Thomas Fisher

Possiamo salvarla, questa professione?[1]

 

 

La nostra professione ha dei seri problemi: per risolverli, possiamo prender esempio da altre professioni?

Dove sta andando questa professione? Gi chiederselo comporta che la professione sta cambiando e che il vecchio modo di far le cose non funziona pi, malgrado si continui a investire una quantit di denaro nel preparare gli studenti per le forme tradizionali della pratica professionale. Implica inoltre che la professione si stia muovendo in una sola direzione e che con un sufficiente sforzo potremo definire forme future di pratica, chiare quanto quelle del passato. Ma non cos: per mesi ho parlato con gente del campo e mi sono convinto che la professione sta cambiando non solo radicalmente, ma in pi direzioni, per cui ritengo che in futuro sar molto pi differenziata e frammentata che in passato.

 

Didattica

Perch permettiamo a sempre pi studenti di entrare nelle facolt con la pretesa di diventare architetti di tipo tradizionale? Non tutti vengon fuori dall'altro lato della macchina, ma quelli che ce la fanno si trovano in un mercato che non per nulla quello che si aspettavano il loro status basso, esili le probabilit di progettare qualcosa di soddisfacente e il loro reddito non sar commisurato alla lunghezza dei loro studi. Le scuole di architettura si sono tenute sempre un po' fuori dalle domande della pratica professionale e del mercato, ed giusto che sia cos. Ma quanto pu allargarsi la forbice prima che il legame fra scuola e professione divenga pericolosamente precario e l'implicita garanzia che la scuola prepari gli studenti per il mondo del lavoro si muti in disonest?[2]

 

Recessione

Vediamo ora in che misura i problemi che stan di fronte alla professione alto tasso di disoccupazione e di sottoccupazione, intensa competizione per procurarsi il lavoro, redditi fermi o in flessione derivino dalla recente recessione o non dipendano piuttosto da modifiche pi profonde, di lungo termine, nella domanda dei servizi che forniscono gli architetti. L'impatto della recessione indiscutibile: dal 1989 le costruzioni non residenziali sono calate del 31% e l'occupazione degli architetti del 24%. Ma molti cominciano a chiedersi se la recessione non si sia limitata a dare un'ulteriore spinta a forze che stavano gi alterando in modo permanente la professione.

 

Aumento della produttivit

Una di tali forze il computer, con i suoi cugini telematici, il modem e il fax, che hanno incrementato la produttivit e il profitto degli studi che li utilizzano a pieno.[3] Ma la computerizzazione ha eliminato in modo permanente certi tipi di lavoro, particolarmente l'esecuzione dei disegni tecnici, alla quale si d tanta importanza nelle scuole d'architettura.

Elimina inoltre le barriere di tempo e di distanza che precedentemente proteggevano gli studi dalla competizione. Un numero crescente di architetti deve competere con colleghi i quali, con un sistema CAD nella stanza degli ospiti, sono in grado di produrre progetti con tempi e costi pi bassi. Gli architetti possono inoltre lavorare via fax con clienti distanti fornendo servizi con la stessa efficienza degli studi locali. Come dice Frank Stasiowski della Practice Management Associates, dall'anno 2000 qualsiasi studio di due persone sar potenzialmente in grado di lavorare ovunque.

 

La diminuzione dei clienti

Un secondo fattore a lungo termine stato il cambiamento nella domanda di servizi architettonici. Sharon Sutton della University of Michigan dice [Progressive Architecture, 10, 1993, p. 76] che alcuni dei problemi della professione derivano da una sovraproduzione di architetti, dato che dal 1929 sono aumentati di otto volte in una popolazione che solo raddoppiata. La Sutton argomenta inoltre che il calo nella domanda di servizi architettonici dipende dal fatto che avvenuta una trasformazione da un'economia dominata da molti singoli proprietari di aree, che si rivolgevano spesso agli architetti, a un'economia dominata da poche grandi societ con una quantit di impiegati salariati che raramente usano gli architetti.

Parallelamente c' stato un evidente declino della percezione da parte della gente del valore dell'architetto. Quando l'America passata da un'economia industriale ad un'economia di servizi nota l'avvocato Carl Sapers gli architetti un tempo considerati padroni della meccanica e dell'estetica, han perso il comando della meccanica. E contemporaneamente le conoscenze estetiche han perso valore. L'architetto Stanley Mathews, in un manoscritto non pubblicato, afferma che la professione ha storicamente cercato e continua a cercare legittimazione in un paradigma estetico che non ha n la credibilit n l'autorit che possedeva un tempo. Un secolo fa l'estetica era legittimata e rispettata nella coscienza della gente e pertanto un fondamento sicuro su cui basare la professione di architetto mentre oggi l'estetica vista come marginale quando non addirittura superflua.

