- «C’è
costante disperazione nella tua poesia. Senonché la poesia stessa
riscatta la disperazione, la identifica con se stessa, la rende
viva manifestazione d’intelligenza, di sensibilità,
d’interesse per il mondo, di vita profonda»: così Rosario
Villari, il 23 dicembre 1980, in uno degli interventi critici
riportati in calce al volume “La linea delle croci” di
Salvatore Arcidiacono e riferibile, la data lo conferma, a
precedenti prove dell’intensa e vasta attività poetica del
Nostro. Sicuramente assegnabile, questa asserzione, all’opera
che, ora, si vuol prendere in esame: a dimostrazione della grande
coerenza, tematica ed espressiva, del pur lungo curriculum
letterario del Poeta siciliano.
- Ma qual
è la materia, quali sono i temi con i quali, in questo libro,
Arcidiacono si misura? Sono sempre gli stessi, quelli che ci
affliggono da secoli, «da quando i paladini del benessere /
assicurano la pace, / in ogni lembo della terra» e «per la
povera gente / ogni giorno è guerra» (“La povera gente”) «mentre
Creso trionfa… Cristo è ormai una nube» (“La pace”).
Sono quelli del «vizio antico» di chi è avvezzo a «stivare
oltre il bordo» e ad «inchiodare alla croce» chi non è
disposto a stringere «un patto con Caino». Ineluttabile allora
lo scoramento di «quella foglia / che cade senza vento» (“La
foglia”) metafora di un uomo con le vene turgide «di enzimi di
rivolta» (“La linea delle croci”) e della sua anima vanamente
protesa nella «ricerca di congeneri». «Credimi» dice
coinvolgendoci Arcidiacono, «non v’è salvezza… / che
un’isola facendo di se stessi», ma nell’istante stesso in cui
propone l’unica, possibile via di scampo, ecco la parola,
tramite i versi, assumere l’originaria funzione salvifica e la
poesia, in un atto d’amore, prima caricarsi del nostro dolore e
poi sfidarlo, certa della vittoria. Non c’è però conflittualità
anche se il poeta si mette in ascolto «se di lotte un fragore
rechi il vento»: la battaglia che auspica è incruenta,
combattuta da chi ha scelto di dire NO in un modo in cui perfino
l’umanità è in vendita: «E se affermassi ormai non è che
vendersi / non cercate il mio prezzo: / io non sono quotato. /
Voglio soltanto essere chi sono: / uomo fuori mercato» (“Fuori
mercato”). Coraggio, dignità, dunque, come risposta alla
disperazione, «…immagini che sembrano acquistare una certa
autonomia in un tessuto linguistico che, in certi momenti, si fa
molto ardito» stima e conforta David Maria Turoldo in un altro
intervento sicuramente proiettabile a “La linea delle croci”.
E, per rendere completa giustizia al lavoro di Arcidiacono, è
bene sottolineare ancora la composta liricità di alcuni passi del
suo dettato: «S’affaccia sullo stretto il mio poggiolo… /
consegna all’orizzonte / le fiamme ansiose delle mie colombe»
(“Il mio poggiolo”). «Basterà pure a noi questa tua
musica… / Se a te cantò quel solitario accordo / dei venti,
canterà pure per noi» (“Per Vittorio Sereni”). Ci piace
concludere il doveroso omaggio all’opera di un vero poeta con il
forte augurio e la gradita speranza dell’ultimo verso della
toccante dedica a Sereni: «Perché sia ancora vita la tua morte».