San Severo: Origini e cenni storici[1].

(a cura di Vincenzo Russi)

 

 

            Questa prima parte, sarà opportuno precisare, non ha lo scopo di presentare al lettore uno studio di ricostruzione dettagliato sulle vicende storiche inerenti la formazione della città di San Severo, quanto invece di delineare un percorso generale che evidenzi soprattutto le modalità evolutive della cittadina. In tal senso, ci avvarremo della vasta letteratura prodotta sino ad ora, offrendo nel contempo la possibilità d’approfondimento attraverso intuizioni, citazioni e note bibliografiche, tralasciando per ora notizie a carattere speculativo o di deduzione, in attesa che nuovi studi tematici e monografici ne attestino l’attendibilità.

             La città di S. Severo è ubicata nell’area settentrionale delle Puglie, ad una leggera quota di 85/86 mt., s.l.m. Essa, per il particolare sviluppo conseguito nel tempo, si trova a ridosso del Gargano e nelle immediate vicinanze del Sub-Appenino Dauno; la sua estensione è delimitata dalle città confinanti di Apricena a Nord, di Torremaggiore e S. Paolo Civitate ad Ovest, di Lucera e Foggia a Sud, di S. Marco in Lamis e tutto il Promontorio del Gargano ad Est.

            Il suo agro, benché sia pressocché pianeggiante, è caratterizzato da contenuti dislivelli misurabili intorno a qualche metro, che prendono la locale dicitura di “coppe”, risultanti dal fenomeno di erosione dei terrazzi avvenuta sino all’Era Quaternaria.

            L’insufficienza di prove materiali, ci porta contestualmente a non poter valutare una formazione autoctona nel periodo del Paleolitico, anche se vi sono nelle aree garganiche cospicue testimonianze, mentre probabili ipotesi[2],  è possibile formularne su ciò che concerne il periodo Neolitico, compreso tra il VI e parte del III millennio a. C. Ad alterni periodi di frequentazione dei villaggi stanziati nell’area della odierna San Severo, si riferisce uno straordinario recupero di materiale fittile e strumenti litici[3] dalla fattura estetica piuttosto elevata, che insieme alla scoperta di molti siti[4]  e fossati[5] , inducono a pensare di una grande capacità culturale ed organizzativa delle stesse genti; stessa considerazione per le evidenti tracce archeologiche risalenti all’Eneolitico (seconda metà del III e inizio del II millennio a. C.) rinvenute in località Casone, a 6 km in direzione S.E. da S. Severo, materiale di  eccezionale entità documentaria rispetto a tutta l’area della Puglia settentrionale[6] .

            E’ nella fase del Bronzo finale (sec. XI - X a. C.) che si assiste ad un evento di una certa rilevanza, difatti sopraggiunte che furono popolazioni illiriche che “uniti alle genti preesistenti e ad altri gruppi di provenienza egea, i cretesi della tradizione leggendaria, dettero inizio ad una nuova civiltà, quella japygia”[7], la quale, successivamente si articolerà nelle culture: la Daunia, la Peucezia e la Messapica. Sarà nell’età del Ferro, in particolare tra il IX e V sec. a. C., che la civiltà Dauna[8]  raggiungerà la sua massima fioritura costituiendosi ormai come cultura del tutto autonoma e riconoscibile rispetto ad altre comunità presenti nell’Italia antica.

            E’ bene mettere in evidenza che non è possibile individuare in modo chiaro quali siano stati i limiti d’area entro cui la città sanseverese si sia venuta a formare[9], mentre risulta agevole un delineamento topico-evolutivo in cui sia evidente il processo di costituzione della odierna città. A tal fine, di grande importanza è la costatazione della formazione di grosse collettività, sinonimo di maggiore senso di aggregazione ed organizzazione, come “coppe di Civitate” (nelle vicinanze di S. Paolo Civitate) nel quale territorio rientrava l’odierna San Severo, disposta a controllo del guado sul Fortore, che, assumendo nel tempo posizione strategica e di sviluppo economico, nel VI sec. sarà costretta a cingersi di mura (Tiati - Teanum Apulum) a protezione dagli attacchi bellici.

            Da ciò si evince che la successione degli stanziamenti ha determinato una molteplice stratificazione, consolidata poi con la conquista dell’Apulia[10] da parte di Roma. E’ possibile quindi che in quest’epoca nelle immediate vicinanze dell’attuale cittadina vi fosse una fattoria, in virtù della presenza di due antiche strade[11], ma in effetti, anche se in San Severo sono state scoperte murate delle epigrafi romane[12], nulla sembra che si possa riferire concretamente ad una romanizzazione[13] della città.

