Prefazione.


Una città non è solo le case, e le strade, e le piazze, nelle quali a uno sguardo distratto essa sembra consistere. Una città è gli uomini e le donne che l'hanno abitata e che la abitano, ma è anche gli uomini e le donne che ci passano, o che ci sono passati, anche solo per un'ora. Sono inimmaginabili le risonanze delle quali anche solo un nostro gesto minimo può arricchire una città. C'è un bar, per la precisione un bar d'angolo, in una certa città del mondo, il quale, ogni volta che ci passo e che (speriamo) ci passerò, risuona e risuonerà della felicità, per una certa ragione, da cui ero invaso la prima e l'unica volta che vi consumai, da solo, qualcosa. Quella felicità sono, beninteso, solo io ad associarla a quel brano, neanche troppo importante, di città, e la città stessa, abbastanza importante per conto suo in virtù della quantità di episodi simili che sicuramente ha conosciuto nei secoli, non ne aveva certo bisogno. Eppure, quella piccola felicità, pur così mia personale, e che nessuno oltre me conoscerà mai (nemmeno chi ne è stato la causa), è come se si sia cristallizzata anch'essa nelle pietre di quella città: è l'unica forma di oggettivazione che essa abbia conosciuto, perché non l'ho mai formulata a parole quasi nemmeno dentro me stesso. Ma in questo momento, in cui sto scrivendo qualche riga di prefazione alle fantasie di Vincenzo Russi, mi viene in mente che sto comunque oggettivandola una seconda volta, ed in una forma nuova, quantunque necessariamente riflessa : quella della scrittura . Ecco: se una città è l'insieme infinito di emozioni che gli infiniti uomini che ci hanno abitato o ci sono passati hanno vissuto, quella città, una volta descritta , in certo senso si raddoppia , e però questo raddoppio diventa a sua volta una nuova emozione, che la città immediatamente incorpora, proprio come le emozioni, diciamo così, "reali". Sta di fatto che, da una loro nuova descrizione in poi (diventi tale descrizione celebre o meno, sia o non sia una descrizione di livello), una città, un brano di città, il monumento anche notissimo d'una città, non sono più quelli di prima, perché la nuova descrizione è come se, chiedendovi lo spazio che comunque essa esige in quanto circostanza anche concreta, li arricchisse, come un nuovo fregio, o appunto un'emozione nuova, che virtualmente fosse stata vissuta accanto ad essi, in virtù di essi, o anche malgrado essi (una città è fatta anche delle infelicità che vi si producono e ri-producono). L'architettura e l'urbanistica stessa, dunque, mi piace pensarle anch'esse come forme di scrittura, forse addirittura come forme di vera e propria narrativa. Di fatto un architetto o urbanista di vaglia, io sempre più non so che vederli come dei narratori, che organizzano sul terreno anziché sulla pagina la trama del loro racconto, ne immaginano i personaggi, vengono talvolta sorpresi essi stessi dalla piega involontaria che prende il loro raccontare, sicché la trama si apre d'improvviso su orizzonti che, cominciando il lavoro, loro per primi non avrebbero mai immaginato. Ecco perché mi sento di augurare buona fortuna (e qualche lettore fra quelli meno distratti) a queste intuizioni sulla città di Vincenzo Russi, architetto che scrive o scrittore che "architetta" ( è lo stesso).

FRANCESCO IENGO