Museo della Cattedrale di San Severo

a cura di Roberto Matteo Pasquandrea

 

            L’8 maggio 1985, mani sacrileghe asportarono le due corone d’argento del venerato simulacro della madonna del Soccorso, che trovavasi esposto, come tradizionalmente accade durante le feste patronali, nella cattedrale di S.ta Maria Assunta in Cielo.

            L’orrore suscitato da quel furto, la temerarietà e l’assoluta mancanza di scrupoli religiosi della nuova generazione di ladri, consigliarono di ‘seppellire’ in luogo sicuro la preziosa suppellettile sacra della Cattedrale.

            Sette anni dopo, mons. Carmelo Cassati, dietro consiglio ed istanza dell’attuale conservatore del Museo, consentì che si riesumasse e si restaurasse il tesoro per esporlo al pubblico, non prima, però, di aver oreso le dovute cautele per metterlo al riparo da indebite appropriazioni.

            Finalmente, il 16 maggio 1992, mons. Silvio Cesare Bonicelli potè consegnare alla Città e alla Diocesi questo piccolo, ma prezioso contenitore culturale, che attualmente conserva anche rari cimeli che non appartengono alla Cattedrale, ma sono qui ospitati in attesa di costituire un museo diocesano che li accolga definitivamente.

            No pochi reperti di questo Museo rivestono un  duplice interesse: quello artistico, in quanto manufatti firmati da autori celebri o prodotti da un artigianato di altissimo livello, e quello storico, poichè rappresentano il riflesso di avvenimenti rilevanti e per la storia locale e per quella dell’Italia meridionale, a seguito dei quali, come si vedrà, fu d’uopo commissionarli.

 

GLI ARGENTI DI MAGGIORE RILEVANZA ARTISTICA

 

            Nel febbraio 1799, l’esercito napoleonico conquista San Severo. Stragi, incendi e ruberie non si cotano: vengono saccheggiati i tesori della Cattedrale, delle monache benedettine di S. Lorenzo e finanche si asporta dal petto del mezzobusto ligneo di S. Severino il reliquario d’argento contenente un osso di un pollice dello stesso Santo. Pertanto, ai vescovi non restò che rimpiazzare nella loro chiesa, la Cattedrale, la suppellettile sacra involata.

            Ed una buona stella volle che ad occupare la cattedra episcopale severopolitana, nella prima metà dell’Ottocento, fosserouomini colti, facoltosi e, quindi, raffinati committenti, che si rivolsero a maestri orafi insigni e da sempre i più celebrati in Europa, quali furono gli argentieri napoletani, che produssero così quanto di meraviglioso è dato di vedere in questo nostro Museo.

            Di particolare fascino sono i numerosi reperti di argento, di argento dorato e di oro, arricchiti da pietre preziose e semipreziose. Tra questi, spiccano per bellezza e pregevolezza:

- un superbo baldacchino in argento, argento dorato e bronzo dorato, opera del maestro Pietro Florio (bollatore dal 1832 al 1839 e presente con quattro reliquari nella cattedrale di Amalfi). utilizzato per le solenni esposizioni eucaristiche;

- un maestoso ostensorio d’argento, commissionato da mons. Antonio La Scala al maestro Gennaro Russo, del quale si hanno notizie fin dagl’inizi del XIX secolo (un ostensorio dello stesso autore si trova nella cattedrale di Amalfi e porta questa incisione: A. D. 1870). Su questa raffinatissima opera d’arte, la molteplice raffigurazione allegorica (il Tetramorfo, cioè i simboli dei quattro evangelisti, l’Agnello pasquale sul libro dei sette sigilli dell’Apocalisse, la Fede che illumina l’universo, il pellicano, simbolo di Cristo, che si lascia divorare dai suoi piccoli, i pampini con i grappoli d’uva ed i fasci di spighe di grano) si fonde meravigliosamente con un fastosoornato, dando vita ad ‘unicum’ del quale si resta ammaliati dalla straordinaria resa estetica e profondamente toccati dalla lezione di tecnologia eucaristica che impartisce;