            La mancanza di notizie certe sulla fondazione urbana, ha indotto alcuni esegeti ad assegnare alla città di San Severo persino origini mitologiche[14], ubicazioni di dubbia attendibilità[15] ed origini ancor più remote[16] , relazioni condotte in ampia contraddizione a logiche metodologie di studio, mentre restano testi fondamentali per una ricostruzione storica della città[17], gli archivi del monastero benedettino di S. Pietro di Terra Maggiore[18]  (oggi Torremaggiore) e l’archivio capitolare della chiesa di S. Maria in San Severo[19]. La loro importanza risiede, soprattutto se visti nell’ambito storico di pertinenza, nella valutazione dell’onda colonizzatrice bizantina della Capitanata[20]  e del forte influsso che i monasteri[21]  ebbero sul territorio dauno, giacché molto l’ “università” di San Severo ebbe a goderne dei profondi rapporti. La prima documentazione riferentesi a San Severo è costituita dalla charta libertatis , una sorta di statuto rurale redatto con estrema dovizia di particolari, circa i diritti e gli obblighi fra signore feudale e i suoi vassalli, composto “il 23 aprile 1116 dall’abate Adenulfo del monastero di San Pietro di Terra maggiore agli abitanti del castellum  Sancti Severini, in qualità appunto di loro signore feudale”[22], nei quali territori la città ne rientrava almeno in parte. Tuttavia, dalla seppur complessa ma certa documentazione pervenutaci, è possibile tracciare solo delle ipotesi sulla effettiva origine della città, dacché sovrapposto ed equivoco appare l’uso del toponimo di Sanctus Severinus  e Sanctus Severus. I risultati a cui si è giunti risultano quindi plurimi:[23]

1) San Severo e San Severino non erano due nomi equivalenti o l’uno posteriore all’altro. Il “castellum S. Severini” era il centro abitato, mentre San Severo era il nome di una contrada o di una chiesa presso cui si stabiliva talvolta la curia dell’abate di terra Maggiore.

2) Il “castrum S. Severi” coincideva col nucleo antico dell’odierna città, mentre il vicino “castellum S. Severini” era uno dei piccoli abitati esistenti nel territorio dell’abbazia, poi abbandonato come tanti casali nella zona.

3) I due abitati erano distinti, ma molto vicini, e il castello di San Severino poteva trovarsi nei pressi della chiesa di S. Giovanni.

4) “Sanctus Severinus” era l’appellativo giuridico di una parte dell’abitato di San Severo nella fase di incastellamento da parte degli abati di Terra Maggiore. Il “castrum S. Severi” si sarebbe formato in modo autonomo intorno alla chiesa di S. Maria.

5) Il “castellum S. Severini” sarebbe sorto presso la chiesa omonima; l’abitato in espansione avrebbe poi inglobato anche la chiesa di S. Maria, prendendo il nome di San Severo dopo il 1151.

            In ultima analisi, è da considerare che le antiche chiese hanno costituito un vero e proprio centro catalizzatore per le attività localizzative, difatti è nelle loro vicinanze e lungo le strade di comunicazione più importanti che si sono formati i primi casali[24] , ovvero secondo un processo di aggregazione attorno ad elementi, che per importanza e grandezza, ne hanno generato l’evento di stratificazione sociale

            Ma indipendentemente dalla relazione dei due centri, qual’è l’origine dell’agiotoponimo dato alla città?

            F. De Ambrosio fu il primo a trattarne la questione, associando la chiesa di S. Severino con il noto monastero dei SS. Severino e Sossio a Napoli, senza però darne nessuna prova. Più tardi il Fuiano[25] ne prova la tesi riferendosi all’iniziativa di alcuni monaci napoletani i quali, dopo la parziale distruzione del monastero a seguito dei tumulti scoppiati tra il 1027 e 1030, si spostarono a S. Severo fondando la chiesa di San Severino. Ma tra gli omonimi santi, l’unico al quale si possa far risalire il culto è San Severino abate, apostolo del Norico[26], al quale un noto miracolo è attribuito[27] e per riconoscimento ne venne riportato dell’evento, il saggio iconografico sullo stemma e sul sigillo dell’università.

            Verso gli inizi del ‘200, il monastero di S. Pietro inizia un lungo ed inesorabile tracollo e con lui l’inevitabile riflesso sull’economia e sulla cultura dei luoghi che sotto la giurisdizione del monastero ricadevano. In particolare, ciò avvenne in seguito al conflitto sorto fra Federico II ed il monastero, in una più ampia visione dei contrasti fra papato e impero.

