© Rodolfo Calanca, 2003

STORIA DEI TRANSITI DI VENERE (1631-1882)

II^ PARTE: IL TRANSITO DEL 1769

di Rodolfo Calanca

 

Le esperienze acquisite durante il transito del 1761, servirono a migliorare i metodi d’osservazione per quello successivo, certamente più favorevole perché più centrale del precedente e con un effetto della parallasse assai più sensibile.

Di nuovo, le maggiori istituzioni scientifiche europee, l’Académie parigina, la Royal Society, le Accademie di Stoccolma e Pietroburgo, diedero l’impulso a spedizioni che garantirono una buona copertura delle principali fasi del fenomeno.

La Royal Society, nel novembre 1767, nominò un comitato scientifico con il compito di organizzare le osservazioni del passaggio. Esso dispose di inviare tre gruppi di osservatori, due in prossimità del circolo polare artico e un terzo nelle isole del Pacifico. A queste tre grandi spedizioni si aggiunsero quelle di Bayley a Capo Nord e di J. Dixon all’isola norvegese di Hammerfest. Ad ogni gruppo di osservatori furono assegnati due costosi riflettori gregoriani di 60 centimetri di fuoco, realizzati dal grande ottico James Short.

Con una petizione a Giorgio III, il comitato richiese un consistente aiuto finanziario, subito concesso, per una spedizione nei Mari del Sud, la più importante tra quelle promosse dalla Royal Society.

Fu subito acquistata una nave, rinominata Endeavour, per la circumnavigazione del globo e l’osservazione del transito nell’Oceano Pacifico e nominato il comandante, il tenente di vascello James Cook. Da parte sua, la Society, nella stessa riunione, conferì a Charles Green, assistente di Maskelyne a Greenwich, l’incarico di astronomo ufficiale della spedizione.

In Francia, dopo il successo del mappamondo di Delisle del 1761, Lalande decise di disegnarne uno analogo (fig….) per il transito del 1769 e Pingré, l’altro famoso astronomo francese, spronò i colleghi svedesi, danesi e russi a recarsi, ancora una volta, in Lapponia o a Torneå nel golfo di Bothnia, dove il transito sarebbe durato 5h 55m, senza farsi sfuggire l’occasione d’osservare un fenomeno così importante.

Sempre su iniziativa di Pingré fu fatta richiesta alla corte di Madrid di poter inviare una spedizione francese in California, affidata al ben noto abate Chappe, uno dei più esperti astronomi francesi, glorioso reduce dell’osservazione in Siberia del precedente transito.

L’Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo, organizzò tre spedizioni, capeggiate da Roumouski, dallo svizzero Mallet e da Pictet.

L’astronomo imperiale, il gesuita Hell, su invito della corte danese, si recò all’isola di Wardhus, nella parte più settentrionale del continente europeo. Infine, Planman, dell’Accademia delle scienze di Stoccolma collocò il suo piccolo osservatorio di fortuna a Cajanebourg in Finlandia.         

Nei principali paesi europei, Francia, Inghilterra, con esclusione della Spagna e dell’Italia (dove il primo contatto esterno era avvenuto con il Sole a quasi 3° sotto l’orizzonte), fu possibile osservare solo il primo contatto di Venere, con il Sole ormai prossimo al tramonto.

Si stima che questo transito abbia coinvolto 150 astronomi in 77 stazioni diverse, sparse in ogni angolo del globo. L’Inghilterra e la Francia impiegarono, rispettivamente, 69 e 34 osservatori, mentre nell’immenso territorio russo operarono non meno di 13 astronomi.

Al fine della determinazione della parallasse, le osservazioni più importanti furono quelle di Hell e Planman nell’estremo nord europeo, Chappe in California, Dymond e Wales nell’America del nord e Cook, Green e Solander a Tahiti.

L’abate Jean Chappe d’Auteroche, che sarà ricordato come uno dei più avventurosi e sfortunati astronomi di ogni tempo, partì da Parigi nell’estate del 1768, accompagnato dal geografo Pauly, dal disegnatore Noël e dall’orologiaio Dubois.

La sua destinazione finale era San José del Cabo in California, una località molto favorevole all’osservazione del transito, dove giunse il 15 maggio 1769. Qui alloggiò la strumentazione astronomica in un osservatorio assai ben realizzato.

