L' origine  del  feudo  di  Dragonara  e  Torremaggiore  ebbe  inizio  in  Campania  con  la  creazione del 

        Ducato di Aversa, il primo Ducato Normanno in Italia.

        Nel  1025 circa,  dopo tre anni  di assenza, il XXIV  Duca di Napoli  Sergio IV ritornò  sul trono di Napoli, 

        dopo  aver sconfitto  l'usurpatore  Pandulfo Principe  di Capua, mercé  l'aiuto armato del  valoroso Capo

        dei  Normanni Rainulfo. Fu  per tale  atto di  amicizia  ed in segno  di  gratitudine che il  Duca, nel 1028, 

        diede a Rainulfo la Contea di Aversa. 

        Con  Rainulfo  eletto  a capo della  Contea aversana, vennero dalla  bassa Normandia  i dodici  figli  del 

        gentiluomo Tancredi  che  uniti  conquistarono  quanto  gli Imperatori d'Oriente possedevano  in  Puglia.

        Guglielmo  figlio  di Tancredi, nel  1043  venne  elevato  in  Matera  a  Conte  di  Puglia  ove  formò   un 

        governo   aristocratico   in   Melfi.   Arrigo  III,  Imperatore  d' Occidente,  nel 1047, non  solo  riconobbe 

        questa contea ma successivamente diede ai Normanni anche il ducato di Benevento. 

        Intanto i Normanni cacciavano i Saraceni anche dal Gargano.

        Dei figli più famosi di Tancredi, vi fu Drogone  che venne  nominato II Conte di  Puglia mentre  Umfredo

        ne  fu  il  III. Il Papa Leone IX mosse  alla conquista  di  Benevento  che  l' Imperatore  d' Occidente  gli 

        aveva ceduto, ma  i  Normanni  presero  le  difese del  Duca  Sergio  V  che vi  governava  cosicché  il 

        Papa, sconfitto, cadde loro prigioniero in uno scontro cruento in civitate.

        Papa  Leone  IX  fu così  tenuto in captività nel Castello di Dragonara, allora notevole  fortezza  Dauna,

        costruita  ( probabilmente  sui  resti  di  un  castro  romano ) da  Drogone,   secondogenito  di  Tancredi,

        da cui derivava il nome del Maniero.

        I  discendenti  di  Drogone  della  Casata  dei di Sangro,  investiti del titolo di Duca di Torremaggiore nel

        1832  ed  acquisita  Dragonara in  dote poco tempo dopo, ne  presero  possesso  intorno al 1416 come

        feudatari,  raccogliendo  un'eredità  di  domino e  potere dalle mani di  Alfonso di Aragona,  discendente 

        di  Costanza  (sopra  del  Re Pietro D'Aragona) figlia di Re Manfredi, VII  figlio di  Federico  II  di  Svevia

        e di  Bianca  Lanza. Perciò i di Sangro, provenienti dal feudo abruzzese   attraversato dal fiume Sangro

        dal  quale  avevano  preso  il  nome,  subentrarono  come    Commendatari  nei  feudi  di  Dragonara   e

        Torremaggiore, nella seconda decade della prima metà del XV secolo.

        Il Papa  Leone IX che era stato tenuto prigioniero  dai Duci Normanni a Dragonara, e  fatto   oggetto di

        particolari cure ed attenzioni durante la sua captività, in  segno  di riconoscenza  dichiarò valide tutte le

        conquiste effettuate dai vincitori. Concesse inoltre il privilegio di  imporre, nel suo Castello di Dragonara,

        la Croce in petto al Vescovo  nominato di Civitate. Privilegio  rimasto alla casata  dei Di Sangro, Principi 

        di San Severo, fino all'ultimo discendente deceduto il secolo scorso.

        Pur  resistendo le forti  mura all'incuria e all'inciviltà  degli uomini, di sì  fiero maniero dopo  tanta gloriosa 

        storia  oggi  non  rimane  nulla  dell'antico  splendore:  è decaduto  a casa  colonica, ovile  e pollaio per 

        animali da cortile.

        Comprendiamo che l'oblio della Storia  non rende superbo  il popolo delle sue passate grandezze e che 

        la trascorsa dominazione Sabauda abbia avuto tutto l'interesse ad  affossare  la  storia  di  queste terre, 

        ma  continuare ancora  oggi sulla  medesima  strada, a  noi  sembra  eccessivo,  anti-sociale  ed anche

        antieconomico. 

        Particolare curioso di questo Castello, e che ci fa supporre che fosse luogo di investiture cavalleresche

        e di cerimonie iniziatiche, è una Torre cilindrica, isolata, posta a una certa distanza dal medesimo,  però

        entro le cinta delle sua mura.

        Questa Torre, vuota all' interno, non aveva nessuna  uscita  esterna, salvo  quella  praticata  in  epoca

        recente  per  adibirla  a stalla. Perché era priva, originariamente, di entrate?  Si penetrava al suo interno 

        con scale mobili oppure, e non è azzardata l'ipotesi, esisteva un passaggio sotterraneo di collegamento

        tra il Castello  e  la  Torre ? Questa  ultima  soluzione potrebbe suggerire l'ipotesi di un estremo rifugio per

        i difensori del Castello, che li poneva al sicuro da attacchi nemici. Ma la completa assenza di aperture e

        feritoie e la passata presenza di edicole sacre  poste  tutte  intorno  alla Torre, ne  rigettano l'uso bellico

        e  difensivo. Noi  siamo  piuttosto della  opinione ch' essa fosse una sorta di " Camera Dolmenica "  per

        Misti,  dove  il  postulante  doveva  rimanervi  chiuso, per un certo tempo, prima di venire " Iniziato "  ai

        Misteri; una sorta di luogo dedicato alla riflessione    interiore sul proprio essere favorendo una specie di

       "Contatto   , di prova iniziatica da superare: come nei Misteri Eleusini; come il" gabinetto di riflessione "

        in Massoneria; come il Tempietto o Cavea sotterranea nel Tempio della Pietà dei Di Sangro.

        Immaginiamoci,  dunque,  l'importanza  di  questa  Torre  e  la  cecità  dei  tempi  di  ratio   che  l' hanno

        declassata a ovile! Ruinando sopra  gli  armenti  pensiamo  che  la  Torre  "DOLMENICA"   si  sia  fatta 

        giustizia  da  sé  di tanto oscurantismo  e ignoranza. Ma ciò non basta e da questa  pagine  sollecitiamo

        gli  amministratori  del  Comune  di Torremaggiore   di  rendersi  più sensibili  alla conservazione del  loro 

        patrimonio spirituale,  storico,  artistico  e  culturale  e  di  non continuare a far rimanere la plaghe daunè 

        come un ramo secco nella storia Universale.

 

 

 

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 Bibliografia:

 L.Sansone Vagni : Raimondo di Sangro

 Principe di San Severo;  

 Casa Editrice Bastogi, anno 1992

 

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