            Nel giugno del 1229, con Federico impegnato nella crociata in Terra Santa, a San Severo venne ucciso “il baiulo Paolo di Lagotheta e depredati gli armenti di proprietà dell’imperatore”[28], causa che alimentò la severità della punizione[29] inferta da Federico, ritornato in Puglia, alle città di “San Severino”, Civitate, Casalenovum e soprattutto Foggia, sua amata città, di fronte al quale impeto distruttore, lo stesso Imperatore, nell’osservarla rovinante, pianse, mortificato del tradimento dei suoi sudditi.

            E’ in quest’occasione che venne distrutto il palazzo Belvedere, edificato nei pressi della chiesa S. Giovanni[30] , usando le stesse pietre ricavate dalle chiese dirute di San Severo. I successivi rapporti con i d’Angiò sembrano non essere tra i migliori, se la protezione di Carlo I nel 1269, portò più disagio che crescita[31], fino a che, nel 1288, i popolari di S. Andrea (fiorente insediamento ubicato lungo il tratturo S. Severo-Foggia) inviarono alla Sede apostolica un procuratore, certo magister Giacomo grammaticus, al fine di ottenere dal papa il passaggio del monastero dai benedettini ai Templari[32] , sancito poi da Bonifacio VIII nel 1295. L’amministrazione templare ebbe però breve durata, giacché nel 1311 durante il concilio di Vienne, venne decretata la loro barbara soppressione da parte di Clemente V. 

            Dopo la signoria templare, San Severo venne donata nel 1312 da re Roberto d’Angiò, alla moglie, la regina Sancia[33]. In realtà i cittadini non ebbero mai atteggiamento d’obbedienza verso la baronia, tanto che, al momento opportuno, insorgevano[34] , per ciò tra il 1333 ed il 1338, San Severo venne data in feudo a Pietro Pipino, conte di Vico, il quale nemmeno con la forza riuscì ad avere sopravvento ed alla fine, nel 1340 San Severo tornò in possesso della regina con il pagamento di un riscatto di 1500 once d’oro raccolto fra i cittadini[35] , ricavandone nel contempo la distruzione delle campagne e il depredamento del bestiame. E’ nel 1344 che San Severo, con conferma del privilegio[36], ritornò al re Roberto, periodo in cui la cittadina ebbe un momento di pace ed al quale è legato il ricordo del suo soggiorno a San Severo presso il castello e donazioni fatte in favore della chiesa di S. Giovanni, del quale ne portava il nome.

            Altro momento decisivamente importante per la città di San Severo, fu quando Alfonso I d’Aragona, vittorioso nella contesa del feudo su Renato d’Angiò, la cedette a Paolo di Sangro[37] , la cui famiglia legò per secoli il suo nome alla cittadina. A questo periodo risale l’istituzione della nota “Dohana Menae Pecudum”, ovvero dogana delle pecore, attività fondamentale per l’economia della cittadina. La regione, ricca di pascoli e pianeggiante, bene si prestava al pascolo delle greggi che vi scendevano in ottobre dal Sannio e dagli Abruzzi, per poi risalire in maggio, e i pastori per poter attraversare i pascoli pagavano al fisco una tassa. Ma la scarsa organizzazione nella riscossione, indusse Alfonso I a dividere, per meglio controllare il territorio del Tavoliere, in “locazioni”[38]. La ricchezza delle terre[39], dell’economia basata oltre che sulla dogana, dalla produzione dei vini e dalla posizione strategica, cioè non molto lontana dal tratturo l’Aquila-Foggia, attirerà sempre più l’attenzione dei Normanni, degli Svevi, oltre che degli Aragonesi, che in questi luoghi si scontrarono in più occasioni.

            “Inattesa giunse la notizia della vendita di San Severo, fatta dal viceré Raimondo di Cordova al duca di Termoli, Ferdinando di Capua”[40] , infatti tempestivo fu l’intervento dell’allora sindaco Tiberio Solis (o de Solis) che per far valere la libertà della cittadina data da Roberto e Giovanna I, si recò a Worms, al cospetto di Carlo V. Successivamente con decreto del 9 maggio 1522, il Tiberio offrendo 42.000 ducati, ottenne la vendita della città, restando così ancora città regia.

            Da qui molti risultano gli avvenimenti accaduti nella nostra città, tanti da doverne menzionare, d’ora in poi, solo i più noti e significativi.

            Il legame con i di Sangro continua ancora nel momento in cui Gian Francesco di Sangro, nel 1579 per 82.500 ducati acquistò la città (erano le diffuse modalità del tempo), somma da versare in parte alla regia corte e nella restante parte ai creditori dell’Università, perdendo così la libertà sancita precedentemente nei diplomi regi. Intanto distrutta che fu, Civitate, occorse fondare una nuova diocesi e dacché in essa ricadeva San Severo, venne affidata a Mons. Pietro Vicedomini, che passando nei pressi (così racconta la credenza) restò colpito dalla nobiltà e ricchezza dei cittadini e del paese, una supplica al papa Gregorio XIII affinché elevasse la cittadina a cattedra episcopale. Il papa che fu vescovo di Vieste, bene ricordava i nostri territori, tanto da acconsentire alla richiesta con bolla del 9 marzo 1580, formando in tal modo la nuova diocesi, comprendente Torremaggiore e S. Paolo Civitate, di San Severo e Civitate, con cattedrale S. Maria.