 

La perdita di terreno professionale

Un'altra forza che agisce sulle prospettive a lungo termine degli architetti il cambio di ruolo dell'architetto nel gruppo che realizza l'edificio. Un tempo osserva l'architetto Elizabeth Padjen la pratica del progetto era un processo sottrattivo nel quale l'architetto era incaricato dell'intera 'palla di cera', da cui sfogliava dei pezzi per i consulenti e i contractors. Ora il processo additivo: il ruolo dell'architetto solo uno dei vari pezzi assemblati via via dagli innumerevoli coordinatori della costruzione. La Padjen attribuisce questo cambio di ruolo alla crescente complessit delle costruzioni e alla mutata natura dei gruppi di clienti, ma credo dipenda anche dalla scarsa disponibilit al rischio degli architetti. Negli ultimi decenni ci siamo accontentati di assolvere ai nostri doveri, abbandonando, attraverso revisioni dei contratti standard, tutte le responsabilit per le quali avremmo potuto essere chiamati a rispondere di fronte al legge.

Nel frattempo una quantit di professioni, gli ingegneri, gli arredatori, i costruttori, competevano sempre pi con gli architetti, alla pari. Carl Sapers ritiene che ci derivi in parte dalla tendenza degli architetti a favorire nelle dispute accomodamenti bonari, e in parte dal fatto che l'AIA si accorda con le omologhe organizzazioni degli ingegneri e degli arredatori per lasciarli entrare nel campo tradizionalmente riservato agli architetti.

 

Howard Roark morto

La chiave per leggere oggi La fonte meravigliosa quella di considerare Howard Roark non un modello, ma l'ultimo 'ragazzaccio' dell'architettura americana. Le idee della signora Rand possono avere ancora qualche sostenitore, ma quella rappresentazione, fatta 50 anni fa, della professione dell'architetto sempre pi lontana della realt. Oggi non c' pi posto per gli Howard Roark.[4]

 

Il declino del professionismo

Forse il problema di lungo periodo pi difficile da risolvere per gli architetti il crescente scetticismo con cui il pubblico vede tutte le professioni. Come osserva Sapers, in una societ meno educata, nettamente divisa in classi, le professioni costituivano una forza intermedia tra la classe lavoratrice e quella capitalistica. Ma il ruolo speciale dei professionisti scomparso Il crescente livello di educazione della societ e il declino delle classi ha posto la gente in grado di scegliere da s, senza ricorrere ai professionisti, in ci aiutata dai database elettronici e dai sistemi esperti che rendono sempre pi difficile ai professionisti controllare le informazioni e proteggere le loro conoscenze tramite brevetti.

Gli architetti sono particolarmente vulnerabili a questo scetticismo, in parte perch, come nota Sharon Sutton, l'architettura non divenuta un campo specializzato, basato su conoscenze comparabili a quelle della legge della medicina [ o] dell'ingegneria e in parte perch, come osserva lo storico inglese Andrew Saint, gli architetti sono per il pubblico delle creature rarefatte ed elusive.

Voglio aggiungere un terzo fattore: la mancanza da parte della professione d'un programma 'pubblico'. Sebbene un recente sondaggio abbia mostrato, come sottolinea Saint, che meno sgradita di altre professioni, siamo troppo spesso visti, specie dopo gli anni '80, come promotori degli interessi di clienti ricchi, investitori politicamente ammanigliati, grandi corporations, istituzioni o individui danarosi, contro agli interessi generali. E cosa succede quando una professione perde di credibilit presso il pubblico? Guardiamo l'Inghilterra dove proprio in questi giorni il rapporto Warne ha raccomandato al parlamento di 'sregolare' l'architettura e di non proteggere pi il titolo di architetto. John Warne dice Saint non trova che aver protetto il titolo abbia giovato in alcun modo n al pubblico n alla professione.

