchiamento è opportuno premettere alcune definizioni:

  1. la gerontologia è una scienza che studia i fenomeni dell’invecchiamento, le cause che lo provocano e le conseguenze biologiche e sociali che da esso derivano;

  2. la geriatria è una scienza con obiettivi più immediati, più pratici; si occupa della prevenzione delle malattie della senescenza, della terapia dei danni conseguenti all’invecchiamento, delle malattie senili e della riabilitazione psico-fisica dei soggetti in età avanzata;

  3. l’invecchiamento è un processo biologico universale caratterizzato da un progressivo sviluppo e da una maturazione dell’organismo dalla nascita fino alla morte (questo processo evolutivo si può applicare, oltre che al singolo individuo, anche ad una collettività o ad una società);

  4. la senescenza è l’ultimo periodo del processo biologico di invecchiamento;

  5. la vecchiaia è lo stato di età avanzata.

Coloro i quali, come me, lavorano da anni in strutture geriatriche vedono ogni giorno persone anziane e vecchie di ogni tipo. Eppure anche noi "addetti ai lavori" probabilmente ci troveremmo in difficoltà qualora fossimo chiamati a dare una esatta definizione di "vecchio", in quanto questo termine assume significati diversi in differenti condizioni. 

Facciamo alcuni esempi: tra due fratelli che hanno rispettivamente 20 e 25 anni, si dice che quello di 25 è "più vecchio" dell’altro; tra le Top Model quelle che superano i 26-27 anni già cominciano ad essere considerate vecchie; nello sport un atleta di 35-40 anni è considerato vecchio perché incapace di migliorare o anche soltanto uguagliare i risultati che otteneva in età più giovane; nell’ambiente del lavoro certi soggetti di 40-45 anni sono già ritenuti troppo vecchi per svolgere determinate mansioni, e così via.

Un’altra difficoltà nel dare un’esatta definizione di vecchio nasce dal fatto che il momento in cui inizia la vecchiaia si è notevolmente modificato attraverso i tempi.

Per esempio, secondo Ippocrate (famoso medico greco del quinto secolo a.C., generalmente ritenuto il "padre della Medicina") la vecchiaia incominciava a 56 anni, mentre per Dante iniziava a 45 anni; oggi la si fa comunemente iniziare a 65 anni.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha proposto la seguente classificazione:

 

Soggetti di età media

45 - 59 anni

Anziani

60 - 74 anni

Vecchi

75 - 90 anni

Grandi Vecchi

oltre 90 anni

 

 

 

Il problema degli anziani è, oggi, uno dei più impegnativi che la società industriale deve risolvere per i numerosi fattori che concorrono a determinarlo. Il primo di questi consiste nelle variazioni demografiche, le quali indicano un notevole invecchiamento della popolazione con modificazioni strutturali della società che hanno vistose implicazioni sul piano economico, previdenziale ed assistenziale.

L’enorme incremento demografico della popolazione mondiale si è verificato essenzialmente negli ultimi duecento anni: infatti nel V secolo d.C. gli abitanti della Terra erano stimati in soli 200 milioni; dopo ben 1.000 anni, cioè nel 1500, il loro numero era aumentato soltanto fino a 250 milioni; dopo soli altri 400 anni, cioè agli inizi del 1900, la popolazione ha invece raggiunto la ragguardevole cifra di 1 miliardo e 610 milioni; infine, dopo soltanto 80 anni, esattamente nel 1983, si è arrivati a ben 4 miliardi e 721 milioni (Tabella 1).

Secondo il rapporto stilato dai demografi delle Nazioni Unite nel 1998, la popolazione mondiale era di 5,9 miliardi di persone e ci si aspettava che raggiungesse il traguardo dei 6 miliardi entro la metà del 1999. Ogni cinque secondi nascono cinque persone e ne muoiono due: continuando con questo ritmo la popolazione mondiale nel 2040 raddoppierà e raggiungerà i 12 miliardi, nel 2080  ne conterà 24 e nel 2120 gli uomini della terra saranno 48 miliardi.

