Vincenzo RUSSI

 

 

Le costituzioni melfitane e l’attività di Federico II costruttore: il mandato del 1240, una ritrovata architettura Cistercense.

 

 

 

 

Non osate parlare di Storia, senza

Prima rivolgervi ai Documenti, come

Non deve fabbricarsi senza i materiali,

se non volete ad ogni parola avere

una mentita e dar d’inciampo ad ogni passo.

(anonimo)

 

 

 

 

 

Dedico questo lavoro a

Francesco Marroni per avermi trasmesso il senso ed il significato dell’umiltà e della stima di sé stessi

Sandro Ranellucci per avermi insegnato il valore critico e passionale nel mestiere dell’Architetto

Delio e Anna senza i quali questo testo non avrebbe visto luce.

 

 

 

 

 

Il mandato del 28 (29) gennaio del 1240: incongruenze e conclusioni[1].

 

 

Quella della paternità federiciana risulta una tematica di notevole interesse per studiosi di architettura, storici, glottologi, medievisti, dacche’ unico riferimento che associa Federico II al Castello risulta appunto il famoso mandato dell’imperatore. Tutta una vasta gamma di competenze deriva dal fatto che dalle innumeri traduzioni si evincono una notevole qualità di ipotesi, non sufficienti pero’ suffragare il contrastato dilemma. Difatti altre indicazioni vanno desunte e ricercate altrove, al fine di, se non di risolvere il problema, fare ulteriore chiarezza sul tema in questione. Crediamo di essere giunti dunque, con l’ausilio di collaborazioni in campi specifici, ad una piu’ credibile e reale soluzione, nonche’ ad una piu’ riscontrabile certezza circa la non appartenenza[2] del supposto castello al nostro imperatore. Risulterà chiaro difatti, nelle pagine a seguire, dopo aver scorso i paragrafi precedenti, che questo edificio risulta realizzato con tecniche, materiali e maestranze locali, su progetto di altre committenze, e che in data 1240 questo fosse già realizzato da almeno 50 anni e compiuto in ogni sua parte. Di questa complessità fittizia, ne diamo qui’ di seguito solo qualche generale esempio.

Si tratta di una questione ancora dibattuta, quella che si svolge intorno all'unico documento che è di nostra conoscenza circa la costruzione di Castel del Monte, e cioè il mandato del 28 (o 29) gennaio 1240 che l'Imperatore Federico II invia da Gubbio al Giustiziere di Capitanata Riccardo di Montefuscolo. In particolare, l'attenzione è rivolta all'interpretazione del termine actractum , perché dalla sua spiegazione si determinerebbe la presumibile data di inizio, o di continuazione o di completamento dell'insigne Monumento. Nel timore di anticipare al lettore le numerose sottili disquisizioni linguistico-interpretative, si è preferito citare soltanto il contributo recentissimo del Leistikow[3], che, a detta dell’autore, vorrebbe essere esaustivo, ma che, a nostro modesto parere, tale non appare. Anche per questo contributo, tuttavia, ci corre l'obbligo di preparare il lettore, seppur sommariamente, ad una attenta lettura del testo, richiamando il parere di alcuni degli storici che se ne sono interessati[4].

Il Gregorovius, accennando al documento, dice: “II tempo in che venne edificato (Castel del Monte) sembra essere l'anno 1240”, a cui fa riscontro il nostro Vito Sgarra[5], sostenendo che il documento invitava il Montefuscolo a preservare dalle infiltrazioni piovane, con un lastrico di calcestruzzo, il Castello, la cui costruzione nel 1240 era scontata, considerato che lo Sgarra ne sostiene una preesistenza come “villa” romana, trasformata nel sec. XI in Castrum Netii. Mons. Merra, nella sua nota pubblicazione “Castel del Monte presso Andria” (ristampato a Molfetta il 1964) è il primo storico locale che, per quanto possibile, si avvale di documenti, rigetta l'ipotesi dello Sgarra, dando, sì, ad actractum il significato di lastrico, ma per completare il Castello a quella data. A sua volta il Willemsen, che ha dedicato molti suoi studi alla storia e all'architettura normanno-sveva, nel suo Castel del Monte (Adda editore-Bari), dà una versione del tutto nuova, affermando che al 1240 si doveva parlare di, “progetto” per la costruzione del Castello. Secondo lo storico tedesco “è molto improbabile che Castel del Monte sia stato ultimato quando l'Imperatore era in vita...”, e ciò è affermato in base alla interpretazione di actractum che, secondo lui, “non può riferirsi alla costruzione di pavimenti o del rivestimento della terrazza...” ma “..a procacciarsi senza indugio i materiali necessari per la costruzione del Castello che egli, l'Imperatore, voleva presso Sancta Maria de Monte“. Per il Cafaro, invece, alla data del diploma, il Castello era pressoché ultimato, poiché “la voce di bassa latinità actractus da tractus, sta ad indicare distesa, spianata cioè lastrico solare, non inteso come composto di lastre, ma come quella mescolanza compatta di calce, pietrisco ed altre materie (..in calce, lapidibus et omnibus aliis oportunis..) di cui solevano coprire le terrazze e anche i pavimenti nelle case pugliesi fino ai tempi recenti”. Il Petrucci, poi, in Pernix Apulia (Adda, Bari, 1971) ritoma alla ipotesi dello Sgarra circa l'intervento conservativo del Castello; mentre il prof. Musca (in “Castel del Monte - il reale e l'immaginario” - Adda editore) si riallaccia al Cafaro, affermando che “..sembra proprio che si trattasse di lavori di completamento, e se di tetto si parlava, ciò che lo sosteneva doveva essere già costruito..”. Per concludere questo rapido excursus, citeremo la recente interpretazione (per altro contestata dal Leistikow) del tedesco Götze (“Castel del Monte” - Hoepli, Milano) che traduce actractum con “esecuzione di uno strato di sistemazione (del terreno)... per la misurazione della pianta e per la costruzione di opere murarie”.

Ci siamo lasciati per ultimo due lavori che riteniamo fondamentali, per il loro rigore scientifico, al fine di meglio comprendere il contributo del Leistikow: “Castel del Monte” (Rossignoli, Andria 1921) di Riccardo Napolitano, frequentemente citato dal Leistikow, e “Andria - Federico II e il Castello di Santa Maria del Monte” (Sveva editrice, 1988) di Pasquale Barbangelo. Il Napolitano è chiamato più volte in causa dal Leistikow, perché dedica tutto il cap. VI del suo volumetto al decreto di Federico II. Dopo aver riportato le ipotesi o le affermazioni di diversi scrittori, il Napolitano fa un'analisi attenta delle espressioni in latino del documento e inparticolare di fieri volumus e del contestato actractum, confrontando altri documenti dell'epoca. Lo storico andriese, in ultima analisi, così conclude: “Non risultando dal decreto per quale parte dell'edifìcio l'acquisto del materiale dovesse servire, escluso che sia servito per le fondamenta o per il lastrico è da credersi che per il compimento del Castello si dovesse impiegare. Al 1240 i lavori di costruzione dovevano essere già molto inoltrati ed è probabile che volgessero alla fine; ma per la scarsezza del materiale forse una interruzione dei lavori dovette avvenire, alla quale dovettero anche influire ragioni di guerra. Federico perciò nel decreto del 28 gennaio 1240 ordinava il sollecito acquisto del materiale per affrettare il compimento della magnifica opera. A sua volta il Barbangelo, per la sua competenza in glottologia partendo dalle definizioni del Du Cange e collegandosi alle affermazioni del Napolitano, traduce il documento nel seguente modo: “Vogliamo che con urgenza tu provveda alla raccolta di materiale edilizio di risulta da utilizzare per il Castello che è nostra intenzione di erigere presso Santa Maria del Monte ...”. Il Barbangelo, però, si allontana dalle conclusioni del Napolitano, perché conclude prospettando al lettore due soluzioni: “All'epoca della lettera di Federico al suo Giustiziere di Capitanata o il Castello non era stato ancora iniziato, ed il materiale ordinato sarebbe servito per gettarne le fondamenta, o – se volumus fieri debba intendersi come un'affermazione di volontà di far procedere i lavori con rapidità - la sua costruzione era ben lungi dall 'essere compiuta”.