            Le ore 16,30 del 30 luglio 1627, rappresentarono uno dei momenti più drammatici che la cittadina abbia vissuto. Difatti un violento sisma distrusse quasi interamente la città[41] e i centri vicini, distruggendone nel contempo la cultura, l’economia e ciò che si stava ancora realizzando come ad esempio il costruendo convento dei Cappuccini; il Cerqua riceve la triste immagine “Delle sopraddette terre si pretende difficilmente le reedificazione, sì per non esserci habitatori come che in quelle non ve si scorge più vestigia di città ma un monte di pietre”.

            Questo stato di cose perdurò per molto non senza ulteriori aggravi derivanti ad esempio dalla peste del 1657, epidemia che letteralmente dimezzò la popolazione: “Ed aumentando sempre di più il numero degli appestati, dovette smettersi l’uso di seppellire i cadaveri con tutti gli onori religiosi. Si adibirono appositi carri pel trasporto, strascinandoli ai medesimi mediante uncini di ferro i cadaveri, che sollevati da terra, con violenza si gettavano dentro./Le confessioni si ascoltavano dal Prete sulla soglia della porta, e l’Eucarestia era somministrata sulla punta di una lunga canna o di altro simile strumento.”[42]

            Con la nuova cultura illuminista ci si avviava verso un periodo di riforme, verso il risveglio dell’arte che nelle atmosfere più limpide e meno scenografiche trovava ampia affermazione. Relativamente alla nostra città, essa restava legata ancora ad un modello socio-economico seicentesco che la caratterizzava nel ‘600. Difatti se da un lato è da considerare la ricchezza che la pastorizia, la coltura di cereali, etc. avrebbero potuto dare, dall’altro è da noverare il basso salario dei “bracciali”, la scarsa circolazione dei capitali, che portarono alla non poco diffusa pratica del brigantaggio e delle nefandezze dei principi. Ad esempio nel 1723 venne assassinato il sindaco Niccolò Rossi[43], il quale, insieme ad altri, denunciò alla Corte di Vienna e Madrid le meschinità dei di Sangro (Paolo e il figlio Antonio) di cui ne parlerà lo stesso Croce.[44] Di rilevanza resta la riforma catastale voluta da Carlo III, dacché quella vigente asteneva dal pagamento gli ecclesiastici e i nobili, lasciando che le classi meno abbienti si sostituissero a loro. Questa fu tentata da Carlo il Borbone nel 1741 con il nome di riforma “onciale”[45], ma venne prontamente ostacolata dai ceti più abbienti.

            Nel 1799 nella Gran Piazza, ora Piazza della Repubblica, i repubblicani della città innalzarono l’albero della libertà proclamando la repubblica, ma dopo qualche giorno una truppa armata francese, guidata dal generale Duhesme, venne inviata a San Severo che l’assalirono e la occuparono. In quast’occasione venne saccheggiato il ricco convento delle Benedettine, degli argenti che le nobili monache avevano come dote, del denaro e persino degli straordinari arredi religiosi, veri capolavori d’argenteria napoletana.

            E’ nel 1847 che la cittadina riceve gli onori di una visita del re Ferdinando II, occasione in cui venne scongiurato l’abbattimento[46]  della chiesa Croce Santa a favore della costruzione della via consolare San Severo-Lucera. In assenza del re Francesco II, i liberali sanseveresi pensarono bene di percorrere le vie cittadine inneggiando a Vittorio Emanuele e Garibaldi, così che, correva l’anno 1860, in merito ad incidenti accaduti, lo stesso vescovo La Scala lasciando la città e dirigendosi verso Lucera, venne raggiunto da un colpo di fucile.

            Una maggiore coscienza politica e d’azione sociale è riscontrabile contestualmente negli anni 1880-85, in cui, in seguito alle elezioni politiche, si formarono due tendenze: la Destra, Partito Bianco (conservatore), e la sinistra, Partito Rosso (progressista). Negli ultimi dell’ ‘800 nacquero, rispettivamente alle due fazioni, la Banda Bianca e la Banda Rossa, due gruppi musicali che annoverarono nelle formazioni nomi di grande rilievo, tanto che la prima ricevette il Gran Premio d’Onore, mentre la seconda raccoglieva in America, in Germania, ambiti riconoscimenti. Per tutto il ‘900, la cittadina sarà interessata soprattutto da eventi politici, che ne attestano l’interesse e la rinata condizione civile e culturale. Infatti molti sono i nomi legati alla cittadina che con il loro impegno hanno voluto testimoniare per sé e per la cultura in cui si inserivano, una grande volontà d’esercizio e valorizzazione, tra questi vi sono Michele Zannotti, Antonio Gervasio, ed altri ai quali la città ha voluto in qualche modo (piazze, vie, monumenti) ricordarne a memoria futura l’attività ed il pensiero.

