da "Amori e Città", i racconti

 

La città inversa.

Non è necessario essere in un luogo, in una città per viverla ed osservarla. Tutto ciò che osserviamo si ferma nella nostra coscienza, siano esse immagini, suoni, odori e non aspettano altro che il frenetico affaccendarsi diurno si quieti perché possano risalire in superficie. Sono tracce d'esistenza che si danno memoria quando meno ce l'aspettiamo. Ma se ci fermassimo un attimo ad osservare la nostra vita mentre scorre senza di noi, essa ci apparirebbe folle, inumana. Per vivere la propria vita bisognerebbe dimenticarla. E' durante la notte che essa affiora, non si potrebbe chiedere alla vita momento ed atmosfera migliore per dimenticarla.
Ho sognato di attraversare un posto magnifico, fiorente di alberi, specchi d'acqua dolce, pavoni con code di mille colori. Un passaggio obbligato per giungere a Silente.
A due giorni di cammino deserto - sembrava di accusare la necessaria fatica - incontro uno spazio vuoto forse di una precedente città, solo una lapide vi abitava ed una cavità: "Silente". Scorgendo una rampa vi entrai, e con meraviglia una città escheriana scavata nel terreno, all'inverso, invece di vuoti, pieni, invece che l'aria, la roccia, non acqua ma sabbia. Appena più in là v'era un atrio polito e delicato reso estremamente poetico dalla presenza di un archetto sgraziato in precaria stabilità, traccia di presenza umana dacché se ne scorgevano segni e scalfitture di una mano fiera di capace artista. Nel sogno ero scalzo. Non v'era tradimento se a piedi nudi improntavo quel luogo d'incanto, come altri prima di me avevano fatto. Un solo desiderio però in quell'attimo, che qualcuno mi parlasse, che irrompesse tuonante in quel sacro silenzio, volevo che i segni mi dicessero della mano che li aveva prodotti, che la stessa roccia mi parlasse degli uomini che aveva suo malgrado origliato e visto. In quel mentre, una donna in pacata attesa (del tempo forse), scendendo una scala scavata all'inverso, mi invita a seguirla. Forte ma delicata, aveva la pelle con riflessi di luna dacché gli stessi riflessi erano senza pozzo per specchiarsi, ma tra la città, in cui fioche luci immergevano le cose in un' atmosfera pulviscolare, facendone perdere consistenza, rendendole incorporee. Giunti in uno slargo ricavato tra grandi massi, una stele, e fissandomi con sguardo antico e profondo come quel posto, con voce lieve, ammonì: " E' lo gnomone del tempo e della memoria".

L'eco di quelle parole mi svegliò in piena notte nella mia stanza, cercai di destarmi da quella visione, una manciata di soffice sabbia prima assente bastò a capire. Silente è una città che in superficie non si vede, è nascosta ed accostando l'orecchio al suolo a volte si ode una finestra che si socchiude.

 

 

da "Amori e Città", le poesie

 

 

Nomi.

Mare, uccelli, rose e prati
perché avete nome?

Il vento come leggero alito di donna
perché del peso d'un nome e non altro?

Gioia, bacio e carezza di tale delicatezza
non saprei se per il vostro nome.

Il cuore in lacrime stretto dopo esser svanita
se non fosse per nome: Amore e pena, il tremore ne conoscerei.