E finalmente giungiamo ad esaminare la monografia del Leistikow che si presenta nella sua interezza. Non condividiamo la sua affermazione secondo cui egli offre per la prima volta una spiegazione definitiva del documento di Gubbio; certamente non ha conosciuto il contributo del Barbangelo. Per lo storico tedesco, l'Imperatore al 1240 desidera costruire espressamente un castrum, un castello...”. La disquisizione del Leistikow, come si vedrà, si svolge con grande intuito, specialmente nel richiamare e talora contestare quanti si siano occupati dell 'argomento, con prove interessanti di riferimenti lessicali legati all'actractum, colti dal “Dictionary of Medieval Latin from British Sources” del 1975. Ribadisce, intanto, contestando il Napolitano, che “i fatti parlano... più per il progettato inizio della costruzione che per un'opera pienamente completata”, che poi è la tesi sostenuta dal citato Willemsen. Il Leistikow, infatti, è del parere che actractum potrebbe suonare al massimo materiale da approntare “, per cui si deve dedurre che il Castello al 1240 doveva essere ancora iniziato, confermando di conseguenza la paternità totale dell'opera a Federico II.

Come si evince da questo primo quadro di massima, la maggior parte degli autori da noi considerati, ancorano le loro certezze partendo proprio dalla traduzione del citato mandato, in particolare dalla varietà significante-etimologica del termine actractum. Riportiamo qui di seguito il testo in latino del mandato e la sua relativa traduzione[6]:

Cum pro castro, quod apud  S. Mariam de Monte fieri volumus per te, licet de tua iurisdictione non sit, instanter fieri volumus actractum, fidelitati tue precipiendo mandamus quatinus actractum ipsum in calce lapidibus et omnibus aliis oportunis fieri facies sine mora; significaturus  nobis frequenter, quid inde duxeris faciendum; tale in hoc studium habiturus ut sicut hor specialiter sollicitudini tue commictimus, sic etc..

Poiche’ per il Castello, che abbiamo intenzione di costruire vicino Santa Maria de Monte, vogliamo che venga subito eseguito tuo tramite - benche’ esso non stia nel distretto della tua giurisdizione l’actractum , ti incarichiamo, quale nostro fedele, di predisporre senza indugio questo atractum con calce, pietre e tutto il necessario, in attesa che tu ci tenga continuamente informati di cio’ che intendi fare in questa faccenda…”.

Dipendentemente da queste prime citazioni che, riportate di proposito, spaziando in tutte le direzioni possibili, mostrano il quadro completo delle varianti desumibili dal trattato e dalla traduzione risultata poi errata, prendiamo atto delle tre ipotesi deducibili:

1)      Accettando l’ipotesi di traduzione secondo la quale actractum significhi lastrico solare o solaio, il Castello deve intendersi come già eretto in data 28 (29) gennaio 1240, e cioe’ cio’ che sostiene qualcosa che si colloca ai livelli superiori deve necessariamente essere considerato come già esistente, già costruito.

2)      Nel caso si accetti la traduzione di actractum come pavimentazione questa ci induce a considerare due altre posizioni:

a)      che il Castello esistesse già;

b)      che il Castello fosse in fase di costruzione.

3)      Nel caso si traduca il termine come “fondamenta”, allora evidentemente il Castello esisteva       

solo come progetto, forma cartacea.

Giunti  a queste possibili direzioni di ricerca, procederemo ora con la disamina  di tutti i testi da noi considerati che su queste ipotesi si muovono, restando per inteso che, il nostro studio non intende stabilire, come fin qui’ risulta evidente, la data d’inizio o di fine costruzione, dato fra l’altro di secondaria importanza e comunque deducibile dal nostro lavoro, quanto invece certificarne o meno la paternità federiciana. Ovvero crediamo che il presente studio metta in chiara luce la storia legata al Castello, che in realtà non risulta legata in nessun modo all’imperatore Federico II  se non per il puro e semplice fatto di averlo, da un certo punto in poi, utilizzato mentre, nel corso dello svolgimento di questa decisiva parte, evidenzieremo non solo date di costruzione, di restauro, ecc., ma anche la diffusa ed errata convinzione che questo edificio fosse generato da riferimenti architettonici di origine araba, etc.  In realtà esiste una straordinaria quantità di materiale pubblicato che, per cio’ che concerne la data, lo sviluppo planimetrico, le citazioni progettuali, le soluzioni tecniche, la funzione stessa del Castello, hanno contribuito solo ad generare una notevole confusione; difatti di volta in volta, oltre a giungere a conclusioni del tutto risibili, in alcuni casi  si ha posizione molto prossima alla “cartomanzia”, c’è perfino chi si è affidato a sensitivi facendo dunque solo cadere questo magnifico monumento a livello dell’”oroscopo”. Ma procediamo con ordine.

A partire dagli autori Bonelli, Bozzoni, Pardo[7] sembra che questo insigne monumento sia stato affidato ad un “apparato centrale di pianificazione e di supervisione retto da un praepositus edificiorum “, senza peraltro spingersi, scelta cauta, verso una denominazione-funzione del Castello stesso. Restano chiare le profonde influenze dei modelli siciliani che, per questo motivo rimandano, alle culture architettoniche orientali, bizantine ed arabe, mentre costruttivamente riassume la tradizione romanica. Una sorte di coacervo dunque in cui un pizzico di “classicismo” ravvisato nella composizione del portale, non guasta, come non escludono, sposando le ipotesi avanzate dal Cadei, che in questo edificio si siano fuse piu’ dirette citazioni al “Duomo della Roccia”, sede dei Templari in Terrasanta, e agli impianti di approvvigionamento delle acque, secondo gli autori, apprezzati dall’imperatore in occasione della crociata (1228-29) ed importate. Ancora oltre nel testo compaiono altre affermazioni piuttosto leggere, che per la loro totale mancanza di riferimento, ci fanno chiedere se Castel del Monte fosse mai stato visitato dagli esimi storici. Per Guido Di Stefano[8] le cose si fanno piu’ complesse, più articolate, dacchè dopo vari studi sente la necessità di individuare ben tre periodi nell’ architettura federiciana: un primo, il piu’ antico, in cui “prevale lo stile romanico-pugliese, il secondo di transizione al gotico, il terzo che segna il trionfo di questo stile”, collocando in questo terzo periodo, che inizia guarda caso nel 1240, Castel del Monte.

