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Sulla violenza
di George Monbiot
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Sulla violenza

Recensione del video "Non-Violence for a Change" (Non violenza per cambiare), JustUs Productions (justus@gn.apc.org)
di George Monbiot
Pubblicato in The Ecologist, novembre 2001

Subito dopo l'attacco al World Trade Centre, ho incontrato la filosofa Paula Casal per esaminare le circostanze in cui la violenza, praticata dagli stati, da gruppi di dissidenti o da singoli individui, possa ritenersi moralmente accettabile. Il dibattito su violenza/non violenza ha costituito una disputa fondante del movimento antiglobalizzazione. A nostro parere, si apprestava a divenire la disputa fondante dell'inizio del XXI secolo e cercavamo lo strumento per navigare attraverso i campi minati dell'etica che si aprivano di fronte a noi.

Siamo giunti a definire cinque criteri generali, che è necessario soddisfare prima che qualsiasi forma di violenza contro le persone diventi accettabile. La violenza prevista deve costituire una risposta a una situazione di vita o di morte, in cui vi sia una minaccia di morte o di gravi lesioni fisiche in caso di assenza di azione. Sono stati esauriti tutti gli altri mezzi per ottenere i propri obiettivi. La violenza utilizzata deve essere la minima necessaria per ottenere il proprio scopo. Deve avere elevate possibilità di successo. Deve ridurre, invece che aumentare il conflitto violento nel suo complesso.

È chiaro che, se si applicano questi criteri, sia l'attacco terroristico contro New York che l'attacco americano contro l'Afghanistan non superano la prova. La battaglia contro Hitler supera più o meno la prova, anche se non soddisfa in ogni caso la prova del "minimo necessario" (vedi il bombardamento di Dresda). Ci sono argomentazioni morali a favore dell'insurrezione violenta in Papua occidentale (dove il governo è debole), ma forse assai meno in Tibet, dove le possibilità di successo sono molte scarse.

Per me questi criteri suggeriscono che la violenza durante le manifestazioni di piazza nelle democrazie nominali del primo mondo sono sempre inaccettabili, perché non soddisfano almeno tre dei criteri. Questo non significa che la violenza non sia mai ammissibile nelle società in cui la chiusura politica (vale a dire la fine di tutte le altre opzioni) non sia stata raggiunta. Faccio l'esempio di una persona in cerca di asilo politico che sta per essere deportata in un paese in cui c'è la quasi totale certezza che venga uccisa. Un gruppo di persone protesta e si accorge che se riuscisse a spingere via i due funzionari del servizio di immigrazione e a far entrare la persona in un taxi potrebbe salvarle la vita. Tutti e cinque i criteri sono soddisfatti: spingendo via i funzionari, forse anche con una certa dose di forza, si sta riducendo il complesso della violenza prevedibile.

Le possibilità della violenza nel mondo aumentano ed è necessario sapere quando il suo uso è o non accettabile. E, questione ugualmente importante, dobbiamo esplorare tutti i modi per evitarla, per ampliare, in altre parole, la gamma di opzioni la cui eliminazione è richiesta dal secondo criterio. Non esiste uno strumento migliore di "Non-violence for a Change", un video straordinario e commovente.

Comunemente si ritiene, a torto, che la non violenza o il pacifismo implichino la passività. Gli attivisti violenti hanno spesso dipinto i pacifisti come carne da cannone, persone che possono facilmente essere schiacciate dalla forza delle armi a cui non possono rispondere. Questo video mostra come tale immagine sia ingiusta. Le persone a cui è dedicato questo video hanno sviluppato strategie sovversive coraggiose e meravigliosamente creative.

Vediamo Ellen Moxley, una minuscola, allegra signora dai capelli bianchi, un'attivista di Trident Ploughshares, mentre sale sul laboratorio di ricerca galleggiante di Trident sul Loc Goil e getta l'intero contenuto (meno la scatola di pronto soccorso) nel mare. Sicuramente, è in parte per il loro buon umore e per la loro gentilezza (la non violenza che emana da ogni poro) che questa donna e i suoi compagni sono stati assolti, nonostante abbiano causato danni per 250 milioni di lire.

Una manifestazione organizzata dagli oppositori della diga di Ilisu che il governo turco spera di costruire con il sostegno britannico, annegando la patria culturale dei kurdi, porta gli attivisti kurdi ad unirsi agli abitanti che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case da una simile apocalisse di cemento nel Galles del nord. Il dolore storico degli abitanti del Galles si trasforma in una passione bruciante ed efficace per prevenire che la stessa ingiustizia capiti ai loro nuovi amici.

"Non-violence for a Change" mostra come il calore si trasforma in luce, come la protesta possa spiegare se stessa, come diventi una dimostrazione in entrambi i sensi della parola, come la rabbia su entrambi i lati possa essere deviata e lentamente trasformata in rispetto reciproco e anche in risoluzione: come l'addestramento e la preparazione possano rendere inabili e impotenti poliziotti, soldati e guardie di sicurezza altrimenti violenti.

Il mondo non sarà mai più lo stesso e dobbiamo riesaminare i nostri strumenti per poter esplorare e scendere a compromessi con esso. Questo video è la migliore bussola che potete acquistare.

 

Traduzione: Andrea Spila (Traduttori per la Pace)


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