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IPERTERMIA

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Inutilità delle medicine

"Prima quando si aveva una puntura di zanzara ci si grattava;

oggi ci possono prescrivere dodici pomate diverse e nessuna serve."

(Gottfried Benn, 1886-1956, poeta tedesco)

La temperatura del corpo viene mantenuta costante dalla interazione di numerosi processi che contribuiscono ad abbassarla quando supera i livelli normali e a innalzarla quando diminuisce.

 

            L'aumento della temperatura del corpo viene controllato mediante quattro meccanismi: la conduzione, per cui calore corpo­reo viene ceduto direttamente per contatto fisico con materiali a temperatura più fredda (ad esempio, la poltrona); la convezione, simile alla precedente, ma in cui calore viene ceduto dal corpo all'aria che, riscaldandosi, si allontana per essere sostituita da altra più fredda; la radiazione, calore emesso sotto forma di raggi infrarossi; l'evaporazione sulla superficie del corpo del sudore pro­dotto dalle ghiandole sudoripare, processo che avviene con assorbimento di calore.

 

La diminuzione della temperatura corporea viene compensata con un aumento dei processi metabolici e con i brividi, durante i quali avvengono contrazioni muscolari frequenti e diffuse con conseguente produzione di calore.

Oltre a questi meccanismi di regolazione automatica, la temperatura corporea è notevolmente influenzata dalle condizioni ambientali (temperatura, umidità, ventilazione ecc.) e da tutti quei fattori che possono modificare gli scambi di calore fra corpo e ambiente (indumenti, coperte ecc.).

La temperatura corporea è comunemente misurata con il termometro all’ascella o all’inguine oppure, meglio, in cavità corporee aperte come il cavo orale, il retto e la vagina.

La temperatura rettale oscilla normalmente tra 36,7 e 37,4 °C; la temperatura ascellare è più bassa di circa mezzo grado (36,1 – 36,8 °C); la temperatura orale è intermedia fra quella rettale e quella cutanea. Tra queste temperature sarebbe sempre da preferire quella rettale (o vaginale) perché rispecchia con buona approssimazione la temperatura degli organi interni.

Quando la temperatura ambientale aumenta notevolmente o aumenta molto la temperatura corporea, il meccanismo maggiormente impegnato nella dispersione del calore è la sudorazione e l'evaporazione del sudore prodotto.

La massima secrezione di sudore possibile nelle 24 ore è di circa 12 litri, con una dispersione di circa 580 calorie per litro di sudore evaporato. Se il sudore non evapora sulla superficie cutanea perché viene asciugato o perché scorre via senza evaporare, come accade nelle situazioni in cui la temperatura elevata è accompagnata da un'alta umidità, non si ha perdita di calore e la sudorazione, in queste circostanze, si risolve per l'organismo soltanto in una perdita di acqua e di sali(specialmente il cloruro di sodio).

 

La perdita eccessiva di cloruro di sodio per una rilevante e prolungata sudorazione può provocare contrazioni muscolari, talvolta generalizzate come nell'epilessia, e crampi muscolari assai dolorosi. Questi cosiddetti crampi da calore sono preceduti o accompagnati da pallore della pelle, sete intensa, nausea, vertigini, polso rapido e temperatura normale o solo leggermente elevata. Il trattamento consiste nel porre il paziente a completo riposo in un luogo fresco e nel somministrargli un'adeguata quantità di sale. Una soluzione di cloruro di sodio in acqua (1 cucchiaino in 1 litro d'acqua fresca. ma non ghiacciata) risolve la situazione. Sono anche disponibili compresse di cloruro di sodio rivestite in modo tale che il loro assorbimento avviene a livello intestinale. evitando i fenomeni di nausea che spesso accompagnano la ingestione di soluzioni saline.

Le persone esposte al calore e che sudano in modo eccessivo dovrebbero prendere qualcuna di queste compresse a scopo preventivo.

 

-     Prostrazione da calore

In condizioni di elevata temperatura si può verificare una rilevante vasodilatazione cutanea con una caduta della pressione del sangue che, per una diminuita irrorazione del cervello, può portare allo svenimento. La pelle è pallida e vischiosa, il polso è debole e frequente, le pupille dilatate; nausea e vomito di solito completano il quadro clinico. Il paziente deve esse­re sistemato possibilmente in un ambiente fresco e ventilato, messo in posizione supina con gli arti inferiori sollevati, allentato e liberato dagli indumenti più stretti, raffreddato con compresse fredde applicate alla fronte e ai polsi. Se il paziente è in grado di bere, bisogna somministrare per quanto è possibile una soluzione di cloruro di sodio in acqua (1 cucchiaino in 1 litro); buoni risultati sono  anche possibili con caffè forte freddo. Se non è in grado di bere si ricorrerà alle fleboclisi di Soluzione Fisiologica (in 500 ml di S.F. ci sono 4 grammi e mezzo di cloruro di sodio).