Un trionfo di forme e piani  rigorosamente geometriche, espresse attraverso un linguaggio gotico che successivamente, secondo l’autore influenzerà le costruzioni dell’ordine Teutonico in Germania nei secoli XIII e XIV. Anche qui’ troviamo la profonda convinzione dell’autore sulla influenza che l’imperatore dovette “subire” in Oriente, circa le forme e lo stile gotico riferite pero’ alle architetture difensive (i dati cominciano ad essere più precisi!). A conferma di cio’ vi sarebbe il fatto che quegli stessi stilemi abbiano generato la chiesa di S. Elisabetta a Marburgo, in Germania, dove Federico si reco’ nel maggio del 36 per rendere omaggio alle spoglie della Santa in occasione della sua traslazione nel nuovo sarcofago[9], viaggio in cui sarebbe dovuto restarne colpito. Maggiore attenzione porrà sullo studio architettonico in particolare, che porterà l’autore ad affermare ”piu’ probabile che gli architetti siano stati italiani, formatisi alla scuola dei Cistercensi”, ipotesi a cui perviene considerando che Riccardo da Lentini, per i castelli siciliani, oltre che il protomagister  Bartolomeo per il  palazzo di Foggia, il protomagister Lifante per la porta-castello di Capua, i lapicidi Minervo di Canosa e Melfi da Stigliano, ed Ismahel per le sculture di Bari, sia il solo tecnico proveniente da una città in cui molte ed importanti fossero le fondazioni cistercensi, come l’abbadia di Roccadia e Murgo, quest’ultima “…voluta da Federico nel 1224 circa”. Una conclusione, un po’ affrettata, senza grandi giustificazioni forse, a cui, anche se condividiamo, si sarebbe dovuti  giungere seguendo un’altra strada. Non saranno le maggiori “coerenze” tratte dal  Brandi[10] a far chiarezza su alcuni temi che riteniamo comunque, insieme all’autore, forse un po’ troppo azzardati. E’ difatti dal suo “taccuino di viaggio”, composto secondo un linguaggio impressionistico ma non privo di puntuali considerazioni che apprendiamo di un “..edificio trasandato e maltenuto all’interno come all’esterno..” immagine di grande drammaticità nell’animo di chi considera questo edificio fra i preferiti, “…il più insigne, dopo il San Nicola”. Ne riscontra una regolarità che rimanda ai cristalli di mare, intuizione colta poi dal Götze, un “segreto incontro di civiltà” tutte partecipanti ad un equilibrio finale e concretato in quest’edificio.

Straordinario appare il suo equilibrio sintattico, quando sembra accennare a qualcosa che poi viene smentito, sviato verso o una ulteriore direzione, fà risalire alla mente la formula " inventata " dalla straordinaria mente dell' Argan, il quale  in occasione del fortuito ritrovamento di sassi creduti di mano autografa del Modigliani[11], dice: "sono oggetti di mano autografa ma non sono originali". Anche qui quando Brandi  afferma che "... si volle francese ma la strada era lunga,  dalla Francia alle Puglie: molte cose cambiavano per via, e già tante ne erano cambiate coi Normanni, che erano assai più francesi di Federico II", resta sul filo del giudizio, con una temerarietà che sà di provvidenziale, mentre certa risulta la incongruenza citazionale coi castelli Omayadi che secondo lui erano "...ancora la fattoria romana del deserto".

Chiara ne è la diretta realizzazione, per ciò che concerne gli impianti idrici, da parte di architetti arabi i quali fecero un'opera d'arte, anche se non si riscontra nessun' altra applicazione nelle restanti architetture federiciane. Poi salta a conclusioni un po' vaghe riferendosi alle parti strutturali che sanno di bizantino o romanico oppure arabe, ritornando dunque, insieme ad altre affermazioni, ad una non alienabile influenza orientale. Fra le altre osservazioni ci sembra giustificata quella che vede Federico un appassionato più di sculture che di pitture, difatti crediamo fosse più facile per l’imperatore acquistare opere e ubicarle  nelle sue residenze, trafugarle, sottrarle, che attendere il termine dei lavori di certosini e bravi pittori ad un probabile costo superiore. Finalmente si giunge a capire che quel castello (questa è la convinzione dell'autore, il quale fornisce addirittura una data cioè 1246, alla quale questo fosse già terminato) fosse stato di una scomodità unica, con quei passaggi obbligati a collegare le sale una con l'altra senza passare in una seconda intermedia, tranne che per il piano superiore, dove dalle evidenti tracce di alloggiamenti delle travi, si evince che queste fossero liberate dalla successione tramite un ballatoio ligneo, di cui però non ci resta traccia; ma d'altronde, per dirla con sue parole "... l'edilizia di Federico è stata disgraziata".

Questo aspetto sull'abitabilità sembra non aver creato nessun problema allo stesso imperatore, dacché sembra che, stando ad alcuni storici, vi abbia soggiornato di frequente, vi abbia trovato sollievo e sollazzo, cosa che purtroppo non ci trova in accordo, per molti motivi: il primo è che effettivamente l'imperatore non vide mai questo edificio, e poi cercando di immaginare il suo passeggio nelle sale, amando le comodità, la bellezza, ecc. ci sembra mai possibile che questo fosse addirittura fra i suoi manieri preferiti? Secondo Giuseppe Aurelio Lauria, autore della prima opera monografica sul castello (1861): "da questo castello prendono date parecchie delle costruzioni imperiali e molte lettere  ai principi della cristianità. L'Apud Castrum Montis  che in quelle si legge c'è argomento del piacer di Federico a godersi le delizie di quella dimora anche durante la stagione ibernale". Per Giuseppe Del Giudice, archivista del Grande Archivio di Napoli, nel suo "Riccardo Filangieri al tempo di Federico II" (1893): "Nelle cacce presso Castel del Monte, dimora favorita dell'imperatore, certamente il Filangieri accompagnava Federico, come falconiere ed intimo familiare".

In questa prima recensione, seppur sommaria, dacché ci si riferisce ai soli dati inerenti a Castel del Monte, si giunge ad una articolata ma pur sempre poco esaustiva visione di critici e storici su questo edificio. Continuando, come vedremo metteremo in risalto oltre che le mancate posizioni di fronte ad un tema che, per la vasta letteratura e l’importanza che l’edificio stesso riveste, ne richiede, anche le grandi cantonate che illustri studiosi hanno preso.

Ad esempio, un crogionolo di emeriti falsità emergono dal testo “Federico II immagine e potere”[12] costruito da numerosi autori fra cui personaggi di chiara fama, dove sembra si siano dati incontro i migliori sprovveduti in materia di architettura federiciana.

Vi troviamo la Calò Mariani che cerca di costruire importanti congetture fra l’altro non sopportandone alcuna con realistiche prove, una assoluta mancanza di veridicità nelle affermazioni che purtroppo ci fa rimpiangere il tempo e le economie destinate ai suoi testi . Vi troviamo pero’ il Di Paola che se da un lato risolleva le sorti del catalogo con acute osservazioni, dall’altro cade in affermazioni dall’aria gratuita. Quando ci parla dei restauri effetuati sugli edifici federiciani, fra cui Castel del Monte individuandone “…la tipica articolazione sintattica di bucature a ogiva, di contrafforti, con la pulitezza nell’accostamento dei conci e peducci, mensole e pilastri robustamente sobri che evidenziano../..quella sorta di caratteristica “standardizzazione” imperiale del fabbricare che costituisce quasi una “firma”…..”. Apprezzabili restano le intenzioni del Willemsen[13] che per cio’ che concerne l’architettura federiciana, “…Un gran numero di questi castelli sono stati costruiti dall’imperatore, o da lui fatti trasformare ed ampliare. Ancor piu’ impressionante della sistematicità con cui venne eseguito il recupero delle importanti fortezze già esistenti…”, restano le piu’ fondamentali indicazioni. Ma mentre anch’egli resta fermo sulla convinzione che i riferimenti tipologici castrali per i castelli costruiti ex novo risultano di derivazione orientale, cominciano ora ad acquisire importantissime nozioni sul castello stesso. Una costatazione straordinaria ad esempio risulta quella che si riferisce all’ingresso: sarebbe bastato abbassare il cancello dalle apposite aperture di manovra poste nella sala al di sopra dell’ingresso stesso, che l’edificio si fosse trasformato in una sorta di scrigno, inaccessibile da qualsiasi punto perimetrale, se non scavalcandolo.