            La città di San Severo oggi  è ubicata alle porte del Gargano, al centro quindi di una migrazione verso S. Giovanni Rotondo, Foggia, Torremaggiore, S. Paolo Civitate, così strutturata da una storia appena scorsa e che a pieno diritto è data come città d’arte.

            In conclusione, in queste pagine, abbiamo voluto mettere in evidenza il fatto storico, il processo di formazione di una cittadina che ancora pressocché intatta nelle sue architetture, nella sua cultura, resiste al tempo, alle coscienze poco sensibili che per nulla ne hanno intuito l’importanza storica. Una storia ricca di vicende, di aneddoti che insieme alle sovrapposte civiltà, alle azioni umane che nel tempo si sono distinte, ne hanno determinato il volto odierno. Un viaggio quindi, attraverso il passato della nostra gente al quale il lettore è stato invitato, percorrendone insieme le tappe più importanti, al fine di meglio intenderne il carattere delle coscienze, e dei luoghi che da quelle stesse coscienze oggi sono abitati.

            Il visitatore che nella città si accinge, ritrova nelle sue architetture, nei campanili, nelle piazze, un equilibrio ed un armonia dal sapore lontano, caratterizzate da una volontà che oggi riesce ancora a resistere all’ ignoranza e alla scarsa sensibilità più volte mostrate da chi, nella storia, nei suoi elementi rappresentativi avrebbe dovuto trarne insegnamento, e che invece, grazie alle nostre personali intuizioni e capacità d’amare ciò che le nostre genti ci hanno donato, i nostri luoghi, la nostra arte, la nostra cultura, queste mirabili espressioni ritrovano senso e misura. 

 

 



[1]  In questo breve testo d’introduzione, abbiamo preferito riportare in nota solo alcuni dei testi di riferimento, mentre per un approfondimento tematico, si rimanda il lettore alla bibliografia generale della relativa sezione.

[2] R. Peroni, Archeologia della Puglia Preistorica, Roma, 1967, e A. M. Radmilli, Popoli e Civiltà dell’Italia antica, I, Roma, 1974.

[3]  A. M. Radmilli, Popoli e Civiltà...op. cit.

            E’ in occasione di alcuni scavi condotti per la costruzione dell’edificio scolastico e della chiesa in via Mazzini, ovvero contrada Guadone, che sono stati rinvenuti resti di materiale fittile, caratterizzati da motivi geometrici incisi         con una tecnica simile a quella del graffito con selce o osso. Questi costituiranno la cosiddetta “facies di Guadone”               o stile Guadone. Nella odierna biblioteca comunale è possibile osservare una grande raccolta dei materiali rinvenuti di cui più avanti parleremo.

[4] A. Gravina, San Severo ed il suo territorio fra Preistoria e Protostoria, in Studi per una storia di San Severo, Tipografia         Sales, San Severo, 1989, per un riferimento sui siti e la situazione topografica.

[5] Questi rappresentano i cosiddetti “villaggi trincerati”, costituiti da una delimitazione tramite fossato di aree (4-5 ha.), profondo sino a 4 mt. Nelle aree interne generalmente non ci sono tracce di ipogei, ma nella maggior parte dei casi si nota la particolare forma a “C” (compaunds) dei fossati, con la parte esterna in muratura a secco. Seppur manchevoli di indizi riferibili a costruzioni capannicole, queste vengono associate a funzioni abitative. In contrada S. Rocco, nella zona retrostante la chiesa di Croce Santa, notevole è stato il rinvenimento di sezioni ipogeiche a funzione di deposito di derrate, contenenti reperti d’età neolitica e resti osteologici, dacché questa era una delle possibilità di riuso delle sezioni una volta dismesse.

[6] La straordinarietà dei ritrovamenti risiede, oltre che nell’attendibilità epocale, nelle informazioni che gli stessi ci offrono, ad esempio sul modo di inumare, per le quali credenze religiose, il corpo veniva deposto sul fianco sinistro e rannicchiato. Solo successivamente questa usanza muterà per effetto dell’ellenizzazione, dopo la quale il corpo verrà deposto in posizione supina.

[7] A. Gravina, San Severo ed il suo territorio fra Preistoria e Protostoria, in Studi per una Storia di San Severo, I, ed. tip. Sales, San Severo, 1989.