 

-     Colpo di calore

Questa una delle più gravi situazioni di emergenza per la quale, oltre ai primi soccorsi, è assolutamente necessario provvedere a un rapidissimo intervento medico (comunque, anche quando i soccorsi sono rapidi e adeguati la mortalità nel colpo di calore è molto alta, dell'ordine del 50 %.). Questa sindrome iperpirettica è dovuta a una insufficiente eliminazione di calore corporeo in soggetti con meccanismi termodispersivi insufficienti (cosiddetto collasso dell'apparato della sudorazione, frequente negli anziani) oppure anche in persone normali nelle quali ci sia una oggettiva impossibilità che il sudore evapori, come può accadere quando la temperatura è molto elevata in un ambiente con un alto tasso di umidità.

In generale, i soccorritori si trovano davanti un paziente collassato, con la pelle molto secca, molto calda, dapprima rossastra e poi grigiastra, espressione di una situazione particolarmente grave. Il polso è dapprima pieno e frequente, per divenire ben presto debole, mentre la respirazione rallenta. Le pupille sono dilatate e il corpo del paziente emana un odore spiacevole. Vi possono essere contrazioni muscolari e convulsioni di tipo epilettico. La temperatura del corpo aumenta rapidamente e può raggiungere addirittura i 45 °C.

Il trattamento deve portare ad un abbassamento della temperatura corporea a 39 °C il più rapidamente possibile e a qualunque costo, per evitare la compromissione dei tessuti, specialmente cerebrali. Il paziente deve essere immerso in un bagno di acqua fredda, possibilmente con l'aggiunta di abbondante ghiaccio triturato. Abbassata la temperatura a livelli di sicurezza (39 °C o anche meno) il paziente deve essere sistemato su un letto avvolto in un lenzuolo bagnato ed esposto all'azione di uno o più venti­latori al fine di aumentare l'evaporazione.

La temperatura, possibilmente rettale, deve essere controllata ogni pochi minuti e se vi è un accenno a un rialzo, è necessario immergere di nuovo il paziente nel bagno gelato. Un notevole contribuente alla diminuzione della temperatura corporea può essere dato da più clisteri a ritenzione di acqua ghiacciata.

Nel soccorrere una vittima di un colpo di calore, è opportuno ricordare che, molto spesso, questi pazienti (specialmente se anziani) hanno sofferto o soffrono di malattie di cuore per cui è prudente non far metterla in posizione reclinata: sovraccaricando il cuore, si rischia la loro vita. L’intervento medico, naturalmente, deve essere il più rapido possibile, senza comunque interrompere le pratiche di raffreddamento.

 

Si parla invece di colpo di sole quando l’esposizione diretta della testa al sole fa aumentare la temperatura locale, portando nei casi gravi anche a processi infiammatori delle meningi (membrane che avvolgono il cervello).

 

 

L’aumento della temperatura corporea al di sopra dei valori normali viene chiamato febbre.

La febbre costituisce indubbiamente uno dei sintomi più frequenti, il meglio conosciuto fin dall'antichità, il più agevolmente rilevabile con oggettiva accuratezza; tuttavia, è anche la manifestazione di cui forse meno si conoscono i meccanismi patogenetici. La temperatura del corpo è il risultato di un delicato equilibrio fra il calore prodotto dal metabolismo delle varie strutture organiche, prime fra tutte i muscoli e il fegato, e i meccanismi di dispersione. Per quanto riguarda questi ultimi, c’è da ricordare che il calore viene disperso per l’85 % attraverso la superficie del corpo, per circa il 15 % attraverso l’aria espirata e soltanto in minima parte attraverso l’eliminazione di urina e feci.

Si parla di equilibrio termico quando la quantità di calore dissipato nell’ambiente è uguale alla quantità di calore prodotta all’interno dell’organismo. Quando per qualche motivo non c’è questo equilibrio allora entrano in gioco i centri termoregolatori situati in una zona del cervello chiamata ipotalamo. Questi centri di regolazione della temperatura possono essere paragonati ad un termostato: quando la temperatura del corpo diminuisce, l’ipotalamo fa aumentare la produzione di calore mediante l'incremento del numero e della frequenza delle contrazioni muscolari (come accade nei brividi di freddo)­; quando invece la temperatura aumenta, i centri ipotalamici fanno aumentare l'efficienza dei meccanismi di dispersione (innanzitutto aumenta il flusso del sangue a livello del tessuto sottocutaneo e della cute, che funzionano come dei radiatori e cedono calore all'ambiente esterno per convezione. Importante è anche l’irradiazione, mediante la quale il calore viene ceduto sotto forma di radiazioni, come avviene da parte di una resistenza elettrica; quando convezione e irradiazione non riescono più a mantenere il passo con l'aumento della temperatura, allora l’ipotalamo ci fa sudare e l'evaporazione del sudore produce un raffreddamento di tutto il corpo perché avviene con sottrazione di calore dalla superficie cutanea.

Quando l’aumento della temperatura corporea è dovuto a malattie, i centri termoregolatori ipotalamici continuano a funzionare (tranne quando sono lesi direttamente) ma a un livello superiore rispetto alle con­dizioni fisiologiche. 

