© Rodolfo Calanca, 2003 |
STORIA DEI TRANSITI DI VENERE (1631-1882) |
III^ PARTE: I TRANSITI DEL 1874 E DEL 1882 |
di Rodolfo Calanca |
Il
passaggio di Venere sul Sole dell’8-9 dicembre 1874
Già
nella seconda metà del Settecento erano state calcolate le circostanze del
transito del 1874. Si sapeva infatti, che la totalità avrebbe interessato buona parte dell’Asia, l’Africa
orientale e meridionale e gli Oceani Indiano e Pacifico del sud, fino alla Nuova
Zelanda. Nell’Europa meridionale e nella parte nord-occidentale dell’Africa,
sarebbe stata visibile solo la
fine, con il Sole al nascere.
L’Oceano
Pacifico occidentale, le coste orientali dell’Asia, le isole Marianne e la
Nuova Guinea avrebbero invece avuto Venere in uscita con il Sole al tramonto.
Naturalmente il fenomeno non fu visibile in nessun luogo situato ad una latitudine boreale maggiore di 68°.
Visibilità del transito del 1874 (da: S. Newcomb, Popular Astronomy). |
Per
la ricerca della parallasse durante questo transito furono indicati tre metodi
d’osservazione: fotografico, eliometrico e spettroscopico.
Il
primo di questi, quello fotografico, era stato proposto da due pionieri della
nuova tecnica applicata all’astronomia, Warren de la Rue e Bond.
In
America, Rutherfurd aveva realizzato uno strumento d’osservazione poco
convenzionale, costituito da un obbiettivo di 12 metri di focale che faceva uso
di un siderostato simile a quello realizzato da Foucault per l’Osservatorio di
Parigi.
Il
siderostato consisteva di uno specchio piano semi-argentato che rinviava i raggi
solari sull’obbiettivo posizionato orizzontalmente.
L’immagine
solare, proiettata direttamente senza l’interposizione di ottiche aggiuntive,
si formava all’interno di una camera oscura, nella quale la lastra fotografica
veniva impressionata e sviluppata.
La
tecnica fotografica preferita dai francesi nelle riprese del transito fu invece
quella classica, anche se antiquata, della daguerrotipia, mentre solo qualche
ripresa sperimentale fu eseguita con le lastre al collodio. Gli inglesi e i
tedeschi accantonarono invece definitivamente i daguerrotipi ed impiegarono le
più sensibili e pratiche lastre secche.
Il secondo metodo d'osservazione si basava sulla misura della distanza dei centri di Venere e del Sole durante il passaggio e faceva uso dell’eliometro, perfezionato dall’ottico tedesco Repsold.
Infine, il terzo metodo, quello spettroscopico, che ebbe tra i suoi promotori l'astronomo reggiano Padre Secchi, fu ritenuto particolarmente indicato per il rilevamento dei contatti esterni, anche se appariva alquanto difficoltoso posizionare con precisione la fenditura dello strumento nel punto esatto del contatto tra i due lembi. Lockyer diede una soluzione al problema realizzando una fenditura regolabile ad anello.
L’astronomo
reale G.B. Airy,
sostenitore dell’osservazione
dei transiti di Venere quale mezzo per calcolare la parallasse solare, propose
di approntare un consistente numero di stazioni astronomiche, sparse sui due
emisferi, per l’osservazione del transito del 1874.
Airy era convinto che gli sviluppi tecnici della strumentazione astronomica e i nuovi metodi matematici avrebbero consentito di ottenere un valore più accurato della parallasse solare, certamente migliore delle stime ricavate dai transiti del 1761 e del 1769.
Airy
che, oltre ad una notevole arroganza, certo non brillava per originalità, si
dimostrò inizialmente refrattario all’impiego della fotografia nelle
osservazioni del transito. Cambiò idea solamente quando il maggior esperto
inglese di fotografia astronomica, Warren De la Rue, si fece carico
dell’impegnativo compito di approntare la strumentazione necessaria.