Il 3 giugno, sotto un bel cielo sereno, rilevò il primo contatto esterno di Venere con il cannocchiale equatoriale, ma non osservò quella struttura a forma di croissant che aveva caratterizzato la sua sconcertante osservazione del transito siberiano del 1761.

In compenso, vide, durante il contatto interno, la black drop.

Chappe fu vittima di un’epidemia di tifo, che decimò la sua spedizione. Morì il 1° agosto  all’età di soli 41 anni.

La spedizione capeggiata dal padre gesuita Maximilian Hell, sotto l’egida della corona danese, aveva come destinazione Wardhus, località norvegese sul mare di Barents a 70° di latitudine.

Il giorno del transito, all’istante del primo contatto interno di Venere, il cielo era perfettamente sereno. All’uscita di Venere, il contatto interno dei bordi fu preceduto dall’apparizione della black drop, che si formò tra il lembo oscuro di Venere e quello luminoso del Sole.

Rientrato a Vienna il 12 agosto 1770, Hell attese molti mesi prima di dare alle stampe la sua tanto attesa memoria sul transito. Il ritardo nel comunicare le informazioni di un’osservazione di così capitale importanza scientifica, da molti ritenuto eccessivo e addirittura sospetto, fece nascere dubbi sull’onestà intellettuale del gesuita ungherese. Per questo fu attaccato da Lalande e da Pingré.

In tempi recenti, il gesuita Joseph MacDonnell sostenne la tesi del complotto contro Hell perché questi era un membro eminente della Compagnia del Gesù, a quei tempi fortemente osteggiata.

Oggi, grazie ad accurate ricerche storiche, possiamo affermare con sicurezza che il gesuita non manipolò i dati del suo registro, anche se, quasi certamente, eseguì calcoli di controllo e confronti con altre osservazioni prima di diffondere i propri risultati. 

Come abbiamo già ricordato, la Royal Society aveva acquistato la nave Endeavour per un viaggio di esplorazione intorno al mondo, al cui comando fu nominato il luogotenente James Cook. Dopo lunghi preparativi, l’Endeavour salpò dall’Inghilterra il 26 agosto 1768.

Facevano parte della spedizione l’astronomo Charles Green, Joseph Banks, un gentiluomo di larga fortuna, versato nella storia naturale, il dottor Solander, amico di Banks, e un equipaggio di settanta uomini.

Tahiti fu avvistata la mattina dell’11 aprile, con un margine sufficiente di tempo per preparare l’osservazione.

Durante tutto il mese che precedette il transito, Green portò avanti una complessa serie di osservazioni astronomiche per verificare il funzionamento degli orologi e per determinare la latitudine e la longitudine di Fort Venus, la località fortificata dalla quale furono eseguite le osservazioni.

Nei mesi successivi, Cook scoprì le Isole dell’Ammiragliato, poi quelle che, in onore della Royal Society chiamò Society Islands. Infine, circumnavigò la Nuova Zelanda e sbarcò in Australia.

Purtroppo subito dopo, a bordo dell’Endeavour scoppiò il colera e fu un’autentica ecatombe.

Lo scalo a Batavia fu quasi fatale a causa dell’acqua infetta di cui fecero provvista. L’equipaggio, decimato dalla dissenteria, perse alcuni dei suoi migliori uomini e anche Charles Green morì tra sofferenze atroci.

L’arrivo dell’Endeavour in Inghilterra, accolto con incredulità perché si riteneva ormai certa la sua perdita in una qualche tempesta nei Mari del Sud, fu annunciato dal London Evening Post del 15 luglio 1771. Il giornale ricordava che la nave aveva lasciato la madrepatria quasi tre anni prima al comando di James Cook, delle Indie Orientali.

Riprendiamo ora la narrazione delle avventure di un altro poco fortunato protagonista di questa storia, il francese Le Gentil.

Nel 1761, lo avevamo lasciato su di un’isola sperduta dell’Oceano Indiano, deluso ed amareggiato per non aver raggiunto l’obiettivo principale del suo viaggio. Ripresosi dallo sconforto, decise di rimanere in quei mari fino al successivo passaggio di Venere.

Dopo lunghe peregrinazioni, che lo portarono anche a Manila, si recò a Pondicherry in India che, dopo le vicissitudini di guerra, era tornata in possesso della madrepatria.