- un ostensorio d’oro, commissionato nel 1938 ai fratelli Tavani di Roma in occasione del 1° Congresso Eucaristico Diocesano;

- un ostensorio d’argento, il più antico, con lo sferale che si erge su di un cuore fiammeggiante e sostenuto da due angeli: una iconografia quasi canonica e più volte reiterata nel ‘700, sebbene con varianti di non poco conto;

- un ostensorio d’argebto, proveniente dalla chiesa di S. Lucia, con sferale posto in una cornucopia, traboccante di grappoli d’uva e spighe di grano, a sua volta sostenuta da due angeli;

- un calice d’argento, oro e pietre preziose del maestro Nicola Sessa (operante dal 1742 al 1769), probabilmente appartenuto alle Benedettine;

- un calice d’argento eseguito dal celebre Michele  Pane, bollatore a Napoli dal 1830 al 1860, che reca a sbalzo i simboli della passione di Cristo;

- un calice d’argento, in stile neoclassico, eseguito da Vincenzo Bonomo, attivo a Napoli dalla fine del Settecento agl’inizi dell’Ottocento;

- un calice d’argento di Luigi Pane, morto a Napoli nel 1740;

- due calici d’argento del XVII secolo, uno non bollato, l’altro di argentiere non  identificato, lavorati a cesello e traforo;

- cinque calici d’argento, assegnabili al XVIII e XIX secolo;

- tre grandi cartegloria, due candelieri ed un Crocifisso per altari (tutti di Pietro Florio), in cui si fondono in piena armonia remiscenze brocche e la già consolidata lezione del Neoclassicismo;

- diverse aureole (di cui una in argento dorato, di Pasquale Schisano, bollatore nel 1830 e 1832, che eseguì altri lavori  nella cattedrale di Otranto);

- quattro corone d’argento (una porta la firma di Vincenzo D’Onofrio, che operò a Napoli dal 1830 al 1850; (suoi bolli si trovano su di un calice del santuario di S. Maria dell’Arco e si di un incensiere della chiesa dei Gerolomini in Napoli);

- i pastorali dei vescovi Adeodato Summantico, Rocco de Gregorio, Valentino Vailati e Silvio Cesare Bonicelli;

- quattro grandi lampade ad olio d’argento, di cui uno reca il bollo di Pietro Florio ed un altro quello di Michele Pane (splendida, per la sua lavorazione a fusione, cesello e sbalzo, è la lampada del XVII secolo che si pensa provenga dal soppresso convento benedettino);

- un tabernacolo mobile di elevata caratura artistica, opera di Vincenzo Caruso;

- di Michele Pane sono ancora un vassoio, un bacile ed un’anfora di argento con stemma del vescovo Giulio De Tommasi, utilizzati durante le celebrazioni dei pontificali.

 

            La stupenda pergamena con bordi dipinti, che trovasi nella prima sala, servì per redigere l’atto di fondazione del Monte Frumentario: un pio sodalizio istituito nel 1718 dal vescovo Adeodato Summantico, che lo finalizzo al prestito di grano a basso tasso d’interesse ai contadini indigenti, per affrancarli dalla sconfinata e devastante ingordigia degli usurai.

 

            Uno dei gioielli del Museo è rappresentato da un reliquario in pietra con coperchio di alabastro, con il quale Eimerado, primo vescovo della distrutta Dragonara, consacrò nel 1045 la chiesa di S.ta Maria a Mare dell’abbazia benedettina di Tremiti, che subito dopo quell’evento sarà annoverata tra i cenobi cassinesi più ricchi e potenti dell’Italia meridionale.

 

            Degni di particolare nota sono anche i quattro piatti da colletta in rame-cipro, databili dal XIII al XVI secolo, eseguiti verosimilmente da Ebrei (e forse anche da Saraceni) che avevano il loro ghetto in San Severo.

 

            Il seicentesco Crocifisso in bronzo, argento e lapislazzuli era consegnato dall’arcidiacono al novello vescovo quando quest’ultimo prendeva possesso della Cattedrale.