Cosa portò mai dunque il committente a farsi costruire un edificio simile? Cosa si intendeva custodire all’interno di cosi’ prezioso da proteggerlo in modo cosi’ semplice ma nel contempo cosi’ sicuro? Di certo non ci riferiamo al Santo Graal, ipotesi pure contemplata, o souvenir del genere, lasceremo che a tempo debito ce ne parli lo stesso Tavolaro. Sempre come Castello viene letto e percepito dallo Imbriani[14] “..forse è una delle opere piu’ direttamente ispirate da Federico ..”, secondo il quale non solo l’opera viene commissionata dall’imperatore ma addirittura che fosse presente in cantiere.

Ed ancora di “castello” si parla nelle fondamentali opere del Kantorowicz, Horst ed altri ancora, mentre per questo primo excursus riservato agli autori che hanno appunto visto in questo edificio, una veste fortificata, o comunque riferibile ad una opera difensiva, abbiamo preferito conservarci al termine qualche considerazione su Götze[15].

Oltre alla ripetizione in media di otto volte a pagina del termine “plastico” e due volte “stereometrico”, si apprende che anche per l’autore questo risulta “una delle piu’ belle fortezze del Medioevo fatta costruire dall’imperatore Svevo Federico II”. 

Ne ravvisa riferimenti a “…costruzioni  dell’epoca  perso-achemenidica a Pasargadai e a Persepoli” ma per nostra fortuna resta ancorato all’idea che più dirette dipendenze si hanno nei confronti di architetture cistercensi. Poi esula da una linea più critica per approdare ad un fronte più goliardico, abbozzando un percorso grafico, che partendo dalle semplici figure geometriche giunge alla soluzione di Castel del Monte, trattando il tema esattamente come si farebbe con le costruzioni “ lego”. Se in questi testi gli autori non tentano di datare in modi più o meno certo l’edificio, ne danno però una funzione, una collocazione tipologico-costruttiva che pure concorre all’inquadramento temporale dell’attività edilizia federiciana che comunque si ravvisa e si riscontra. Ma a  questa prima attribuzione di castello, si contrappone tutta una più variegata letteratura in cui, con spiegazioni più o meno concrete, si trova certezza del fatto che l’edificio avesse funzione di maniero, di caccia, di domus, ecc.

E’ il caso del Fuiano[16], il quale sembra accettare l’idea che fosse stato lo stesso Federico a orientare i lavori di progettazione degli architetti e che in data 1240 il castello fosse già completato. Inoltre, come lo stesso Gregorovius, si inventerà la stupenda formula che individua Castel del Monte come un “castello dimora”, mentre il secondo lo definirà “castello di caccia”; di stessa opinione è il Cassi Ramelli[17]. Sarà il Tavolaro[18] a dare il colpo di grazia affermando si tratti ora di castello, ora di luogo sacro in cui si praticavano misteriosi riti iniziatici, ora come scrigno esoterico, ora addirittura di castello insistente sull’”Omphalos”, l’ombelico del mondo individuato come cavità posta al di sotto del piano su cui poggia lo stesso edificio.

Nel dispiegare questi meravigliosi risultati, gli occorrerà lo spazio di alcuni testi non uno solo, dato che scomoderà non solo sensitivi di sorta, ma interrogherà la scienza simbolica riferita al “Baphomet” individuato in un concio di chiave in volta; vorrà rappresentare tutto un processo progettuale che fa uso di proiezioni d’ombre che prodotte in determinati giorni dell’anno, secondo l’autore scandirebbero i punti di costruzione. In un solo termine “l’archeoastronomia”.

In verità sentiamo subito il dovere di accantonare queste bizzarre conclusioni semplicemente facendo presente che l’autore prende in considerazione come “gnomone”, un lato del cortile, quando invece l’altezza originaria dell’edificio fosse di almeno un piano più alta. Essendo questo un dato certo, non vagliato dall’autore, non ci resta che eliminare tali congetture presenti fra l’altro persino nella costruzione del portale, che sempre secondo il Tavolaro, risulta dalla proiezione del  pentagramma di Agrippa. Ma torniamo ora a questioni più reali e meno “divinatorie”, raccogliendo dapprima i nostri dati sino ad ora riscontrati e pesentando al termine le nostre conclusioni. Sappiamo che detto castello insistesse nelle immediate vicinanze di un complesso monastico, in particolare appartenente all’ordine benedettino (almeno cosi’ affermano alcuni autori)[19] dato riscontrabile in ben sei Bolle Papali datate fra il 1120 ed il 1192. Questa certezza ci viene data anche dal fatto che nei documenti angioini viene indicato ancora come …castrum nostrum S. Mariae de Monte ed ancora nel 1269 vengono citati espressamente anche castellanus et cappellanus S.Mariae de Monte mentre solo in un documento del 1 dicembre 1463 viene chiamato “Castel del Monte” decretandone cosi’ la  definitiva scomparsa dell’espressione “Castel di S .M.de Monte”.

Ora, considerando il nostro studio sulla etimologia terminologica dispiegato nel 2° capitolo, la politica “d’esproprio” e ridestinazione attuata dall’imperatore, riteniamo che il termine castrum si riferisca espressamente a Castel del Monte, da cui si intuisce che detto castello fosse stato già realizzato e compiuto in data 1240. Difatti ci sembra assurda l’intuizione secondo la quale con il termine castrum venisse indicato sia un borgo comunitario, che un singolo oggetto architettonico, ma più verosimilmente che, essendo la badia, l’aggregato di edifici che pur dovevano esserci ed il castello, tipologie del tutto differenti, riteniamo allora che ad ognuna di esse andasse una denominazione ben precisa. Il castello non contenendo in sé nessuna “cappella” a funzione religiosa, è di chiara conseguenza che il castrum fosse proprio rifirito a Castel del Monte, essendo chiaro inoltre che questo non venisse considerato un edificio a carattere difensivo e militare.

La data del 1240 si riferisce, secondo noi all’ordine impartito da Federico II a Riccardo di Montefuscolo, Giustiziere di Capitanata, di ricostruire questo actractum,  ordine giustificato[20] dal fatto che, pur non essendo il diretto referente per giurisdizione e competenza, si sa, il Giustiziere risulta una figura complessa, una sorta di “immagine” locale dell’imperatore, responsabile dell’ordine giuridico e della organizzazione di merci, traffici ecc. e comunque il preposto con il compito di esaudire soprattutto richieste imperiali.

In linea con il programma stabilito nello Statutum de reparatione, queste operazioni si protrarranno per tutto l’arco del trentennio che va dal 1220, data di emissione del citato decreto, fino al 1240 / 1245, dacchè pressanti ed enormi divennero verso la fine della sua terrena esistenza, i gravami politici, economici, ecc. al punto che limpida e da noi condivisa resta l’immagine kantarowicziana, di un imperatore stanco, provato e che quasi al termine della sua esistenza condusse una vita più raccolta, dedito più alla “uccellagione” che alla guerra.