Le località di destinazione scelte per le missioni inglesi si trovavano nell’Africa del nord, in India e nell’Oceano Pacifico.
Alle Hawaii le stazioni furono tre, mentre all’isola di Kerguelen, nell’Oceano Indiano meridionale, ve ne erano due, una a nord e l’altra a sud dell’isola.
Le
due stazioni indiane, sotto la direzione del Col. Tennant, fecero uso del
fotoeliografo di De la Rue.
Illustriamo brevemente alcuni risultati delle spedizioni inglesi.
A
Mokattam, in Egitto, F.M. Newton, con un rifrattore di 11 cm, vide un piccolo
legamento durante l’egresso di Venere.
A
Honolulu, il capitano G.L. Tupman, della marina inglese, poteva disporre di due
rifrattori equatoriali da 4.5 e 6 pollici di apertura e di due riflettori da 4
pollici. Sul rifrattore da 4.5 pollici fu installato uno spettroscopio a prismi
a visione diretta di Browning.
L’osservazione spettroscopica della cromosfera iniziò alle 2h 30m di tempo locale, in prossimità del punto previsto del primo contatto esterno. Alle 3h 14m fu rilevato il contatto di Venere.
Le
immagini del disco solare realizzate dal tenente Ramsden al fotoeliografo furono
solamente 60.
Gli
Stati Uniti organizzarono tre spedizioni nell’emisfero nord, Vladivostok,
Pechino e Nagasaki, e cinque in quello sud, all’isola Kerguelen, due in
Tasmania, Nuova Zelanda e alle isole Chatham. Il personale di ogni stazione era
costituito da un capo missione, un astronomo, un capo fotografo e due assistenti
fotografi.
La spedizione a Bluff Harbour, in Nuova Zelanda, era comandata da C.H.F. Peters, un danese emigrato negli Stati Uniti e specializzato in astronomia solare, divenuto direttore al Lichfield Observatory.
Al
fotoeliografo furono ottenute 178 immagini tra il primo e il secondo contatto e
59 di Venere sul disco solare.
La
Germania, sotto la guida di Auwers, direttore dell’Osservatorio di Berlino,
organizzò sei spedizioni che avrebbero dovuto applicare tutti i principali
metodi proposti per l’osservazione del transito: visuale, eliometrico,
fotoeliografico nonché il rilevamento degli angoli di posizione. I tedeschi
impiegarono, tra l’altro, quattro eliometri di Fraunhofer da 7.5 cm di
apertura, quattro rifrattori equatoriali da 11.5 cm e due fotoeliografi da 13.5
cm.
La
Francia, che pur usciva da una guerra sfortunata, anche in occasione di questo
importantissimo transito si organizzò con la solita ampiezza di mezzi,
attrezzando ben sei stazioni dotate di ottimi strumenti astronomici, con una
spesa superiore ai 300 000 franchi.
Le
stazioni francesi, divise in boreali e australi, avevano base a Pechino,
Yokohama in Giappone e Saigon, ed erano rispettivamente comandate da Fleuriais,
Janssen, Héraud.
Le
tre australi, all’isola di Campbell, isola di Saint-Paul e Noumea, avevano
come responsabili Bouquet de la Grye, Mouchez e André. Complessivamente, il
personale in forza alle missioni
francesi superava la cinquantina di persone, tra astronomi, fisici e tecnici.
Una delle spedizioni francesi che conseguì risultati di un certo interesse fu quella di Mouchez all'isola di Saint-Paul.
Con il rifrattore di 20 centimetri, Mouchez assistette ad un fenomeno ottico imprevisto, anche se esso era già stato segnalato nei due precedenti transiti:
Un
quarto d’ora dopo il primo contatto, quando la metà del pianeta era ancora
fuori dal Sole, improvvisamente percepii tutto il disco intero di Venere,
circondato da una debole aureola.