 

La posizione sul mercato

Gli architetti hanno cercato di legittimare la professione con l'esclusivit e l'elitismo. Nella loro ricerca di una credibile identit professionale, gli architetti hanno sistematicamente tentato di purificare le alture dell'estetica spogliando la professione da tutti quei ruoli tecnici e ancillari che sono ora appannaggio di ingegneri, consulenti e costruttori. La rinuncia elitista alle costruzioni industriali e alle abitazioni per la classe media, se servito a delineare l'identit professionale dell'architetto, ha avuto l'effetto di ridurre i clienti praticamente agli impresari, alle grandi istituzioni, alle corporations e a qualche occasionale riccone. L'architetto si in qualche misura autoesiliato dal progetto.[5]

 

Tre modelli d'azione

Come dovrebbe reagire, la professione? Uno dei modi quello di guardare a professioni come medicina, legge e ingegneria che hanno avuto a che fare con problemi analoghi. Nessuna di queste ha trovato tutte le risposte, ma comunque qualcosa possiamo imparare.

 

Il modello medico

Nel secolo scorso l'organizzazione della professione medica non era diversa da quella della professione architettonica oggi. Era composta in gran parte da medici generici che con un scarsa tecnologia e una scarsa base di conoscenze, tentavano di risolvere ogni necessit del paziente, dal dargli medicine a far nascere i bambini e a togliergli le tonsille. All'inizio del secolo la comunit medica cominci a riorganizzarsi, trasformando il medico generico in una specie di coordinatore di specialisti ben pagati, ai quali inviare i pazienti con necessit particolari. La riorganizzazione comportava fra l'altro di mantenere uno stretto e frequente contatto tra il dottore e il paziente, promuovendo specialisti ben pagati che rendevano disponibili alla gente i benefici della ricerca pi aggiornata.

Oggi il titolare dello studio di architettura un 'generico' ben pagato, e dei dipendenti 'specialisti' pagati meno e di fatto invisibili ai clienti. Se la professione si riorganizzasse secondo l'esempio del campo medico, cosa succederebbe? Alcuni architetti generici farebbero la prima diagnosi dei problemi e delle risorse, analizzando le esigenze di spazio del cliente e mettendo insieme un team di specialisti in aree come il design, la tecnologia, la gestione. Ci sarebbero probabilmente pochi grandi studi, o forse nessuno, e la professione sarebbe costituita, come la medicina, di molti praticanti indipendenti sia generici che specialisti che si aggregherebbero in gruppi di varia configurazione per i diversi clienti. L'architetto come generico sarebbe coinvolto maggiormente nella salute degli edifici, forse facendo dei periodici checkup delle strutture per assicurarsi che siano in ordine e per scoprire per tempo eventuali problemi. La diagnostica degli edifici sarebbe al centro dell'attivit (e dell'educazione dell'architetto), non un'attivit marginale com' ora. Allo stesso tempo il mercato per gli architetti sarebbe potenzialmente ogni proprietario immobiliare, non solo quei pochi che abbisognano di una ristrutturazione consistente o di una nuova costruzione. Inoltre gli architetti specialisti avrebbero forti legami con la ricerca e gli sviluppi tecnici nelle loro aree di competenza. Sarebbero membri altamente visibili e ben pagati del gruppo, sviluppando il progetto in profondit su specifici problemi e procedure.

Peraltro il parallelo tra i diversi campi non pu andar oltre, argomenta il professor Gutman di Princeton, attualmente coinvolto in uno studio comparativo delle professioni. Egli nota ad es. che gli architetti non hanno nulla di paragonabile agli ospedali, che sono stati la chiave della riorganizzazione della medicina. La professione dell'architetto pare esser gi stata spinta dalla recessione verso il modello della medicina: lo testimonia l'incremento, negli ultimi anni, del numero di piccole 'boutique' di progettazione specializzate, delle associazioni tra studi con specificit complementari, e degli architetti che offrono ai clienti dei servizi diagnostici, si tratti di analisi energetiche o di checkup. Ci che iniziato per sopravvivere alla recessione pu diventare una buona ipotesi per il futuro.

 

Il modello legale

All'inizio del secolo la professione legale s' trovata di fronte a problemi di numero eccessivo di addetti come noi oggi. C'erano troppi avvocati per il lavoro tradizionalmente disponibile e continuavano ad aprirsi nuove scuole. La professione non ridusse i suoi addetti n vennero chiuse le scuole; si cominci invece a riconsiderare la professione, vedendo l'educazione legale non pi come preparazione a trattare casi in tribunale, ma come modo di pensare e analizzare i problemi. Circa un secolo dopo il risultato una significativa espansione del campo legale, con uomini di legge in grado di guidare societ o di occuparsi di politica, cos come di trattar casi in tribunale.

