di Sandro Angelucci

Coerenza, coraggio, dignità e sicura poesia: le risposte di Salvatore Arcidiacono allo sconforto in La linea delle croci. (Il meridiano ed. S. Marco di Castellabate 2002)

«C’è costante disperazione nella tua poesia. Senonché la poesia stessa riscatta la disperazione, la identifica con se stessa, la rende viva manifestazione d’intelligenza, di sensibilità, d’interesse per il mondo, di vita profonda»: così Rosario Villari, il 23 dicembre 1980, in uno degli interventi critici riportati in calce al volume “La linea delle croci” di Salvatore Arcidiacono e riferibile, la data lo conferma, a precedenti prove dell’intensa e vasta attività poetica del Nostro. Sicuramente assegnabile, questa asserzione, all’opera che, ora, si vuol prendere in esame: a dimostrazione della grande coerenza, tematica ed espressiva, del pur lungo curriculum letterario del Poeta siciliano.
Ma qual è la materia, quali sono i temi con i quali, in questo libro, Arcidiacono si misura? Sono sempre gli stessi, quelli che ci affliggono da secoli, «da quando i paladini del benessere / assicurano la pace, / in ogni lembo della terra» e «per la povera gente / ogni giorno è guerra» (“La povera gente”) «mentre Creso trionfa… Cristo è ormai una nube» (“La pace”).  Sono quelli del «vizio antico» di chi è avvezzo a «stivare oltre il bordo» e ad «inchiodare alla croce» chi non è disposto a stringere «un patto con Caino». Ineluttabile allora lo scoramento di «quella foglia / che cade senza vento» (“La foglia”) metafora di un uomo con le vene turgide «di enzimi di rivolta» (“La linea delle croci”) e della sua anima vanamente protesa nella «ricerca di congeneri». «Credimi» dice coinvolgendoci Arcidiacono, «non v’è salvezza… / che un’isola facendo di se stessi», ma nell’istante stesso in cui propone l’unica, possibile via di scampo, ecco la parola, tramite i versi, assumere l’originaria funzione salvifica e la poesia, in un atto d’amore, prima caricarsi del nostro dolore e poi sfidarlo, certa della vittoria. Non c’è però conflittualità anche se il poeta si mette in ascolto «se di lotte un fragore rechi il vento»: la battaglia che auspica è incruenta, combattuta da chi ha scelto di dire NO in un modo in cui perfino l’umanità è in vendita: «E se affermassi ormai non è che vendersi / non cercate il mio prezzo: / io non sono quotato. / Voglio soltanto essere chi sono: / uomo fuori mercato» (“Fuori mercato”). Coraggio, dignità, dunque, come risposta alla disperazione, «…immagini che sembrano acquistare una certa autonomia in un tessuto linguistico che, in certi momenti, si fa molto ardito» stima e conforta David Maria Turoldo in un altro intervento sicuramente proiettabile a “La linea delle croci”. E, per rendere completa giustizia al lavoro di Arcidiacono, è bene sottolineare ancora la composta liricità di alcuni passi del suo dettato: «S’affaccia sullo stretto il mio poggiolo… / consegna all’orizzonte / le fiamme ansiose delle mie colombe» (“Il mio poggiolo”). «Basterà pure a noi questa tua musica… / Se a te cantò quel solitario accordo / dei venti, canterà pure per noi» (“Per Vittorio Sereni”). Ci piace concludere il doveroso omaggio all’opera di un vero poeta con il forte augurio e la gradita speranza dell’ultimo verso della toccante dedica a Sereni: «Perché sia ancora vita la tua morte».