Il fatto che la febbre sia una manifestazione comune a molte malattie, anche diversissime tra loro (come potrebbero essere la tubercolosi e i tumori renali), ha fatto pensare che gli stati febbrili siano sostenuti da un unico meccanismo: la produzione da parte dei tessuti danneggiati di sostanze capaci di alterare i centri termoregolatori ipotalamici. Di fatto queste sostanze sono state in parte identificate, ma i loro meccanismi d'azione sono ancora oscuri.

Quello che è certo è che, mentre sono poche le malattie in cui è dimostrabile un vantaggio dall'aumento della temperatura corporea (neurosifilide, artrite reumatoide ecc.), quasi sempre la febbre comporta una serie di effetti non certamente favorevoli all'organismo. Nella febbre i processi metabolici sono tutti accelerati per cui gli organi possono essere considerati sotto sforzo, come è evidente nel caso del cuore costretto, per l'aumento della frequenza delle contrazioni, a un superlavoro prolungato; inoltre, la sudorazione comporta una perdita rilevante non solo di liquidi, ma anche di sali preziosi, per non dire del malessere che si impossessa molto spesso del paziente febbricitante. Dunque è naturale che l'aspirazione immediata e prevalente di ogni persona che si ammala e di quanti la assistono sia quella di ridurre la febbre il più presto possibile. Senza entrare nel merito del trattamento degli stati febbrili, va tuttavia ricordato che l'indiscriminato ricorso ai farmaci antipiretici può essere più dannoso che utile, perché essi possono mascherare l'evolvere della malattia e la valutazione degli effetti dei farmaci eventualmente prescritti per combatterla. Molto più utile è invece riuscire a distinguere i caratteri della febbre, per non drammatizzare temperature anche elevate, ma dovute a forme morbose non necessariamente gravi, e, soprattutto, non sottovalutare manifestazioni febbrili che possono essere espressione di malattie gravi.

 

Una distinzione importante deve essere fatta fra stati febbrili di breve durata e quelli che perdurano per settimane o mesi. Una febbre della durata di 1-2 settimane, che passa senza lasciare strascichi e che non si ripete sul breve periodo è destinata, il più delle volte a rimanere senza diagnosi certa. Non è il caso di rammaricarsene. Che sia di natura infettiva, batterica o virale, o dovuta ad altre cause, la messa in opera di tutti i dispositivi diagnostici per stabilirne la natura sarebbe inefficiente in termini di tempo e di denaro. Si può attribuirla, per approssimazione, ad un'infezione acuta, specialmente se presenta le seguenti caratteristiche: insorgenza improvvisa, frequentemente con brividi; febbre alta (39-40), mal di gola, rinite, tosse; malessere generale e dolori muscolari e articolari; mal di testa e fotofobia; talvolta nausea, vomito, diarrea. Non è certamente sbagliato ricorrere ad un medico, ma è ragionevole non pretendere un'immediata guarigione ricorrendo a una terapia impegnativa, ma che rischia di essere irrazionale per l'assenza di una diagnosi precisa: una corretta igiene ambientale e alimentare agevoleranno il paziente nel combattere la malattia facendo prevalente ricorso alle proprie personali risorse organiche. Tutt'altro atteggiamento deve invece essere tenuto di fronte ad una febbre anche non elevata, ma che si trascini per più di 2 settimane. In questo caso è opportuno fare tutte le indagini ritenute utili.

Di fronte alla febbre bisognerebbe assumere un atteggiamento più razionale di quello che normalmente si riscontra, nei pazienti e nei loro famigliari, nel corso di malattie febbrili e preoccuparsi più del benessere del malato che non di far scendere la temperatura ad ogni costo.

Bisogna tenere presente che fino a 39 °C non ci sono danni seri alle funzioni corporee; oltre i 39 gradi cominciano a subire dei danni le funzioni cerebrali, danni che però sono reversibili e che comunque si rendono evidenti solo a temperature di 41 - 42 gradi; quando la temperatura supera i 43 °C allora si va incontro alla denaturazione irreversibile delle proteine e conseguente morte rapida.

 

Quando la febbre è notevolmente elevata e il malato è molto sofferente, grande sollievo può essere ottenuto passando sul viso e sul corpo una spugna imbevuta di una soluzione di acqua molto fredda e sale, perché con questa manovra si consente una maggiore dispersione di calore sulla superficie cutanea. A livelli di febbre preoccupanti, oltre ai 40 °C, si può addirittura avvolgere il paziente in un lenzuolo bagnato con acqua molto fredda oppure immergerlo in un bagno ghiacciato. Di particolare importanza, in tutti gli stati febbrili, è il non far mancare mai liquidi al paziente che, a causa dell'elevata temperatura, tende a disidratarsi.

 

Infine, se la febbre è davvero alta (superiore a 38,5 – 39) e tale da compromettere le condizioni generali del paziente, si può ricorrere ai farmaci antipiretici, fra i quali emerge l'aspirina, farmaco ben noto di cui tuttavia bisogna sempre temere la tossicità e provvedere alla somministrazione nel più stretto rispetto dei dosaggi e delle precauzioni raccomandate.

 

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