 

DATA

Popolazione

mondiale

Numero di

anni trascorsi

Aumento della

popolazione

mondiale

500 d.C.

200 milioni

1500

250 milioni

1000

50 milioni

1750

791 milioni

250

541 milioni

1900

1 miliardo

e 610 milioni

400

1 miliardo

e 360 milioni

1983

4 miliardi

e 721 milioni

83

3 miliardi

e 111 milioni

2000

oltre 6 miliardi

17

oltre 1 miliardo

e 300 milioni

 

Tabella 1

 

A questo progressivo incremento demografico si associa un aumento, sia in numero assoluto sia in percentuale, della popolazione anziana. Infatti il calo delle nascite da una parte e la riduzione della mortalità dall’altra hanno determinato un aumento progressivo della vita media, specialmente nella nazioni più progredite.

La durata massima della vita è la massima età nota, raggiunta da un individuo di una determinata specie.

La durata media della vita è invece costituita statisticamente dal numero medio di anni vissuti dalla generazione nata nel periodo preso in esame. In altre parole, la durata media della vita è l'età media alla quale ci si aspetta che un organismo muoia.

L'uomo è probabilmente l'animale a vita media più lunga di qualunque altro mammifero. La vita media degli altri animali è la seguente: elefanti 70 anni; cani 18 anni; gatti 14 anni; cavalli 20 anni; balene 50 anni; carpe 30 anni; gufi, pappagalli e aquile 60 anni; alcune tartarughe 100 anni. L'animale che vive più a lungo è la tartaruga gigante, che si pensa possa raggiungere un'età massima di circa 200 anni. La vita media di molte specie vegetali è molto più lunga di quella di qualunque animale: le sequoie, ad esempio, possono vivere per più di 3.000 anni.

Mentre la durata massima della vita dell'uomo (calcolata intorno ai 113 anni o, secondo alcuni, 125 anni) è probabilmente cambiata molto poco nel corso del tempo, la vita media si è molto allungata. Per esempio, sembra che la vita media degli uomini primitivi sia stata brevissima, forse intorno ai 15 anni (Vallois studiando 187 crani di uomini preistorici, in base alle suture craniche e all’usura dei denti, ha trovato che soltanto 3 avrebbero superato i 50 anni di vita; globalmente la vita media di tali uomini risultò essere appunto di 15 anni). Nella Grecia antica, all’epoca di Pericle (nato intorno al 500 a.C.), la vita media risultava di circa 20 anni; dopo ben 2300 anni, cioè nel 1800, la vita media è salita soltanto fino a 30-35 anni; dopo soli 100 anni, all’inizio del 1900, in Italia la vita media era arrivata a 45 anni e attualmente è di ben oltre 70 anni e cioè circa 76 per gli uomini e quasi 81 per le donne (Tabella 2).

 

 

DATA

durata media

della vita

( anni)

numero di anni

trascorsi

aumento della durata media

della vita

( anni)

preistoria

15 ?

 

 

500 a.C.

20

migliaia

5

1800

30 -35

2300

10 - 15

1900

45

100

10 - 15

2000

circa 80

100

circa 35

 

Tabella 2

 

 

 

                                           

 

 

 

La popolazione mondiale è diventata "vecchia", perché gli anziani aumentano in misura maggiore rispetto ai giovani. Inoltre, il collettivo degli anziani tenderà a diventare mediamente sempre più vecchio. Infatti, mentre la classe d’età 65-74 anni è oggi 8 volte più consistente di quanto lo fosse nel 1900, la classe 65-84 lo è 13 volte di più e la classe degli ultraottantacinquenni lo è 24 volte di più.