Turquet, che al suo fianco osservava con un rifrattore da 16 cm, non vide l’aureola intorno a Venere e fu quindi in grado di rilevare il contatto geometrico con grande precisione. All’isola di Saint-Paul furono esposti 443 daguerrotipi e 142 lastre al collodio con immagini del transito.
La
Russia, sotto la direzione di Otto Struve, organizzò ben 27 stazioni
d’osservazione, principalmente dislocate in Siberia. Essi disponevano di
strumenti di buona qualità, tra i quali spiccavano i rifrattori equatoriali di
15 e 10 cm di apertura. I fotoeliografi russi erano costruiti sul modello
inglese da Dallmeyer, mentre gli eliometri di 10 cm si ispiravano al modello
tedesco.
Arriviamo infine all'importante spedizione italiana ottimamente organizzata da Pietro Tacchini con l'appoggio di padre Angelo Secchi.
La
spedizione, con destinazione Muddapur nel golfo del Bengala, fu gestita in modo
efficace dal dinamico Tacchini, astronomo all’Osservatorio di Palermo.
Egli,
insieme ad Secchi, era tra i pochi astronomi che, anche a livello
internazionale, sostenesse l’impiego della spettroscopia per i contatti di
Venere sul Sole. A tal proposito così scriveva:
dalle ricerche spettrali fatte sul Sole, specialmente dalle specole italiane, ne è già nata la convinzione per diversi astronomi, che l’antica maniera di osservare i contatti debba cedere il posto al nuovo metodo offerto dalla spettroscopia.
E' opportuno ricordare che alla seconda metà dell’Ottocento, l’Italia era all’avanguardia nello sviluppo delle tecniche spettroscopiche applicate alle ricerche solari.
Padre Secchi, per stimare i contatti esterni durante il passaggio di Venere, aveva proposto l'uso di un cannocchiale di buona potenza dotato di uno spettroscopio prismatico in grado di mostrare separate le righe solari D’e D’’ di Fraunhofer. In aggiunta, all’interno del tubo del cannocchiale, egli suggeriva di inserire un prisma a visione diretta prima della fenditura dello spettroscopio.
Il
suggerimento di Secchi fu immediatamente accolto da Tacchini, che si propose di
osservare il transito sia con la tecnica tradizionale sia con i nuovi apparati
spettroscopici.
Il
16 ottobre 1874, a Venezia si imbarcarono, oltre a Tacchini, Alessandro Dorna,
dell’Osservatorio di Torino, Antonio Abetti dell’Osservatorio di Padova ed
il tecnico Cognato.
A Brindisi, si imbarcò invece Carlo Morso, un appassionato che aveva
chiesto di far parte della spedizione.
La strumentazione astronomica era costituita da cinque cannocchiali acromatici, con aperture da 95 a 162 millimetri, alloggiati in strutture in legno ricoperte di tela. Vi era inoltre una larga disponibilità di spettroscopi, cronometri, barometri, termometri, ecc.
All’alba
del giorno del transito, il cielo era coperto, con solo qualche sprazzo di
sereno. Rasserenatosi il cielo,
Tacchini fece una rivelatrice osservazione dell’atmosfera di Venere:
Egli attribuì il fenomeno all’atmosfera venusiana che suppose costituita da una grande quantità di vapor acqueo.
Uno degli scopi della spedizione italiana era la comparazione dei dati prodotti con il metodo ordinario d’osservazione con quello spettroscopico che, nel caso del secondo contatto interno, diede però una differenza di ben 2m 12s. Tacchini ne dedusse che nello spettroscopio il diametro solare è minore di quello osservato in un cannocchiale ordinario, e la differenza è pari a circa 8”, valore abbastanza lontano dall’altezza di 10” della cromosfera, trovato da Proctor nel 1869.