Non è caso isolato quello della riparazione in Castel del Monte, difatti il 17 novembre del 1239, da Lodi ordinò di fare il “lastrico” alle torri di Capua:…faciendo astraco turrium ipsarum, ne propter pluviam devastare possent mictimus ut petitur lapidem marmorem tibi pro ipso opere faciat assignari…,[21]  il 28 (29) gennaio 1240 ne ordina la costruzione dell’ actractum in Castel del Monte, il 3 aprile 1240 dà incarico a Riccardo de Puleara della revisione dei lavori eseguiti a Capua[22]. Il 13 aprile 1240, l’imperatore ordina i lavori di riparazione ai castelli di Trani e Bari : quod in castris ipsis sale, domus, camere et edificia alia ae volte sunt que nisi cohoperiantur, propter pluvias sustinere potes curia nostra non modicam lesionem in eis, que vitari poterint sine magnis expensis ecc.[23]

E’chiaro dunque che alla data del mandato, il castello fosse già realizzato e che solo qualche anno prima, questo entrò a far parte dei possedimenti federiciani. Che fosse la sua domus o altro preferita lo escludiamo, dacchè è da ritenere che, oltre a non essere riuscito né a visitarlo (ciò è da accertare) né a vederlo restaurato, fosse stata premura delle stesso Riccardo di Montefuscolo nell’informare l’imperatore dello stato di conservazione in cui versava l’edificio, il quale in una consueta dettagliata lettera gli  consigliava di eseguire alcune opere di restauro: ”La favola dell’origine sveva di Castel del Monte, è di provenienza tedesca (alla quale si sono accodati i nostri illustri studiosi). Ciò è noto e ci dispensiamo da ogni ulteriore illustrazione”.[24]

Castel del Monte è un ottagono con torri angolari di uguale forma e prossochè  uguale dimensione. La fabbrica sembra poggiata sulla roccia su cui si innalza e sulle superfici delle pareti esterne spiccano le aperture che al piano terra sono monofore, tranne le facciate che contengono gli ingressi, mentre al piano superiore sono bifore e una trifora. I due piani sono interrotti da una cornice che, circondando l’intero edificio, si interrompe soltanto nella parete dov’è posto il portale principale. La posterla è ad arco acuto con spigolo smussato, mentre il portale maggiore, rivolto esattamente ad Oriente, è una vera e propria “opera d’arte” che si presente tra i tanti suggestivi particolari architettonici dell’insigne edifici. Il vono d’accesso è aperto esternamente, ad arco acuto su due esili colonne, sopra ciascuna delle quali posa una figura leonina stilofora.

Un’altra apertura è riquadrata da pilastri con capitelli intagliati, a fogliame e da un architrave liscio sul quale poggia una lunetta ad arco acuto. Tra le due porte vi è l’intercapedine entro cui scorreva la saracinesca di chiusura manovrata dal piano superiore. Dal portale principale si accede al piano terreno con le sue otto sale trapezoidali e con le imposte delle aperture, le mezzecolonne e i capitelli in breccia corallina. Nell’ottava sala sempre al piano terra sono conservate rare tracce degli originare pavimenti. Fasce marmoree di partizione con intarsi geometrici di esagoni di pietra bianca e tasselli neri, formano un singolare opus alexandrinum. Questa sala, insieme ad altre quattro del Castello, è munita di caminetto. Le vele della volta, non è credibile che fossero rivestite, come taluni hanno pensato, di decorazioni cromatiche delle quali manca ogni traccia od indizio. Il cortile, ripetendo e rispecchiando la pianta ottagona dell’edificio, ha le sue alte e nude pareti animate ognuna nella zona superiore dal tenue risalto di un’ampia arcata cieca a sesto acuto, posante su paraste angolari. Piccole monofore e oculi, sono distribuiti asimmetricamente, infatti le aperture non sono in asse tra loro e anche l’ampiezza delle pareti non è dappertutto la stessa. Al piano terreno tre porte sono aperte in corrispondenza delle sale, mentre sulle pareti del primo piano sono poste tre porte-finestre di squisita fattura. In esse l’architrave è collegata agli stipiti per mezzo di mensole intagliate, il tutto è breccia rossa corallina. Sempre sulle pareti del cortile, abbiamo una superficie rettangolare incassata nella muratura ed un bassorilievo e un altorilievo corrosi e semidistrutti ma di chiaro stile classico.

Attraverso le scale a chiocciola ricavate nei vani di alcune delle torri, si accede alle sale del piano superiore che sono in perfetta simmetria iconografica e di alzato con quelle del piano inferiore. Le colonne sono di bellissimo marmo cipollino, percorso da lunghe venature di vario colore e come tutte le pareti, dalla comice al sedile, erano rivestire del medesimo marmo, come dimostrano i pezzi di ripresa tuttora esistenti specialmente dietro i capitelli, e il piano ribassato delle pareti rispetto ad essi . Un sedile aggettante è posto alla base delle pareti che in alto, sopra le cornici marmoree, sono decorate con fasce di opus reticulatum alternato a ricorsi di pietra. La copertura, pur seguendo l’impostazione preesistente, ha gran parte dei condotti cambiati durante i vari restauri. Nel 1882 il Ministri della Pubblica Istruzione a riguardo delle torri affermava : ”Quelle torri si elevavano di un piano al di sopra del lastrico sempre del Castello.” Desta particolare attenzione l’esistenza di pozzi neri in corrispondenza delle latrine, ricavate all’interno delle torri e la presenza di cinque cisterne pensili disposte sulla sommità sempre delle torri. Al centro del cortile, invece, oltre alla cisterna, da appunti storici del 1800, si hanno notizie dell’esistenza di una vasca ottagonale munita di sedili. Di questa preesistenza oggi non vi è nessuna traccia, infatti, la corte è stata completamente ricoperta con una colata di cemento, lasciando intatta la cisterna sottostante. Il Troyli afferma l’esistenza di una passerella nel cortile all’altezza del primo piano, ma anche di questa preesistenza non vi sono tracce. 

I primi dubbi vengono da noi sollevati circa l’appartenenza della stessa badia ai Benedettini, i quali anche se presenti nel territorio di Capitanata, pur mancano dati sulla loro presenza in quel luogo e in detto periodo. Ci sembra invece più veritiera l’ipotesi che vede i Cistercensi insediati in loco[25] già da qualche tempo prima, e ciò per alcuni motivi: che i Benedettini fossero ben lungi dalla costruzione di una badia in quelle particolari situazioni territoriali, di posizione nonché economiche ecc., mentre risulta più vicina ad una tipologia insediativa di tipo cistercense. Inoltre resta più che soddisfacente tale riferimento se consideriamo che lo stesso complesso fosse dedicato al culto mariano, di fondamentale importanza per i “monaci bianchi”, di cui ampie notizie sulla loro diffusa presenza si possono riscontrare direttamente sul territorio.[26] Ancor più convinti ne usciamo se tenessimo presente che i Templari nascono quale “braccio armato” dell’Ordine Cistercense, una sorta di milizia al servizio dei Crociati con il preciso scopo di proteggere il loro cammino da eventuali pericoli durante i percorsi preferenziali, che portavano tutti al porto di imbarco di Brindisi.

