Mario Praz

La danzatrice solitaria[1]

 

 

Scrivendo la prefazione alla versione italiana della scelta di racconti di William Sansom (Varie tentazioni, titolo inglese The Stories of William Sansom, Feltrinelli, Milano 1964) mi ero chiesto come mai l'autore avesse escluso da questa scelta uno dei racconti del volume A Contest of Ladies (Una contesa di signore, 1956), "The Ballroom", il quale, dicevo, pur sfruttando il trito motivo della vecchia signora che vive reclusa in una villa, ne sa cavare un fascino fiabesco. E proseguivo riassumendo il racconto: È la sera di Natale, e un giovanotto, incuriosito dalle voci che corrono sulla vecchia signora reclusa, scavalca il muro di cinta della villa, penetra nel romantico giardino. Le finestre neogotiche del pianterreno s'illuminano, e attraverso i vetri il giovane vede una sala da ballo dalle pareti adorne di specchi, con in mezzo un albero di Natale, e l'impressione di vivo e solitario splendore di quella sala dà più un senso di morte che se fosse squallida e derelitta. Ma l'atmosfera palpita di attesa come se una folla aspettasse fuori delle porte, ed ecco infatti improvvisamente la sala si riempie di bambine tutte ugualmente vestite di bianco con una fusciacca azzurra, ma in verità si tratta di una sola bimba riflessa dai tanti specchi, che danza da sé sola nel salone. Il giovane preme la faccia contro il vetro, la bambina lo vede, fa uno strillo e si ritira verso l'albero di Natale dove la sua veste prende fuoco alle candele. Il giovane rompe la vetrata, soffoca le fiamme, e tiene in braccio quella che da lontano sembrava una bambina, ma che le gambette esili venate di azzurro, i capelli d'un color grigio dorato, il viso avvizzito e imbellettato rivelano essere la misteriosa vecchia. Allora la fine di quest'anziana signora mi aveva fatto pensare alla morte di miss Havisham in Grandi aspettative di Dickens, ma non era questa derivazione che probabilmente aveva dissuaso l'autore dall'includere questo racconto nell'antologia. C'era un'altra fonte, ben più compromettente, e questa mi è capitata sotto gli occhi proprio leggendo in Sette storie gotiche di Karen Blixen (traduzione di Alessandra Scalero riveduta da Adriana Motti, Adelphi edizioni, Milano 1978) un episodio dell'ultimo dei racconti, "Il poeta" (Seven Gothic Tales furono pubblicate nel 1934). Di questo non fa cenno il Sansom nel volumetto The Birth of a Story (La nascita di una storia, 1972) dove parla della genesi della sua narrativa in genere, e di uno dei suoi racconti in particolare.

Nel racconto della Blixen (il cui nom de plume era Isak Dinesen) non un giovanotto, ma un anziano Consigliere, s'avvicina alla casa di una giovane vedova in aperta campagna per chiedere al portiere (per non disturbare i sonni della padrona di casa, essendo di prima mattina) un pezzo di corda per riparare il finimento rotto del suo calessino. Non aveva mai provato sorpresa più grande. La lunga serra, con le tre porte-finestre che s'aprivano sulla terrazza, aveva le pareti d'un celeste sbiaditosi di molto con il tempo. I pochi mobili erano stati rimossi e spinti contro le pareti. Ma il bel lampadario antico che pendeva al centro della sala splendeva tutto acceso; neppure una candela era stata dimenticata. Dalla gran boîte à musique moscovita, aperta sulla vecchia spinetta muta, usciva in alte note limpide la melodia di una mazurka. Eretta sulle punte dei piedi al centro della sala, la giovane signora della casa vestiva il brevissimo trasparente gonnellino della ballerina ... Teneva le braccia graziosamente incurvate sopra il capo: immobile, tendeva l'orecchio alla musica, ed era, il suo, il viso placido e contento di una bambola. All'inizio della sua battuta, improvvisamente si destò a vita. Adagio adagio alzò la gamba destra, la punta del piede dritta, verso il Consigliere, sempre più in alto, come se fosse sul punto di alzarsi da terra e di spiccare il volo. Segue la descrizione della danza. Non appena la boîte à musique cominciò a dar segni di essersi scaricata, la ballerina, guardando verso il Consigliere, cadde a terra, si accasció tutta con grazia suprema, come un fiore caduto con lo stelo all'insù ... Sentendo quello sguardo fisso su di sé, un poco intimorito, si tirò indietro. Quando tornò a guardare, ella s'era rialzata ... C'era nella sala un alto specchio, dolcemente premendo la palma sul cristallo, ella si protese e baciò la propria argentea immagine riflessa. Poi con un lungo spegnitoio ad una ad una spense le candele del lampadario. Aprì la porta, e in men che non si dica era sparita. Quella boîte à musique mi richiama lo scarabillo al suono del quale Isabella Inghirami, nel Forse che sì forse che no di D'Annunzio, danza la lasciva danza delle almee; ma qui il clima è tutt'altro, mentre invece è evidente che il Sansom ha rielaborato l'episodio della narratrice danese combinandolo con la reminiscenza di Dickens. Ma anche la Blixen non si sarà ricordata della danza a occhi chiusi di madamigella Lorenza, la 'figlia della morte' che Heine evoca nella seconda delle Notti fiorentine?

