© Rodolfo Calanca, 2003

 

PICCOLI, UTILI CONSIGLI PER L'OSSERVAZIONE 

DEI TRANSITI DI MERCURIO E VENERE

 

di Rodolfo Calanca

 

Filtri solari in vetro

Filtro solare in vetro di 10 cm di apertura

Transito di Mercurio del 1973

 

Si avvicinano due transiti importanti: il primo, di Mercurio atteso per il 7 maggio 2003, l’altro, rarissimo, di Venere l’8 giugno 2004 (l’ultimo era avvenuto nel lontano dicembre 1882). Entrambi si potranno osservare dall’Italia, in particolare, quello di Venere sarà il primo, dai tempi dell’invenzione del cannocchiale, ad essere visibile in tutte le sue fasi dall’Europa. Fino all’Ottocento, i transiti di Venere hanno costituito un’opportunità unica per ricavare la parallasse solare. Oggi, il principale programma di ricerca perseguibile durante tale fenomeno è l’osservazione, ad alta definizione, della black drop e del succedersi delle sue diverse fasi.

Naturalmente, l’osservazione di un transito va eseguita con le stesse precauzioni adottate per le eclissi di Sole. D’altronde, un transito produce un’eclisse: anche in questo caso, infatti, il disco del pianeta occulta una frazione, pur se piccolissima, del disco solare.

La prima raccomandazione è quindi un’adeguata protezione degli occhi. Non è mai superfluo ribadire questo concetto, anzi, occorre ripeterlo in ogni possibile circostanza perché è stato rilevato che, in ogni eclisse di Sole, fenomeno sempre molto pubblicizzato e che attira l’attenzione di un vasto pubblico, la casistica di danni alla vista, provocati dall’incauta esposizione diretta ai raggi solari, subisce un’impressionante impennata.

Per la sua rarità ed importanza storica, i media di mezzo mondo daranno al prossimo transito di Venere una forte visibilità, pertanto, saranno in molti, curiosi ed appassionati, a voler seguire direttamente il fenomeno, e tra questi la maggioranza sarà priva di qualsiasi esperienza d’osservazione astronomica. 

E’ per questo motivo che una capillare (ed insistita) informazione può certamente contribuire a ridurre il numero di persone colpite da gravissimi danni ofltamologici.

I dispositivi più sicuri per la protezione della vista sono i filtri a tutta apertura che, collocati davanti all’obbiettivo del telescopio, riducono drasticamente la radiazione solare ancor prima del suo ingresso nello strumento. I filtri in Mylar®, un film plastico alluminato con densità 5 o 6 (la prima per la fotografia classica o digitale, la seconda per il visuale), hanno prezzi contenuti ma anche una qualità ottica non eccelsa.

Sono però sufficientemente sicuri e forniscono un’immagine solare brillante e tendente al blu. Vanno usati con attenzione per la loro delicatezza, essendo costituiti da un film di pochi micron di spessore che li rende leggeri e quindi facilmente rimovibili dal loro alloggiamento, se non opportunamente fissati, anche da una semplice folata di vento.

Qualche perfezionamento al Mylar® è stato recentemente apportato da alcuni produttori (ad esempio la tedesca Baader Planetarium): il film plastico è alluminato con maggior cura ed è proposto in due diverse densità.

Molti produttori di telescopi vendono filtri solari in vetro, più costosi dei precedenti ma di qualità ottica indubbiamente superiore.

Essi forniscono un’immagine giallo-arancio a causa del particolare trattamento superficiale di metallizzazione. Preferire, anche per questi, il grado di densità ottica più indicato per il tipo di lavoro che si vuole eseguire. 

L’artificio di annerire al fumo di una candela un pezzo di vetro è una pratica assolutamente da evitare, come quella di inserire sugli oculari i filtri solari in dotazione ad alcuni strumenti dozzinali.

Esiste infatti il rischio di un’improvvisa loro rottura per surriscaldamento: si ricordi che la temperatura nel fuoco di un telescopio puntato sul Sole può raggiungere e superare i 600 °C. 

Se non si hanno particolari pretese, quasi ogni strumento ottico è adatto all’osservazione di un transito.

Per lavori visuali, fotografici o CCD di buona qualità è però consigliabile impiegare un sistema ottico chiuso, come il classico rifrattore od il più moderno catadiottrico Schmidt-Cassegrain, rigorosamente in montatura equatoriale, solida e robusta il più possibile. Saranno naturalmente avvantaggiati gli strumenti da osservatorio in postazione fissa, di solito accuratamente stazionati e con un buon inseguimento orario.