Mentre i Benedettini in Puglia scomparivano inesorabilmente già dalla metà del XII sec. (a loro appartenne il monastero di S. Maria di Tremiti), vi subentrarono con maggiore vigore altri ordini come ad esempio i Cavalieri di Monte Vergine, i Cistercensi ai quali passò il monastero delle Tremiti nel 1236, la badia di Torremaggiore, ecc., i Templari ai quali andò S.Severo,[27] Volturino casale di Volturara, S. Maria delle Saline, i Cavalieri Tentonici che comprarono dai Benedettini di Santa Sofia di Benevento la chiesa di S. Leonardo presso Ascoli che chiamarono poi Torre Alemanna. In particolare la presenza templare la riscontriamo proprio a pochi km da Castel del Monte in località Sovereto, una frazione di Terlizzi (BA)  che nel medioevo fu  sede di ordini monastici e dei Templari, oltre che dei Giovanniti. Qui vi troviamo una chiesetta dove all’interno c’è una pietra tombale con sopra scolpito a bassorilievo un Templare, lo riconosciamo dalla “Tau“ vicino incisa, poi ancora dalla figura simile al Tetris che conosciamo se girassimo una qualsiasi scacchiera a rovescio, creduto fino a poco tempo addietro il gioco delle “nove pedine” con cui si dilettassero gli operai nelle ore di pausa.

Altra osservazione è quella che ci porta a considerare le feritoie sulle torri quali aperture per l’illuminazione interna e per l’aereazione dei locali di servizio, difatti troppo piccole e scomode, per via dello spessore murario, per essere feritoie nel senso proprio del termine, per intenderci simili a quelle che troviamo negli edifici fortificati. Altre osservazioni ci spingono comunque verso la direzione che ci fa vedere Castel del Monte non come architettura fortificata, come vorrebbero molti degli autori citati. Ad esempio che questo non avesse nessun accorgimento dettato dall’arte ossidionale pur trovandosi in pieno territorio a carattere strategico militare, cosa che ci lascia un po’ perplessi.

Innanzitutto non v’erano e non vi sono state riscontrate presenze né nei restauri né nei documenti, strutture proprie di un luogo fortificato come muro di cinta, torrioni, fossati, caditoi, ponti levatoi, ecc. (le tracce trovate dal Barnish non ci dicono nulla circa la loro dimensione e funzione), le scale a chiocciola sono destrorse invece che sinistrorse[28], l’unica chiusura di certa importanza era il cancello d’ingresso già citato, manovrato dall’interno al piano superiore. 

Continuando con le nostre osservazioni giungiamo a definire questo castello piuttosto scomodo nella sua funzione abitativa, per via dei percorsi obbligati, che se al pianterreno erano risolti con l’attraversamento della corte, al piano superiore dovevano essere risolti per la presenza di un ballatoio, come si evince dalle mensole restate e dagli alloggiamenti per le travi traverse, a meno che fra i misteriosi percorsi “iniziatici” non venisse contemplato il “camminare nel vuoto”. Ciò ci fa capire che se i doccioni di scarico delle acque meteoriche che danno all’esterno sono certamente originali, quelli disposti verso la corte sono falsi, come si evince dai registri dei restauri e che nulla hanno a che vedere con una ipotetica ricostruzione degli originali. Difatti ci sembra assurda l’idea che oltre ad una scomodità dei percorsi, si unisse l’umidità derivante dalle docce prese attraversando il ballatoio, dacchè questi sono diretti proprio sul percorso ligneo che riteniamo non avesse copertura. Pensiamo invece che questi fossero in origine in prospicienti degli attuali e che versassero le acque convogliate direttamente nella (nota in letteratura) vasca centrale, considerando l’arco formato dalla bocca dei doccioni alla probabile vasca di cui non abbiamo tracce, da un’altezza certificata superiore almeno di un paio di tutto il complesso. Le cisterne pensili non sono pensate come “recipienti” esterni, bensi’ ubicati in stanze, in locali, o comunque al chiuso, cosa che ci porta a pensare, dipendentemente dalle tracce riscontrabili sul tetto, che le stesse torri fossero appunto più alte da inglobare per intero le cisterne.

Ma altre constatazioni ci fanno intuire quale amena dimora fosse diventata per Federico se mai vi avesse abitato. Difatti, basterebbe visitare il castello in qualsiasi ora di un qualsiasi giorno per notare che, se all’esterno v’è una temperatura estiva, in assenza di vento, nelle stanze del castello vi si trova invece un turbinìo favoloso. Quale sconsiderato imperatore avrebbe sistemato in una di quelle stanze il suo baldacchino, i suoi libri, le sue pergamene ecc. pur non potendo usufruire di chiusure robuste (dacchè non vi sono tracce alcune di cardini) ?     

Inoltre se di scomodità stiamo parlando, riusciamo mai ad immaginarci l’imperatore salire e scendere con i suoi ampi manti accompagnando la sua madonna di turno, seguito da damigelle e cavalieri con tanto di armeria, su per quelle uniche, strette scale a chiocciola senza timore per l’incolumità propria nel capitolare senza sosta? E come avrebbero mai fatto le servitu’ a tirare sopra gli eventuali mobili che sicuramente dovevano pesare notevolmente con le loro enormi dimensioni,  senza contare che quelle sale mal si prestano ad essere rivestite di scaffali od altro?

Sembra che solo il “ritrovato” trono ligneo federiciano[29], vi possa aver trovato giusta collocazione, si sia potuto trasportare all’interno, dove l’autore oltre che ravvisarne tutti gli elementi  “firma“ di riferimento federiciano, vi scorge persino il disegno che avrebbe poi ispirato Castel del Monte. Tutto ciò sembra trovar conferma, se non fosse che in realtà il trono risulta di errata datazione, sicuramente precedente persino alla data di nascita di Federico chiaramente leggibile nelle iconografie decorative del trono stesso.

Ciò che cerchiamo di trasmettere ai vari Willemsen, Götze, Mariani, Cadei, è un senso pratico delle cose, desunte sia dai documenti, sia da una attenta osservazione e studio dell’oggetto in questione, che insieme ad altre cose ci fanno capire che non possiamo considerare una vasca che pure v’era all’interno della corte supposta di un unico blocco, una fatta sicuramente in più parti. Sarebbe stata impresa sovrumana oltre che unica nel suo genere nella Storia dell’Arte. Pochi dubbi al termine restano sulle qualità del castello, come ad esempio a cosa servissero quei condotti che troviamo in ogni sala in corrispondenza dell’alzata del primo gradino di ogni finestra al piano superiore, e di ogni sala al piano terra, notando che immettendosi nello spessore della muratura, dirigono verso l’esterno, fuori dal castello, (forse un sistema di scarico delle acque usate per la pulitura delle stesse sale).

Qualsiasi cosa si dica, i conci di chiave, i capitelli pensili e tutte le parti decorative comprese le colonne[30], lo stesso sistema costruttivo,[31] risultano molto prossime agli stilemi attuati dai costruttori e scultori dell’Ordine Cistercense, riscontrabili in ampi esempi non solo siti in Italia (Casamari, ecc.) ma anche nell’area borgognona in Francia da cui prende avvio la loro arte. La stessa simbologia risulta di chiaro riferimento al loro stile, che persino nel  “Baphomet“, mitica figura diabolica venerata dai misteriosi Templari, ora giungiamo a capire che si tratta della figura cristianissima dell’Angelo “Asmodeo“, contemplato e “venerato” dai monaci cistercensi.

 

In conclusione.