La musica dileguava in accenti sempre più sommessi ... Questa danza a occhi chiusi nella camera immersa nel silenzio della notte dava a quest'essere leggiadro un'apparenza così spettrale, che mi entrò addosso una grande inquietudine e rabbrividii a più riprese.

Direi che da questo contest of ladies danzatrici la Blixen merita il secondo posto dopo Heine. In lei il fiabesco nasce spontaneo, e altrettanto spontaneamente si ambienta contro lo sfondo del suo paese, la Danimarca. I fantasmi entrano in scena come la cosa più naturale del mondo, nei suoi racconti, e le metamorfosi dei personaggi, che il carnevale romano giustifica nella Principessa Brambilla di Hoffmann, nei racconti della Blixen si accettano quasi senza sorpresa. La meravigliosa storia della cantante Pellegrine Leoni che, perduta la voce nell'incendio del Teatro dell'Opera di Milano, sopravvive abdicando alla propria personalità, e presentandosi in forme diverse ai suoi adoratori a cui si sottrae, seguita come un'ombra dal vecchio ebreo suo amico e protettore, finché muore nel momento in cui ricupera la propria personalità di cantante, contiene in sintesi tutte le qualità della scrittrice. In cui non troverai certo la suspense di Poe, ma una familiarità col soprannaturale, una versione Biedermeier della Gothic tale; e veramente il personaggio più allarmante di tutta la compagnia era lei stessa, che mi capitò di incontrare in casa di Anna Laetitia Pecci-Blunt, uno scheletro dagli stinchi fasciati di calze blu trasparenti, con occhi come due succhielli, e un volto così scarso di carne, da somigliare a uno dei teschi animati di Félicien Rops. Come la madamigella Malin del racconto Diluvio a Nordemey (certo con tratti autobiografici, che ricorrono pure nelle donzelle de Coninck in La cena a Elsinore), la quale Malin sulle spalle portava quella testa di morto con cui gli speziali segnano le boccette dei veleni: una cosa poco allettante a baciare per un uomo. In un altro racconto, L'antico cavaliere, leggiamo: Dovrebbe essere facile, contemplando una danse macabre, individuare gli scheletri di coloro che in passato erano stati vere bellezze. Se avessi seguito questo suggerimento quando incontrai la Blixen in quel salotto romano, forse avrei potuto verificarne su di lei l'attendibilità. Ma anche così come la vedevo, c'era da chiedersi se non avesse realizzato una sua perfezione nel macabro.

L'eroica forza d'animo delle vecchie - è scritto in un altro racconto, "La Scimmia" - che a prezzo di grandi sforzi e con gran gusto riescono a farsi bellissime, più belle di quanto non lo siano state in gioventù - pur avendo perduto ogni speranza di risvegliare qualsiasi desiderio in cuore agli uomini. E ancora quest'altra sua riflessione poteva applicarsi alla scrittrice stessa: La fanciulla Athena doveva avere uno scheletro mirabile, di una squisita bellezza. Nella tomba avrebbe giaciuto come un pezzo di merletto d'incomparabile valore, come una statua d'avorio, la quale, dissepolta fra cent'anni, avrebbe fatto perdere la testa agli archeologi. Ogni osso era al suo posto, amorosamente rifinito come le parti di un violino ... Molti rapporti umani sarebbero infinitamente più facili, se fossimo ridotti a scheletri.

 



[1] Saggio del 1978 ora in Studi e svaghi inglesi, Garzanti, Milano 1983, pp 413-416. Mario Praz (1896-1982), uno dei maggiori anglisti italiani, fu docente d'italiano nelle Università di Liverpool e Manchester dal 1923 al '34, poi di inglese all'Università di Roma. Ha scritto migliaia di articoli e una quarantina di volumi. Grande appassionato e collezionista di mobili, quadri e oggetti del periodo neoclassico (Gusto neoclassico, 1940, La Casa della Vita, 1958, 1979) [NdR].