La
parallasse solare dal transito di Venere del 1874
L’analisi ufficiale dei dati ricavati dalle osservazioni britanniche durante il transito del 1874 fu eseguita dall’astronomo reale, G.B. Airy, che ne pubblicò i risultati solamente nel 1878. Dai calcoli risultarono due valori della parallasse, uno per l’ingresso, pari a 8”.739, e l’altro per l’egresso, 8”.847. Il valore adottato da Airy, ottenuto dalla media pesata di tutte le coppie dei dati d’osservazione, fu di 8”.76, che differisce da quello odierno di 0”.04.
Il
francese Puiseux, applicò entrambi i metodi di Halley e di Delisle.
Ma, confrontando quella di Nagasaki di Janssen e quella di Mouchez a Saint-Paul, il risultato era 8”.96.
In sostanza, con questo metodo, la parallasse variava nell’intervallo tra 8”.78 e 9”.17. Le differenze non trascurabili delle misure, arrivano fino a 0”.5, pari a 1/18 del valore cercato.
La parallasse determinata da D.P. Todd, ottenuta dalle misure micrometriche delle oltre 200 fotografie ottenute dalle spedizioni americane, nessuna delle quali si è conservata, è identica a quella di Puiseux.
Le riprese fotografiche del transito con i fotoeliografi britannici furono invece considerate un sostanziale fallimento, appena mascherato da imbarazzate frasi di circostanza.
Il
motivo principale di questa valutazione negativa era dovuto al fatto che il
bordo del Sole, all’esame microscopico delle fotografie, appariva indistinto e
sfumato, anziché netto e ben definito.
Ma altre cause, in parte già note agli astronomi che osservarono il transito del 1769, avevano concorso a decretare l’inadeguatezza dei transiti di Venere per il calcolo accurato della parallasse solare. In particolare, la quasi onnipresente black drop e l’atmosfera di Venere, che danno luogo ad una complessa serie di fenomeni ottici, della durata di diversi secondi, che rendeva quasi impossibile il rilevamento degli esatti istanti dei contatti geometrici.
Il passaggio di Venere sul Sole del 6 dicembre 1882
Il
transito del 1882 fu, ancora una volta, sfavorevole per l’Europa, dove si
sarebbe visto solo l’ingresso di Venere al tramonto del Sole (immagini
del transito 1882).
La
totalità interessò l’Oceano Pacifico, a partire dalle coste occidentali
dell’America settentrionale (California e Messico) e al largo dell’America
meridionale, fino alla Nuova Zelanda e, naturalmente, oltre i 68° di
latitudine australe.
La
prima località terrestre da dove si vide l'entrata di Venere si trovava a
sud del Madagascar, l’ultima, invece, a nord-ovest della California.
L’uscita
di Venere fu vista per prima nel sud del Messico e l’ultimo a sud-ovest delle
isole della Sonda.
Dal
punto di vista della determinazione della parallasse attraverso le osservazioni
dei contatti, il transito del 1882 fu meno vantaggioso del precedente. Nel 1874,
infatti, si ebbe una differenza massima della durata del passaggio che raggiunse i 26
minuti. Nel 1882, invece, fu ridotta a 16 minuti.
La
conferenza internazionale di Parigi del 1881, indetta per la preparazione, a
livello internazionale, del transito dell’anno successivo, (alla quale
l'Italia non partecipò) aveva espresso parere sfavorevole all’impiego della
fotografia dopo le non felici esperienze, in particolare delle missioni inglesi,
del precedente transito del 1874.
Quasi
tutti i Paesi interessati alle spedizioni si adeguarono, con l’esclusione
della Francia e degli Stati Uniti che rispolverarono i fotoeliografi impiegati
nel precedente passaggio.
Gli
undici Paesi che parteciparono alla conferenza, si impegnarono tutti nell’approntare
delle stazioni astronomiche per l’osservazione del transito:
I membri delle diverse missioni francesi furono forniti dalla Marina, dall’Esercito e dagli osservatori astronomici francesi. L’Académie des Sciences figurava in queste spedizioni con tre suoi membri: d’Abbadie, Tisserand e il col. Perrier, al fianco dei quali furono aggregati il nipote di Arago e il figlio dell’accademico Puiseux.