Ciò, tra l’altro, comporta anche il cambiamento di un importantissimo indice statistico e cioè del rapporto tra la popolazione anziana e quella attiva: mentre un secolo fa vi era un vecchio ogni 13 persone in età lavorativa, oggi tale rapporto è quasi di uno a tre, cioè attualmente c’è circa 1 vecchio ogni 3 persone in età lavorativa. In altre parole si sta sempre più restringendo la fascia di cittadini attivi su cui ricade l’obbligo del mantenimento dell’intera collettività; per tale motivo, la tendenza politica in materia previdenziale dovrebbe essere quella di un allungamento dell’età pensionabile.

Nelle diverse società storiche la vecchiaia è stata vista e trattata essenzialmente in due modi: uno, tipico delle società "giovanilistiche" che esaltano la forza, in cui i vecchi hanno scarso potere e vengono di solito emarginati; un altro in cui, invece, la vecchiaia ha molto prestigio ed è sinonimo di saggezza, intelligenza ed esperienza.  

Oggi bisogna affrontare, ciascuno nel proprio ambito (famigliare, sociale, assistenziale, politico, infermieristico, medico ecc.), i molteplici bisogni degli anziani, siano essi poveri o ricchi, autosufficienti o non, malati cronici o acuti o sani.

In modo particolare si dovrebbe tenere presente che la diminuzione della mortalità negli anziani ha oggi quale conseguenza l’aumento del periodo di vita che il soggetto trascorre come invalido.

La società è obbligata a prendere coscienza del fatto che la morte non è più il suo principale avversario: la vera minaccia è costituita dalle malattie invalidanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

Torna a "fattori demografici"   Fattori demografici - La demografia è lo studio prevalentemente statistico dei fenomeni concernenti la popolazione, la quale viene considerata sia sotto l’aspetto statico in un determinato istante (ammontare della popolazione e sua composizione per sesso, età, stato civile, professione, religione ecc.), sia sotto l’aspetto dinamico (rinnovamento continuo cui è sottoposta la popolazione per effetto delle nascite, delle morti, delle migrazioni e degli spostamenti sociali). 

 

Torna a "incremento demografico"   Incremento della popolazione mondiale -  I dati necessari per costruire le statistiche sull'incremento demografico provengono oggi dai censimenti; per analisi relative al passato,   informazioni e dati sono desunti soprattutto dagli archivi delle comunità (ad esempio quelli conservati da medici, avvocati ed  ecclesiastici). 

 

Torna ad "aumento progressivo della vita media"   Aumento della vita media -  Il tasso di natalità indica il numero di nascite avvenute in una popolazione in un certo periodo di tempo ed è generalmente espresso dal numero annuo di nati vivi ogni mille abitanti. A causa della sua generalità è considerato dai demografi un indicatore grezzo: è definito infatti "tasso generico di natalità". In base a dati disponibili nel 1997, il paese con la più alta natalità (numero di nati vivi per mille abitanti) è l’Afganistan, con 50,5; l’Italia è il secondo paese al mondo per bassa natalità (9,6), subito dietro la Germania (9,2). Il calo delle nascite è un fenomeno esteso a tutte le nazioni del mondo ed è influenzato da numerosi fattori sociali, culturali, economici e morali: introduzione di nuovi metodi di controllo della fertilità, diffusione della propaganda anticoncezionale, liberalizzazione dell’aborto, sfavorevole congiuntura economica, modificazioni morali nei confronti della sessualità anche dovute a paura di malattie infettive quali l’AIDS, disoccupazione, penuria di alloggi, crisi della famiglia nelle società industriali ecc. Quando il tasso di natalità si riduce fino al punto in cui il numero dei nati vivi è uguale al numero dei morti si parla di crescita zero (in Italia siamo molto vicini allo stato di crescita zero). Il tasso di mortalità indica il numero annuo di morti in una popolazione; si calcola come il tasso di natalità, è dato cioè dal numero annuo di morti ogni mille abitanti.In base a dati disponibili nel 1997 il paese con la più alta mortalità è la Sierra Leone con 22,9 morti ogni mille abitanti (la Sierra Leone, insieme con l’Afganistan, detiene il triste primato della più alta mortalità infantile: 154 morti ogni mille nati vivi). Paesi come Germania, Gran Bretagna e Svezia hanno una mortalità del 10,9; l’Italia, insieme a Lussemburgo e Papua Nuova Guinea, del 9,9. Nel mondo il più basso tasso di mortalità si ha invece in Venezuela, con un valore del 4,7. Il decremento della mortalità è soprattutto dovuto alla diminuzione della mortalità durante il parto, nel periodo perinatale e infantile cui si è pervenuti attraverso i progressi della medicina ( controllo di malattie quali lo scorbuto, il rachitismo, la tubercolosi, la gastroenterite, il tifo e il colera; l’uso di antibiotici; le vaccinazioni ecc.), il miglioramento delle condizioni generali di vita, nonché delle norme igieniche e del regime dietetico.