Le ricerche e le esperienze di simulazione dei transiti svolti da molti astronomi dell’Ottocento hanno dimostrato che, in condizioni di un buon seeing, la lunghezza del legamento si riduce vistosamente fino a scomparire, se il telescopio ha un diametro uguale o superiore ai 15÷20 centimetri. Tra l’altro, questa è una conseguenza prevista dalla teoria di Schaefer, il quale scrive:

 

prevedo che la goccia nera non sarà generalmente osservata [nel prossimo transito di Venere], dato che i telescopi moderni hanno aperture relativamente grandi e una buona ottica, e che gli astronomi non si recheranno in luoghi dove il Sole è basso sull’orizzonte nei momenti dei contatti [dei bordi del pianeta e del Sole].    

 

Quest’ottimistica previsione è stata in parte contraddetta da foto ed immagini digitali del transito di Mercurio del 1999, ottenute con telescopi di 20 e 30 centimetri di apertura.

Se si vuole aumentare la probabilità di vedere la goccia, si usi uno strumento con diametro minore di 10 centimetri oppure si diaframmi opportunamente un telescopio di diametro superiore. Potrebbe essere interessante poter disporre di due telescopi identici e affiancati, ma con diaframmi di diverso diametro, funzionanti a pari ingrandimenti.

Se si è astigmatici, per essere certi di vedere la goccia si osservi senza le lenti correttive.

Se, invece, la goccia non interessa, ma si dispone di un telescopio inferiore ai 10 centimetri di apertura, si può realizzare una maschera di cartone, da porre davanti all’obbiettivo, sulla quale vanno ritagliati un certo numero di anelli (10 o 15), alternati da anelli opachi di pari larghezza. 

Un’altra tecnica molto interessante, suggerita dall’astronomo Cerasky, che la utilizzò nel transito di Mercurio del 1891, è quella di installare sull’oculare una mascherina con un foro stenopeico: in questo modo si corregge l’eventuale astigmatismo dell’occhio e (probabilmente) la goccia non apparirà.

Nell’osservazione visuale, gli ingrandimenti non dovrebbero scendere sotto i 100x, o meglio ancora 150x: si avrà così una scala dell’immagine che, soprattutto durante i contatti, è sufficiente per consentire l’osservazione di minuti dettagli con una buona definizione e nitidezza.  Oculari consigliati sono gli ortoscopico a tre o quattro lenti oppure di tipo Erfle a 5 o 6 lenti, che dispongono di un buon campo piano e di un’ottima correzione delle aberrazioni. 

L’impiego della fotografia, classica o digitale, dovrebbe avere l’obiettivo di riprendere le fasi intorno ai contatti dei bordi del pianeta e del Sole con una risoluzione il più possibile elevata. Per conoscere la scala lineare “ideale” dell’immagine telescopica in una ripresa CCD (qui parliamo di camere digitali dotate di otturatore meccanico e con fotoelementi di piccole dimensioni), si deve tener conto del diametro del telescopio, del seeing e delle dimensioni dei fotoelementi.

Per tempi di esposizione  brevi, dell’ordine dei decimi di secondo, durante il quale il seeing è praticamente “congelato”, la giusta focale F del telescopio in millimetri può essere determinata con l’espressione: 

  F = Pd x D/0.0007,

  dove  Pd è il lato del fotoelemento CCD (in mm) e D il diametro del telescopio (in mm). Così, per un telescopio di 200 mm e Pd = 0.015 mm, la focale F del telescopio dovrà essere circa 4300 mm. Se invece, per un qualche motivo strumentale o meteorologico (filtro con effetto oscuratore troppo elevato, presenza di foschia, ecc.) il tempo d’esposizione dovesse risultare dell’ordine del secondo di tempo o più, allora l’effetto del seeing non può essere trascurato. Una stima ad occhio del grado di turbolenza dell’aria la si ottiene osservando il bordo del Sole. Se esso sarà molto agitato lo stimeremo intorno ai 5”-6”. L’espressione che consente di valutare la focale massima Fmax del telescopio con un determinato seeing s (si ricordi che il seeing medio diurno si aggira intorno ai 3”-5”) e tempo di esposizione superiore al secondo è:

  Fmax < 412530 x Pd/s

  Se Pd = 0.015 mm (come nell’esempio precedente), ed s = 3”, allora Fmax <2000 mm, la metà della focale calcolata per un’esposizione molto breve.

E’ buona norma evitare i tempi lunghi (nel caso del Sole, maggiori di un secondo), perché in tal caso si dovrà ridurre eccessivamente la scala immagine, salvo che in condizioni di seeing assolutamente eccezionali. Con 2 metri di focale, Pd = 0.015 mm e Mercurio in transito (il cui diametro è circa 10”), il pianeta avrà una dimensione sul CCD di soli 0.1mm, ed occuperà lo spazio di appena 7 fotoelementi, veramente troppo pochi per una qualsiasi utile analisi della black drop e dei fenomeni ad essa collegati!


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