[8] Ciò è dimostrato dalla intensa frequentazione dei siti ubicati all’interno del centro urbano odierno, in cui molti ed interessanti risultano essere i ritrovamenti archeologici, mostrando una forte influenza del mondo greco.

[9] Nella Puglia Settentrionale preromana è individuabile un sistema di strutturazione territoriale di tipo vicano-paganico, consistente nell’occupazione del territorio agricolo con l’instaurazione di numerosi villaggi poco distanti tra loro e relazionati ad una struttura fortificata. Da qui, data quindi la frammentarietà del paesaggio “urbano”, l’impossibilità sino ai primi dell’anno mille di assegnare con chiarezza limiti territoriali e di fondazione alla città di San Severo.

[10] A. Russi, Strabone 6, 3, 8, 11, e gli Apuli propriamente detti, in RivFil, 107, 3, 1979 e E. M. De Juliis, I popoli                                               della Puglia prima dei Greci, in AA.VV.

            Sembra che il termine Apulia derivi da una deformazione linguistica di un indigeno, Iapùdia, in Apudia e quindi Apulia. Il termine Apulia lo sitrova anche tra gli scrittori latini del III secolo a. C. con rferimento alla Puglia centro-settentrionale, indicando nel singolo termine la Daunia e la Peucezia, mentre il sud, territorio di stanziamento Messapico, verrà chiamato Calabria. A. Russi individua in Strabone, un riferimento “agli Apuli propriamente detti”, il quale lo rileva da Artemidoro di Efeso come gruppo stanziato a nord-occidente della Daunia, in territorio di Teanum Apulum. L’indicazione però non è corretta, rivela l’autore, in quanto detto termine stava a designare un’Apulia d’età Augustea che si estendeva fino ad Egnazia, quindi incongruente al nostro riferimento per asincrona temporalizzazione. 

[11] U. Pilla e V. Russi, San Severo nei secoli, Cromografica Dotoli, San severo, 1984, pag. 22.

            “...una, che da Lucera saliva / verso Lesina / e l’altra, una diramazione della Teanum Apulum-Arpi, che passava per la mass. Casone”. Quest’ultima nel Medioevo è nota come la Civitate-Casalenovum.

[12] A. Russi, Le epigrafi romane di San Severo, in Studi per una storia di San Severo a cura di B. Mundi, tip. Sales, San Severo, 1989, I.

[13]  Il ritrovamento di materiale di differente origine, può senz’altro essere giustificato nell’ottica del reimpiego di elementi lavorati come materiale di spoglio da usare per altre costruzioni (nella storia dell’architettura non mancano gli esempi). Perciò il ritrovamento di esigui esempi d’età romana, non può razionalmente riferire sulle origini di una città con scentifica certezza, quanto invece sulla loro reale funzione di epitaffi a memoria di umili genti romane stanziate sul territorio municipale di Teanum Apulum. Difatti, per la documentazione esistente, una delle epigrafi risulta di provenienza esterna (da Lesina, A. Russi, Teanum Apulum. Le iscrizioni e la storia del municipio, Roma, 1976), mentre per le altre è ipotizzabile, ma non dimostrabile, che la loro provenienza sia della stessa Teanum Apulum. A. Russi, Le epigrafi romane di San Severo, in Studi per una storia di San Severo a cura di B. Mundi, tip. Sales, San Severo, 1989, I.

[14] U. Pilla e V. Russi, San Severo ...op. cit. pag. 21

            Secondo queste tradizioni più o meno fantastiche, San Severo sarebbe stata fondata da “Diomede tracio, re dei Bistoni, e non l’eroe etolo-argivo dell’epopea omerica. La sovrapposizione dei due miti è avvenuta con l’ellenizzazione della nostra regione”.

[15] A. Russi, Un asclepiade nella Daunia. Podalirio e il suo culto tra le genti daune, in Archivio storico pugliese, XIX, 1966. E’ riportata la leggenda di Castel Drione che nel 536 venne cristianizzato come San Severo dal vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorano, tradizione ricordata ancora oggi e con estrema cura del dettaglio.

            M. A. Fiore, I culti di Calcante e Podalirio, Torremaggiore, 1965. Nel testo si racconta del tempio di Calcante divenuto poi la chiesa di S. Giovanni Battista e del tempio di Podalirio trasformato nella chiesa di S. Lucia.