 

Torna a "due modi"     Anziani nelle diverse società - Presso i Tanga, popolo nomade delle coste orientali dell’Africa del Sud, i vecchi poveri vengono abbandonati quando il villaggio si trasferisce. Nelle isole della Melanesia, nell’Oceano Pacifico ad est dell’Australia, l’anziano riuniva il consiglio di famiglia che stabiliva il giorno e l’ora in cui egli doveva essere sepolto vivo. Presso il popolo siberiano dei Chukchee i vecchi poveri venivano uccisi alla fine di un banchetto offerto in loro onore. Numerose tribù americane e africane abbandonavano i loro vecchi in capanne costruite appositamente, lasciando loro una piccola provvista di acqua e cibo. Gli antichi Greci, iuvenilisti ed esteti per antonomasia, ritenevano la vecchiaia peggiore della morte tanto che, secondo la leggenda di Titone, nell’isola di Coo gli anziani venivano obbligati a togliersi la vita bevendo la cicuta alla presenza di tutta la comunità. Presso gli antichi Romani c’era verosimilmente l’uso di uccidere i vecchi annegandoli. 

Nelle comunità primitive, anche attualmente e non solo in epoche remote, la tradizione orale è stata ed è molto importante e dunque l’anziano viene visto come depositario del sapere e delle tradizioni antiche e spesso rappresenta la guida, il consigliere e spesso anche l’ufficiante religioso della collettività. Per esempio, presso la cultura ebraica il vecchio è circondato di grande rispetto: i comandamenti di Dio impongono di onorare il padre e la madre; nel Levitico si legge che "al cospetto dei capelli bianchi ti alzerai ed onorerai la persona del vecchio"; nel libro dei Numeri Dio dice a Mosè "radunami 70 anziani di Israele. Essi porteranno con te il peso di questo popolo e non sarai più il solo a portarlo". Nell’antica Grecia è sì vero che la vecchiaia intesa come trasformazione individuale non era certo amata ma è anche vero che gli anziani gestivano il potere e come tali venivano rispettati. Infatti nella città di Sparta c’era al potere, oltre che due re e cinque magistrati, il cosiddetto consiglio dei Geronti, composto da 28 uomini di età superiore a 60 anni eletti dal popolo e ad Atene tutto il potere era stato dato agli Arconti la cui età era superiore ai 50 anni. I Dogi veneziani erano quasi sempre persone molto anziane. Il Papato rappresenta, salvo rare eccezioni, una vera e propria gerontocrazia. Infine, anche se non si può negare che nel ‘900 le rivoluzioni siano state tutte condotte da uomini giovani (Lenin, Mussolini, Hitler, Mao-Tse-tung, Castro), è tuttavia altrettanto vero che gli uomini politici anziani hanno comunque avuto sempre un effettivo potere (Clemenceau, Churcill, Adenauer, De Gaulle, Nenni, Pertini ecc.).

 

 

 

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