Ad
Haiti, d’Abbadie, responsabile della missione, osservò con un grande
rifrattore da 21 cm con l’obbiettivo semi-argentato. Il cielo era splendido e,
mentre Venere entrava sul disco del Sole, egli vide tutta la parte del pianeta
che ancora non era entrata, circondata da un croissant di luce color
grigio perla, la cui larghezza massima misurava 2”.
A Pétionville, a breve distanza dal luogo scelto da d’Abbadie, O. Callandreau dell’Osservatorio di Parigi, aveva installato la propria strumentazione, costituita da un rifrattore di 16 cm a 150 ingrandimenti ed altri cannocchiali minori. Durante il primo contatto interno Venere gli apparve circondato da un’aureola e la sua parte centrale era molto più scura dei bordi, che tendevano ad una tinta violetta.
Importanti
le due spedizioni organizzate dal Belgio, una nel Nord e l’altra nel
Sud-America.
Delle due, quella di Santiago in Cile, guidata da Louis Niesten dell’Osservatorio Reale di Bruxelles e che comprendeva anche l’astronomo Charles Lagrange e il capitano Joseph Niesten, ottenne i migliori risultati.
Essi
disponevano di uno strumento, che fu realizzato in due esemplari, l’eliometro
ad obbiettivi diseguali, progettato da L. Niesten e costruito dalla famosa
ditta irlandese Grubb.
La
prima spedizione era partita da Anversa il 13 luglio, e giunse a Santiago il 2
settembre, dove i suoi componenti presero alloggio nei pressi
dell’Osservatorio della capitale cilena.
Nei
mesi successivi, dopo aver sistemato gli strumenti in appositi osservatori,
diedero inizio alle osservazioni astronomiche e alle ricerche solari per mezzo
dell’eliometro ad obbiettivi ineguali.
Il
6 dicembre si presentò con un cielo splendido, e tutti gli astronomi presero
posto agli strumenti. Subito dopo il secondo contatto, il capitano Niesten iniziò
le misure eliometriche, ottenute
per proiezione dell’immagine solare di 15 cm di diametro su di uno schermo
solidale allo strumento. Dopo cinque ore d’osservazione egli stimò ben 606
distanze tra i centri del Sole e di Venere.
Con
un rifrattore di 11 centimetri, L. Niesten vide, durante l’uscita di Venere,
l’atmosfera illuminata del pianeta e, un minuto dopo, apparve un legamento
grigiastro che unisce Venere al
bordo del Sole.
Da parte sua, Charles Lagrange, con un rifrattore di 9 centimetri a 160 ingrandimenti, mentre seguiva Venere già in buona parte sul Sole, vide allungarsi il disco venusiano per diversi diametri, in una lunga striscia oscura. Analoga osservazione era stata eseguita nel 1874 da W.J.L. Wharton all’isola di Rodrigues.
Veniamo
ora alle osservazioni in Europa. Nei
primi giorni di dicembre, il maltempo colpì gran parte del continente. A
Bordeaux, Rayet non potè far altro che lamentarsi delle pessime condizioni
meteorologiche e della pioggia che non consentì alcuna osservazione, così come
a a Saint-Genis-Laval, dove Venere fu visto sul Sole solo per pochi secondi.
Sempre a causa del maltempo, le osservazioni del transito del 1882 in Italia furono abbastanza povere di risultati.