A Pondicherry, con i mezzi messi a disposizione dal governatore della regione, in meno di due mesi costruì un comodo osservatorio sulle rovine del vecchio forte militare, dove si trasferì per essere vicino ai suoi strumenti.

La sfortuna era però in agguato: nelle ore che precedettero l’alba del 3 di giugno accadde l’impensabile. Un forte vento e una violenta tempesta colpì la regione.

Queste furono le sue amare parole: questa è la sorte che tocca sovente gli astronomi. Ho fatto più di diecimila leghe… mi sono esiliato dalla mia patria e tutto questo per essere spettatore di una nuvola fatale, che coprì il Sole nel momento esatto dell’osservazione, per togliermi il frutto delle mie pene e delle mie fatiche.

Ritornò in Francia dopo ben 11 anni, 6 mesi e 13 ore di peregrinazioni, guerre, malattie, e brucianti delusioni professionali, fece ritorno in Francia.

L’osservazione del transito fu particolarmente sfavorevole per la maggior parte delle capitali europee, con l’eccezione di S. Pietroburgo, che ha una latitudine assai elevata e dove, nel periodo estivo, le notti sono assai brevi.

A Parigi, l’iperattivo Lalande, dall’Osservatorio del Collegio Mazarin, potè vedere Venere quando già  era sul Sole e continuò ad osservare, con grande abnegazione, malgrado la pioggia mi inondasse.

Charles Messier, scopritore di molte comete e autore del famoso catalogo di oggetti celesti che porta il suo nome, osservò il transito dalla garitta del Collége de Louis-le-Grand di Parigi, che consentiva di dominare tutto l’orizzonte. Con un piccolo telescopio di 3 pollici e un filtro, vide Venere a forma di croissant. Questa osservazione richiama alla mente, per diversi aspetti, quella di Chappe del 1761 in Siberia.    

A Greenwich, dove operavano diversi osservatori, tra i quali l’astronomo reale Nevil Maskelyne. Tutti videro la black drop, ognuno però con una durata diversa del legamento, compresa tra 10 e 73 secondi.

Di rilevante interesse le annotazioni di Maskelyne in margine al transito. Egli prestò particolare attenzione al verificarsi di eventuali fenomeni legati alla presenza di un’ombra o di una penombra che avrebbe potuto precedere Venere in prossimità del contatto esterno senza però notare nulla.

Nell’ America del Nord, John Winthrop, che aveva già osservato il transito del 1761 e, ancor prima, quello di Mercurio del 1740, si trovava a Cambridge nel New England. Con un telescopio di Short da due piedi, osservò il primo contatto interno  e misurò più volte con un micrometro obiettivo il diametro di Venere e la sua minima distanza dal centro del Sole.

In Canada, Dymon e Wales attrezzarono un punto d’osservazione sulla costa occidentale della baia d’Hudson, nei pressi del forte militare Prince of Wales, a circa 59° di latitudine nord.

 

La parallasse solare ricavata dalle osservazioni del transito del 1769

 

In Francia, il problema della parallasse fu esaminato dai soliti Lalande e Pingré ai quali si aggiunse Dionis Du Séjour dell’Observatoire parigino.

I calcoli eseguiti con il metodo di Halley, facendo uso delle cinque osservazioni complete di Chappe, Dymond e Wales, Green e Cook, Planman e Hell, secondo Lalande, portano ad un valore medio della parallasse solare di 8”.5, che lui ritenuta, incontestabilmente (come ironizza Pingré), la misura più vicina al vero.

Pingré era però in totale disaccordo con le conclusioni di Lalande che riteneva affette da un errore di almeno 0”.3.

Un altro notevole contributo al problema della parallasse provenne da Dionis Du Séjour, abile matematico in forza all’Observatoire, che rifece pazientemente tutti i lunghi calcoli richiesti dai metodi di Halley e di Delisle. In effetti, la parallasse media da lui trovata, attraverso le osservazioni dei due transiti era abbastanza accurata e variava poco, da 8”.82 per il transito del 1761 a 8”.84 per quello del 1769.

In Inghilterra, calcoli analoghi furono eseguiti da Thomas Hornsby a Oxford, ed il suo valore è abbastanza vicino a quello di du Séjour e di Pingré: 8”.78.

 

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