[16] Come l’identificazione di San severo con Ergitium, una statio ubicata lungo la via Litoranea adriatica a XVIII m.p. da teanum Apulum e XXV m.p. da Sipontum, visibile sulla Tabula Peuntigeriana. Questa strada, ricostruendone il percorso, passava a circa 5 km. da San Severo e si dirigeva verso Siponto lungo la odierna Pedegarganica incontrando contrada Brancia. E’ in questo luogo che sorgeva Ergitium in un punto di notevole importanza dato l’innesto con la via che nel Medioevo sarà ricordata come “via sacra Langobardorum”. Altre tesi e relative indicazioni sono in U. Pilla e V. Russi, San Severo ...op. cit. pag. 22.

[17] P. Corsi, San Severo ..., op. cit. Per un approfondito studio sulle vicende storiche inerenti al periodo medievale, in cui sono criticamente analizzati i testi sopracitati.

[18] Questa documentazione risulta purtroppo incompleta, dati i primi trafugamenti fatti dalla regina Giovanna I di Napoli, difatti più volte Urbano V nel 1367 e Gregorio XI tra il 1372-74, inviteranno la regina alla restituzione del carteggio. Vedi T. Leccisotti, Il Monasterium Terrae Maioris, a cura di M. Fuiano, Torremaggiore, 1983.

[19] P. Corsi, Le pergamene dell’Archivio Capitolare di San Severo (secoli XII-XV), Bari, 1974.

[20] L’avvento della cultura Bizantina nella Puglia, fa riferimento agli eventi bellici succeduti intorno all’anno mille, momento in cui l’occupazione ed il mantenimento delle terre occupate (come ad esempio il thema di Longobardia) venivano assicurati dalla presenza di un governatore dal nome di Catapano, quindi Capitanata.

[21]  La funzione dei monasteri, oltre che di adunanza in vita comunitaria dei monaci, era di notevole importanza ai fini della cristianizzazione del popolo, inoltre per la loro relazione con il potere temporale, si costituivano come comunità autosufficienti dedite alla formazione e alla cultura (ricordiamo che, ad esempio, il manoscritto di architettura vitruviano prodotto in sole 10 copie in tutto il mondo, uno è stato ritrovato in ambito monasteriale), che raccoglievano nelle loro strutture anche popolazione rurale votata al lavoro nei campi e al pascolo di greggi. Vedi anche  P. Corsi, I monasteri benedettini della Capitanata settentrionale, in AA. VV., Insediamenti benedettini in Puglia, a cura di M. S. Calò Mariani, Galatina, 1980.

[22] P. Corsi, San Severo ..., op. cit. pag. 169.

[23] U. Pilla e V. Russi, San Severo ...op. cit., pag. 26-29 e relative note.

[24] La situazione urbanistica generale, costituita da una moltitudine di piccoli villaggi disseminati sul territorio, perdura anche in pieno Medioevo. Nell’area di sanseverese ce ne sono 10, si tratta di casali talvolta sorti su fondamenta di più antiche strutture preromane e romane,  e talaltra fondati ex-novo, che più tardi insieme porteranno ad un fenomeno di sviluppo economico tale da assegnare all’area il carattere di terra più popolosa dell’Alto Tavoliere.

[25] M. Fuiano, Città e borghi in Puglia nel Medio Evo, Napoli, 1972.

[26] Vedi oltre, i cenni sull’agiografia del santo.

[27] Nel periodo in cui si ebbero gli scontri tra Francesco I e l’imperatore Carlo V per la conquista del regno di Napoli, S. Severo cadde in mano ai francesi. Le forze imperiali nell’assedio della città, incontrarono la forte resistenza degli abitanti, al punto che i francesi, come stratagemma, si ritirarono nei pressi di Rigano. Ritornarono però di notte, momento proficuo per l’espugnazione della città, successo ancor più certo in quanto, per lo scampato pericolo i sanseveresi allietarono le festa in compagnia di Bacco e stremati com’erano alla fine caddero in sonno profondo. Ma la conquista non avvenne in quanto, la leggenda narra, a sorvegliare la città v’erano gruppi di guerrieri con a capo un cavaliere in abiti sacerdotali con uno stendardo purpureo tra le mani, i quali avventatisi contro gli assalitori con fragore di trombe e tamburi, li misero in fuga increduli e tremuli. La notizia dell’accaduto giunse l’indomani da uno dei tanti nemici caduti nelle vicinori campagne, che a fil di voce narrò l’evento. Il miracolo fù attribuito a S. Severino al quale come tributo in segno di ringraziamento, furono donate annualmente 100 libbre di cera. 

[28] P. Corsi, San Severo...op. cit., p. 191 e note.

[29] Pilla e Russi in San Severo ...op. cit. optano per l’ipotesi di una totale distruzione della città, mentre J. M. Martin, Pouvoir, geographie de l’habitat et topographie urbaine en Pouille sans le régne de Frédèric II, in Atti delle Seste Giornate Federiciane (Oria, 22-23 ottobre 1983), Bari, 1986, pp.145-173, rileva che l’abbattimento delle mura e lo spianamento dei fossati non sono da riferire ad una distruzione completa dell’abitato.