La professione architettonica pu intraprendere una trasformazione simile. Invece di vedere la nostra educazione come un training per progettare edifici, qualcuno comincia a vedere che ci che impariamo veramente assimilare grandi quantit d'informazioni disparate, trovando il modo di ordinarle e di applicarle a casi particolari. Per es. molto di quel che ci hanno inviato i giovani architetti per l'ultimo numero di Progressive a loro dedicato (Luglio 1993), vedeva applicata l'educazione ricevuta a un larga gamma di attivit, dalla scenografia al progetto di software.

Ci in parte il risultato della recessione, con troppi laureati a fronte di troppo scarsi lavori tradizionali. Ma penso che qualcosa d'altro stia venendo avanti: un processo di diversificazione della professione, nel quale la pratica tradizionale vista sempre pi come solo una e neppure la pi desiderabile delle molte carriere a cui una preparazione da architetto pu dare il suo contributo.

In quella luce un'educazione che si proponga principalmente di preparare dei progettisti di edifici pu sembrare un'ambizione troppo limitata, come si direbbe di un'educazione legale che si proponesse di formare solo avvocati da tribunale. Adottando il modello legale, avremmo scuole che offrono una gamma di studi (fra i quali anche il progetto di edifici) che considerano l'architettura una forma specifica di analisi sintetica e l'architetto come d'altronde lo definisce il Webster una persona che pianifica e raggiunge un difficile obiettivo.

 

Il modello dell'ingegneria

L'ingegneria, di tutte le professioni maggiori, quella pi vicina all'architettura e si trova di fronte ai medesimi problemi, come la mancanza d'una visibilit pubblica e gli attacchi al suo terreno tradizionale. Per cui c' poco da imparare, con un'eccezione.

Gli ingegneri offrono il modello di una professione radicata profondamente nella ricerca e impegnata a sviluppare la sua base di conoscenze. Se facessimo lo stesso, ci cureremmo meno delle premesse e maggiormente delle conseguenze del nostro lavoro, dipenderemmo meno dalla retorica e pi dalla quantificazione di quel che facciamo, prendendo atto dei nostri fallimenti come dei nostri successi.

Qualunque ne sia la ragione insufficiente istruzione sui metodi di ricerca, parcelle insufficienti per condurre verifiche sull'edificio finito e abitato, sospetti infondati che ci distruggerebbe l'arte dell'architettura il risultato appare chiaro: abbiamo perso terreno a favore di altre discipline, inclusa l'ingegneria, che sono pi abili a predire gli effetti di quel che fanno e dimostrare che aggiungono valore ai progetti.

Ci sono segnali di cambiamento. Alcune scuole di architettura, per sopravvivere entro universit orientate alla ricerca, cercano d'incrementare il loro curriculum in quest'area. Alcuni studi hanno iniziato la politica di visitare periodicamente negli anni gli edifici che hanno realizzato. E sembra che gli architetti siano maggiormente disposti che nel passato a parlare di quel ch' andato male e non solo di quel ch' andato bene nei loro edifici. Ma abbiamo ancora molta strada da fare.

 

Proteggerci da noi stessi

In questo momento della storia della professione il campo si sta muovendo in tante direzioni contemporaneamente. Ci rende tutto pi difficile. Ci sono cambiamenti nella struttura degli studi e nello scopo dei loro servizi, negli obiettivi dei laureati e nelle carriere che stanno perseguendo, nella natura dell'educazione e nella responsabilit delle scuole. Osserva Peter Rowe, preside della Graduate School of Design di Harvard e ivi organizzatore d'un'eccellente serie di simposi su questi argomenti: L'idea di cosa costituisca la pratica architettonica richiede un sostanziale ampliamento [ e] il modello concettuale, il linguaggio e la terminologia con cui ne discutiamo devono altres essere rivisti.

Il reale ostacolo cui ci troviamo di fronte pu non essere una resistenza a cambiare da parte degli architetti, quanto una resistenza delle istituzioni ordini professionali, scuole, anche riviste che hanno interesse a mantenere lo status quo. Se c' una lezione da imparare da altri campi di fare in modo che la professione non diventi essa stessa il nostro peggior nemico.



[1] Titolo originale "Can This Profession Be Saved?", in Progressive Architecture, 2, 1994, pp. 4484. Fisher era nel 2000 preside del College of Architecture and Landscape Architecture della University of Minnesota [NdT].

[2] Andrew Saint, testo distribuito alla Harvard Graduate School of Design il 23/10/1993.

[3] cfr. Progressive Architecture, 9, 1993, p. 66.

[4] Edward Gunts, critico del Baltimore Sun, "La Fonte Meravigliosa dopo cinquant'anni: le aspettative degli architetti sono cambiate".

[5] Stanley Mathews, "Architettura, scienza e estetica".