Facendo riferimento al solo mandato non riusciamo a cavarne molto, in particolare per ciò che concerne date di costruzione, ecc. Ci resta tuttavia chiaro però che il concetto di actractum che troviamo nel mandato, risulta riferito a “pavimentazione”, Federico difatti chiede al Giustiziere di Capitanata di approntare il materiale necessario per la costruzione (che come vedremo, sarà ricostruzione) della sola pavimentazione, confidando in essi nella celerità dell’operazione e nella sua competenza.

In sostanza il Castello non ha nessuna qualità di opera difensiva, nemmeno di una domus, questo difatti appartenne agli inizi ad un complesso monasteriale di monaci Cistercensi, eseguito secondo il loro indirizzo progettuale, adottando soluzioni stilistiche e tecniche a loro conosciute, ma fatte eseguire materialmente da operai, scultori e magister locali. Sarebbe diventato troppo oneroso anche per loro, Ordine facoltoso “protetto” dal Papa e di cui anche Federico ora vi faceva parte, portarsi dietro la specializzata manovalanza.

Giunti sul luogo, progetto alla mano, ingaggiano gli esecutori necessari, recuperano materiale sul luogo, tufo, calcare locale e breccia corallina cavata sempre nelle vicinanze e finalmente già nel 1150 il complesso che consta di dormitori, cucine, chiostro, cappella, ecc. è completato. Ovviamente questo castrum non fortificato, dunque verrà  dedicato dai monaci come di consueto al culto mariano.

Verrà costruita anche una sorte di “biblioteca”, un luogo di discussione e di studio, atto alla ricezione di monaci-trascrittori in cui poter tradurre documenti, pergamene e quant’altro fosse già di loro grande competenza[32]. Difatti quelle sale sono predisposte coi loro sedili perimetrali, più ad accettare presenze di questo genere che una corte imperiale o peggio soldatesche, animali esotici, falchi  a mò di covo. Si vuole che un sapere di tal fatta non sia un tesoro di inestimabile valore? E’ per questo che ne viene prevista quella ingegnosa chiusura a saracinesca che,  una volta abbassata non lascia spiragli di nessun genere. Ma durante l’uso di questo complesso qualcosa accade, un avvenimento di particolare importanza al punto da costringere i “monaci bianchi” ad abbandonare il complesso, cosa che avviene presumibilmente già alla fine del XII sec. Difatti se nelle citate Bolle Papali il Castello è chiamato castrum nostrum S.Mariae de Monte,  solo nel 1269 verranno citati espressamente  anche il castellanus et capellanus castri et capelle S. Mariae de Monte, deducendo da ciò che nel 1240 il castello era forse disabitato. Ipotesi plausibile, dato che non crediamo che in appena 40/50 anni ci fosse bisogno di lavori di restauro, a meno che  non ci sia stata una enorme usura da calpestìo o una assoluta mancanza di manutenzione.

Noi crediamo invece che dopo l’abbandono ci sia stato un utilizzo della struttura alquanto indiscriminato e abbondante, forse fu sosta dei crociati, che da li’a poco cammino, si sarebbero imbarcati, o conoscendone la prima proprietà, furono gli stessi Templari ad abitare incontrastati  il complesso (ricordiamo che a Sovereto l’ospedale eretto dai Giovanniti e poi usato dai Templari, era già in uso). Ma evidentemente furono ambedue le cause a determinarne la rovina: un primo abbandono e quindi mancanza di manutenzione, una intensa usura da parte di “soldatesche” Templari.

Ciò fino alla fatidica data del 1240, ma probabilmente molto prima gli “abusivi“  lasciarono il posto, considerati i non proprio ottimi rapporti intercorrenti fra Federico e i Templari stessi, al punto che già in occasione della crociata fatta dall’imperatore, nel ‘28 , bandirà l’ordine dal regno con pesanti ricriminazioni[33]. In qualche modo le attenzioni rivolte all’Ordine cominciarono a fruttare, perché in cambio di doni, elargizioni, ecc. nel ’24 volle persino far costruire per i cistercensi la badia di Murgo, questi affidarono alle cure dell’imperatore “economisti”, costruttori  ed altre appetibili ed utili maestranze. Federico non lasciò senza nessun impegno gli impavidi, cosicché li impiegò ognuno secondo le proprie capacità, nei rispettivi campi, ma soprattutto ne sfruttò le conoscenze in campo architettonico impiegandoli in ogni dove a progettare ex-novo ma soprattutto a provvedere secondo sue indicazioni alla ridestinazione d’uso del suo ingente patrimonio edilizio.

Riusci’persino a farsi cedere Castel del Monte oramai abbandonato e privo di interesse per gli stessi monaci, per il quale escludiamo avesse impiegato costruttori cistercensi, sarebbe stata una mossa alquanto meschina da parte sua. Dell’intero complesso, il Giustiziere di Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, ne invia una dettagliata descrizione affidandosi alle proprie capacità “estetiche” o magari coadiuvato da un protomagister, nella quale oltre che a descriverne le qualità ne accenna una eventuale trasformazione in domus.  Costruirne una ex-novo fra l’altro non avrebbe avuto molto senso dacchè Garagnone distava da Castel del Monte di appena sette miglia, c’era già Lagopesole, ed ancora il castello di Trani, solo una smodata passione spendereccia avrebbe potuto indurre l’imperatore alla costruzione di tanti edifici costosi, oltretutto cosi vicini fra loro, proprio in un momento in cui le finanze non rendevano più di tanto.

Federico, confidando nel suo Giustiziere, in tutta onestà decide di attivare per prima il Castello, ordinandone il restauro degli interni. Fa giungere sul luogo, cosi’come aveva fatto per Lucera, sculture classiche prelevate in una delle sue “campagne d’acquisto” per farle collocare nella corte interna (in errore sono la Mariani ecc. che pensano siano sculture databili all’epoca federiciana, dacchè quella fattura chiaramente parla di un linguaggio classico), nelle sale, ne ordina la decorazione scultorea interna in opus reticulatum, e per finire fa giungere i marmi che occorreranno per i rivestimenti interni. Difatti  se questi fossero stati posati durante la costruzione del castello, è presumibile che le stesse lastre passassero anche dietro le colonne e non che si interrompessero in corrispondenza di queste, come chiaramente si evince dalle tracce ancora evidenti e dalle grappe restate.

Solo nel 1240 giunge notizia del termine di questi primi lavori, e informato come voleva su tutto, invia un nuovo mandato in cui ne ordina la costruzione del “pavimento”, sicuramente pensato su idee, disegni geometrici visti ed ammirati in Oriente.

          Il “Duomo della Roccia”, il Santo Graal, e quant’altro di bizzarro, possono ora restare, come Castel del Monte, opere uniche ed originali.

 



[1] Per la parte iniziale, ci siamo avvalsi di un libero riferimento testuale di cui in nota 3, per la singolare chiarezza espositiva dei punti fondamentali da noi inclusi e contemplati nel presente lavoro.

[2] Con questo termine intendiamo la completa estraneità dell’imperatore all’edificio sia per ciò che concerne la commissione di realizzazione, la fase progettuale, sia la realizzazione. Difatti ci risulta altresì che, come con altri edifici fece, questo castello fu da lui espropriato a realizzazione già ultimata e restaurato, adattato, “abbellito” secondo le sue necessità.

[3] D. LEISTIKOW, Il mandato del 1240 dell’Imperatore Federico II per Castel del Monte, in “Quaderni de la Voce di Andria”, Sveva editrice, Andria.