[30] Le opinioni in merito sono contrastanti. Vedi nota di P. Corsi, San Severo...op. cit. p. 193.

[31] L’amministrazione del monastero e i suoi territori vennero dati a Giovanni de Mesnil, arcidiacono di Palermo e vicecancelliere del Regno, al quale tutti i sudditi avrebbero dovuto obbedire. Ad esempio venne ordinato di aprire tutte le fosse granaie e vendere il contenuto alla regia Curia ad un prezzo più basso di quello allora corrente. Altro evento è che, quando l’abate Guglielmo (già abate di S. Salvatore di Telese) si recò a San Severo per ufficio, gli abitanti lo accolsero con sassate ed ingiurie.

[32] Come d’uso dell’ordine, tutte le architetture di loro “proprietà”, venivano designate con l’incisione di simboli ben precisi, esattamente come quello eseguito sulla facciata laterale della chiesa di San Severino in alto a sinistra. Sulla simbologia si vedano: René Guénon, Simboli della Scienza sacra , Milano, Adelphi,1994, e Vincenzo Russi, Sull’architettura come linguaggio, in corso di pubblicazione.

[33] T. Leccisotti, IL Monasterium...op. cit..

[34] Nel 1313, San Severo volle istituirsi in modo del tutto autonomo, decisione presa in assemblea non permessa dalla regina. L’evento è riportato in R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, 1922-30, vol. I, p. 363.

[35] F. De Ambrosio, Memorie Civiche,  che riferisce di 6500 once; V. Tirelli, Un feudatario nella crisi della monarchia angioina alla metà del secolo XIV: Giovanni Pipino, palatino di Altamura, conte di Minervino, in “Archivio storico pugliese”, XI (1958), p. 109.

[36] Il diploma del 9 febbraio 1344, a conferma del precedente del 5 novembre 1340, è riportato in Fraccacreta, Teatro ...op. cit., rapsodia IX, parafrasi n° 54, pp. 100-102.

[37] M. Fraccacreta, Teatro topografico-storico-poetico della Capitanata, Cong. Ed., Galatina, 1980, vol I, rapsodia IX, parafrasi n° 61, p. 110. e De Ambrosio, Memorie...op. cit., p. 59.

[38] M. Fraccacreta, Teatro ...op. cit., vol V, rapsodia IX, strofe LXXXVI-XLIX, pp. 31-36, e parafrasi nn. 76-80, pp. 114-123. e De Ambrosio, Memorie Civiche, pp. 63-64.

[39] Ricordiamo che in detto periodo venne coniato il rarissimo “tornese di San Severo”, moneta che sul dritto riporta l’iconografia del miracolo di Santus Sever, con al centro la figura del castello, mentre sul rovescio v’è la scritta DE CAPITANATA con al centro una croce. Inoltre riferendosi al luogo, “che è loco ricco, bono, ma debile et senza uno forestiero al mondo” dirà Ferrante I. Da una lettera di Alessandro Sforza del 26 agosto 1462 al fratello, duca di Milano, in Nunziante, I primi anni di Ferdinando d’Aragona e l’invasione di Giovanni d’Angiò, in Archivio storico per le provincie napoletane, XXII (1897), pp. 46-64 e 204-240.

[40] U. Pilla e V. Russi, San Severo ...op. cit., p. 51.

[41] La ricostruzione del centro dopo quell’evento disastroso fu lenta e tarda, dacché ulteriori scosse colpirono successivamente la città e i centri vicinori. La riedificazione avvenne dunque su se stessa, sulle sue stesse macerie, come resta visibile dagli scavi eseguiti negli ultimi anni in San Severino, ed in alcune abitazioni del centro in cui il piano di calpestìo è ad un livello più basso del piano stradale. Vedi la notissima descrizione in A. Lucchino, Del terremoto che addì 30 luglio 1627 ruinò la città di Sansevero e terre convicine, Nicola Checchia, Foggia, 1930.

[42] La citazione è di Irmici, tratta da U. Pilla e V. Russi, San Severo...op. cit. pp. 63-64.

[43] F. de Ambrosio, Memorie ...op. cit., pag. 118.

[44] B. Croce, Aneddoti.

[45] U. Pilla e V. Russi, San Severo ...op. cit., p. 70 e relativa nota. Fu così chiamata in quanto la valutazione dei beni veniva fatta in once, antica unità di peso e moneta di conto.

[46] L’aneddoto riguardante l’accaduto è in A. Irmici, Notizie riguardanti la chiesa di S. Croce,  M. Fraccacreta, Teatro ...op. cit., vol. VI, rapsodia XI, par. 97.