A
Milano, il cielo era nuvoloso e G.V. Schiaparelli, G. Celoria e Rajna attraverso
piccoli cannocchiali, videro il
pianeta quando già in parte si trovava sul Sole. Schiaparelli usava un vecchio
gregoriano di Short, risalente alla seconda meta del XVIII secolo, che aveva le
ottiche metalliche ossidate:
la luce dell’immagine è soltanto una piccola frazione della luce originaria, circostanza questa che lo rende molto utile per tutte le osservazioni da farsi sul Sole… tale circostanza, ha reso possibile di usare il telescopio di Short nel suo stato naturale, cioè senza interposizione di vetro nero o di oculare elioscopico
Schiaparelli
notò inoltre che le ondulazioni del lembo solare non erano minori di 5”, e
questo fatto lo indusse a non superare i 50 ingrandimenti.
Alessandro
Dorna all’Osservatorio di Pino Torinese, osservò con il rifrattore di
Fraunhofer da 117 mm di apertura e quasi due
metri di focale, in precedenza usato nella spedizione indiana per il transito
del 1874. Il suo assistente Charrier che disponeva di un rifrattore Dollond di
100 mm, a 90 ingrandimenti. Anche in questa città il cielo non fu molto sereno
e le immagini al cannocchiale apparvero molto agitate. Alle 3h 10m Dorna vide la
black drop.
L’osservazione di Pietro Tacchini al Collegio Romano fu eseguita invece con il grande rifrattore Merz di 25 cm e uno spettroscopio a reticolo. Allo spettroscopio la cromosfera solare risaltava bene e, alle 2h 44m, Tacchini dichiara: vidi il bordo del pianeta sulle punte delle vive fiammelle cromosferiche.
Tacchini rivide, allo spettroscopio, come già gli era accaduto nel 1874, l’atmosfera di Venere, che descrive così:
poco prima dell’ingresso e subito dopo l’uscita del pianeta dalla fessura dello spettroscopio, le bande oscure intorno alla riga B e alla C, prodotte dall’atmosfera del pianeta, di costituzione analoga alla terrestre, che appunto produce col vapor d’acqua assorbimenti analoghi della luce solare in quelle regioni dello spettro.
Ricerche
analoghe a quelle italiane furono condotte da astronomi francesi in Algeria.
C. Trépied, all’osservatorio di Algeri, eseguì osservazioni di Venere durante il transito con uno spettroscopio Thollon a dieci prismi, che non diedero però risultati comparabili a quelli di Tacchini e Riccò. L’esame dello spettro nei gruppi A, B, α e nelle regioni comprese tra α, D, E non mostrò nulla che potesse essere attribuito a un assorbimento selettivo prodotto dall’atmosfera di Venere.
Anche
J. Janssen, che si trovava a sud di Orano, sotto un cielo straordinariamente
trasparente, con un rifrattore equatoriale di 21 cm, al quale era applicato uno
spettroscopio a media risoluzione, eseguì osservazioni di Venere. Le sue
conclusioni, sostanzialmente corrette, ridimensionavano però il contributo del
vapor acqueo nell’atmosfera venusiana. Egli così commentò i risultati: sono
condotto ad ammettere che, quando si elimina l’influenza
dell’atmosfera terrestre, i caratteri ottici del vapor acqueo nello spettro di
Venere sono assai deboli.
Il primo a pubblicare i risultati dei calcoli della parallasse solare, ricavati dalle osservazioni di questo transito, fu il belga Houzeau, che trovò π= 8”.911±0”.084, cioè la distanza media Terra-Sole pari a 23147 raggi terrestri, con un errore probabile di ±218 raggi terrestri, pari ad un errore di circa 1 milione di chilometri su 147 milioni.
Risultati analoghi furono pubblicati da molti altri astronomi di diversa nazionalità.
Il
presidente dell’Académie des Sciences, É. Blanchard, nel 1883,
scrisse:
io ho fiducia che nel XXI secolo, nell’anno 2004, allorché si rinnoverà il fenomeno del passaggio di Venere davanti al Sole, gli astronomi dell’epoca renderanno omaggio agli osservatori del 1874 e del 1882, che avranno lasciato numerosi documenti ed elementi di confronto di una rigorosa precisione.