[4] Ringraziamo, fra gli altri collaboratori che di volta in volta verranno citati, la cortese persona di Marco Berisso dell’Università di Genova per il suo squisito nozionismo trasmessoci nella traduzione del famoso “mandato”.

[5] V. SGARRA, La città di Netium, ed. Libreria E. Mantegazza, Roma, 1917, p. 50.

[6] Il testo in latino medievale può essere raffrontato dal mandato che riportiamo in figura, mentre per la traduzione riportiamo per ora il testo che il Leistikow insieme ad Heinz Erich Stiene, Dip. Latino Medievale dell’Istituto per la scienza dell’Antichità dell’Università di Colonia, così interpretano.

[7] R. BONELLI – C. BOZZONI – V. FRANCHETTI PARDO, Storia dell’Architettura Medievale, ed. Laterza, bari, 1997, pp. 301 sgg.

[8] G. DI STEFANO, Architettura Sveva, in “Palladio”, anno III, n. I, 1939, Roma.

[9] E. HORST, Federico II di Svevia, ed. BUR, Milano, 1994, p. 245.

[10] C. BRANDI, Pellegrino di Puglia, ed, Laterza, bari, 1977, pp. 63 sgg.

[11] In realtà si trattò di una bufala, di uno scherzo che nel '95 un gruppetto di goliardici  studenti fece al mondo della critica, abbozzando con un black and decker, con un trapano, delle teste e poi buttandole a mare. Al ritrovamento critici del calibro di Zevi, mentre Sgarbi si astenne da qualsiasi conclusione, affermando la mano autografa di quei pezzi di Modigliani

[12] AA. VV., Federico II immagine e potere, ed Marsilio, Venezia, 1995.

[13] C. A. WILLEMSEN – D. ODENTHAL, Puglia, terra dei Normanni e degli Svevi, ed. Laterza, Bari, 1990 (rist.), pp. 48-49.

[14] I. EUGENIO, Federico il costruttore, in “La Puglia dei Castelli, AA. VV., Edizioni del Grifo, Lecce, 1994, p. 68.

[15] H. GÖTZE, Castel del Monte, ed. Hoepli, Milano, 1988.

[16] M. FUIANO, Castelli in Puglia nei secoli X-XIII, in Archivio Storico Pugliese, anno XXXI, Fasc. I-IV, p. 44.

[17] A. CASSI RAMELLI, Dalle caverne ai rifugi blindati, Mario Adda Editore, Bari, 1996, p. 210.

[18] Delle sue straordinarie “opere” letterarie rimandiamo il lettore alla bibliografia generale.

[19] FORGES – DAVANZATI, Dissertazioni sulla seconda moglie di Manfredi e sui loro figliuoli, cap XIII, p. 62, nota 2.

[20] D. LEISTIKOW, op. cit., p. 35.

Con questa annotazione ci riferiamo a quanti si siano posti la domanda del perché ad un giustiziere fosse stato diretto il mandato e non ad un protomagister.

[21] H. BREHOLLES, Historia Diplomatica, v. V, par. 1, p. 513.

[22] H. B., op, cit., v. V, par. 1, p. 550.

[23] H. B., op, cit., v. V, par. 3, p. 895.

[24] V. SGARRA, op.cit., p. 56. l’aggiunta in parentesi è nostra considerazione.

[25] G. SCIANNAMEA, Iniziazione a castel del Monte, Mario Adda Editore, Bari, 1993, p. 13. Qui si insediarono nel 1258 i frati Cistercensi provenienti da S. Maria d’Arabona.

[26] L. J. LOUIS, I Cistercensi Ideali e Realtà, Certosa di Pavia, Pavia, 1989. Riteniamo questa un’opera fondamentale per lo studio sull’Ordine Cistercense, della cui conoscenza ne siamo giunti grazie al gentile dono di padre Goffredo Viti dell’Ordine Cistercense della Certosa di Firenze, al quale va la nostra sincera gratitudine per la collaborazione prestataci per il presente lavoro.

[27] Testimonianze chiare si ricevono dalla diretta ricognizione sul Duomo di Orvieto, sulla chiesa di S. Severino a San Severo (FG) dove sulla facciata laterale, di probabile ricostruzione del protomagister Bartolomeo da Foggia, i moderni restauri non sono riusciti a distruggere quegli esemplari straordinari di simbologie Templari: la croce Templare e la triplice cinta. Per il tema specifico si sono consultati i testi di:

-          R. GUÉNON, Simboli della Scienza sacra, ed. Adelphi, Milano, 1975.

-          C. DI TARANTO, La Capitanata al tempo dei Normanni e degli Svevi, ed. del Rosone, Foggia, 1994.

-          AA. VV., Dizionario dei Simboli, BUR, Milano, 1992.

-          S. DE SANDOLI, Corpus Inscriptionum Crucesignatorum Terrae Sanctae, (edizione telematica del testo visitabile al sito www.christusrex.org, della Biblioteca Vaticana)

 

 

[28] Così come abbiamo constatato a Lucera la presenza della porta sinistra, anche in un castello tutti i particolari costruttivi erano pensati al fine di costituire un ostacolo ai potenziali nemici. Difatti una scala sinistrorsa, che sale da sinistra verso destra, avrebbe impegnato la mano destra dell’assalitore costringendolo, una volta giunto al piano, di cambiare di mano l’arma. Ciò avrebbe dato tutto il tempo necessario ai soldati in difesa, di ferire se non uccidere l’assalitore stesso. Quelle che troviamo in Castel del Monte essendo destrorse invalidano questo seppur minimale accorgimento, ma che ne conferma la sua funzione non militare.

[29] L. CAPALDO, Il trono ligneo di Federico II, in «Atti dell'accademia Pontaniana, vol. XLVII, ed. Giannini, Napoli, 1999.

[30] Più ampia trattazione che però riteniamo poco convincente è quella esposta dalla Calò mariani in AA. VV. Federico II,…op. cit., secondo la quale, le decorazioni sarebbero da riferirsi a stilemi romanico-pugliese, ed altri ancora. In realtà, crediamo che gli esecutori siano maestranze locali, mentre i riferimenti sintattico-rappresentativo siano da attribuirsi a contenuti Cistercensi.

[31] Per il A. CADEI, Federico II e l'Arte del Duecento italiano, Galatina, 1980, questo sarebbe derivato da tecniche impiegate dai Templari, o comunque dai costruttori degli Ordini militari in Oriente, ravvisati persino nel similare sistema bugnato, ecc.              

[32] La particolarità che ci spinge a considerare questo edificio appunto con detta funzione è quella che in condizioni ambientali consone, cioè in assenza di foschìa, di calura, e quindi in presenza di aria tersa, dal castello si può avere campo libero per almeno 40 km, a 360°. Quindi l’ipotesi che venisse usato dai Cistercensi anche come osservatorio non è da escludere.

[33] Teniamo presente dalla storia federiciana del Kantorowicz, che se nell’ultimo decennio le pesanti e gravi condizioni di un regno non più unitario, di una economia ormai allo stremo, di una popolazione sempre in continuo e crescente subbuglio, porteranno l’imperatore fra le altre azioni, alla confisca dei beni appartenenti ai Templari innanzitutto, ma anche ai Cistercensi, solo in punto di morte vorrà redimersi nei confronti di quest’ultimi disponendo del rilascio delle proprietà e vestendo persino abiti Cistercensi. Nulla a riguardo dei templari.