           

            La statua lapidea di San Michele è quella stessa che uscì miracolosamente indenne dal sisma che nel 1662 distrusse interamente la sua chiesetta, ubicata nei pressi del bivio per Torremaggiore e S. Paolo di Civitate. Nel ricordo di quel miracolo, ancora oggi i sanseveresi invocano l’ausilio dell’Arcangelo al manifestarsi dei terremoti. Per la sua antichità (XVI sec.), essa rappresenta di certo una delle prime copie esistenti della celebre statua del Sansovino, che si venera nel sacro Speco di Monte Sant’Angelo.

 

            Reperti di grande suggestione, sebbene alquanto truculenti, sono diversi cilici e flagelli di terrificante capacità lesiva, resi più raccapriccianti dalle tracce di sangue che ancora li ricoprono. E’ verosimile che provengono dal monastero di S. Lorenzo.

 

I DIPINTI

 

            Tra le opere pittoriche esposte, la serie più numerosa è rappresentata dai ritratti dei vescovi di San Severo. Vi è anche il quadro raffigurante Sisto V, che diede gli ordinamenti alla neocostituita diocesi di San Severo (1580) e quello che riporta le fattezze del cardinale Francesco Alciati, celebre giurista, maestro di Ugo Boncompagni, il futuro Gregorio XIII, ed amministratore commendario di Civitate.

            Di  A. D’Elia è il bozzetto dell’Apoteosi dell’Assunta, l’immenso quadro dipinto nel 1740, del quale resta ben poco dopo la sua rovina seguita al suo distacco dalla volta della Cattedrale.

            Indubbio spessore, sia storico che pittorico, riveste un frammento di affresco del XII sec., che ripropone il tema dell’Annunciazione con varianti sconosciute all’iconografia canonica occidentale. Tale reperto proviene da S.ta Maria di Monte D’Elio, chiesa in stile romanico situata in agro di Sannicandro G.co, che conserva un vasto ciclo di affreschi e che rappresenta l’unico vestigio integro di Devia, città prima Sannitica, poi romana, infine popolata, nell’Alto Medioevo, da genti appartenenti ad una Koiné slava.

            Il dipinto ad olio raffigurante una ‘Estasi di S. Tommaso’, è del pittore F. Ciavarella (sanseverese ?), che lo eseguì nel 1868.

 

LA STATUARIA

 

            Al momento dell’inaugurazione del Museo, non vi erano che la statua lapidea di S. Michele, di cui si è già parlato, e quella lignea del Cristo Risorto, commissionata da mons. Farao, sul declinare del XVIII sec., al grande scultore napoletano Michele Trilocco.

            Negli ultimi tempi, il Museo si è arricchito di tre reperti di eccezionale fascino e valore storico-artistico:

- la statua lignea in stile bizantino della Madonna della Strada (VIII - IX secolo), sotto la cui invocazione era posta la Cattedrale prima del terremoto del 1627. Pur Mutila, per una deprecabile manipolazione subita in epoca barocca, essa conserva il regale portamento, la ieratica plasticità, la ineffabile grazia delle sculture mariare dell’arte bizantina;

- una Madonna in trono con Bambino di epoca aragonese (XV sec.) e di scuola abruzzese, dono dell’avv. FRanco Lozupone in memoria di suo zio paterno, don Mario;

- il mezzobusto ligneo di S. SEverino Abate, finissimo lavoro del Cinquecento, al quale, come si è detto, i FRancesi strapparono dal petto il reliquario d’argento;

- un bassorilievo raffigurante una Madonna che porge una pagnotella al Bambino che reca in braccio, detta ‘Madonna del Pane’ (dono dei proprietari del panificio Boncristiano), databile al XII secolo.

 

PARAMENTI

 

            Per problemi di spazio, sono esposti soltanto nove delle molte pianete antiche custodite in Cattedrale. TRattasi di reperti che deliziano la vista per l’abbondanza di ricami con fili d’oro e seta di vario colore.

            Pregio particolare detengono la pianeta interamente coperta da un ricamo a motivi floreali e quella di seta rossa, adorna di un ricco ed elegantissimo ricamo in oro e seta, proveniente dal monastero benedettino di S. Lorenzo.