Culto e cultura di S. Giacomo in Sicilia
di Giuseppe Arlotta*
 
La pratica del pellegrinaggio appartiene al patrimonio culturale e spirituale dell’uomo e, in particolare, nel Medioevo coinvolse una moltitudine di gente diretta a Gerusalemme, Roma e Santiago di Compostella. Compostella è il ‘campus stellae’, il campo indicato da una stella come il luogo dove era nascosto il sepolcro di Sant’Iago, ovvero dell’Apostolo Giacomo il Maggiore.
Il “Liber Sancti Jacobi”, compilato nel XII sec., è la fonte più importante per la storia del pellegrinaggio a Santiago. In esso si narra che l’Apostolo Giacomo fu condannato a morte a Gerusalemme e il suo corpo fu trasportato sulla costa della Galizia dai suoi discepoli. Questi chiesero alla nobile Luparia un luogo dove poter seppellire il corpo dell’Apostolo. Ma la donna per liberarsi di loro, li mandò sul vicino monte Ilicino dominato da un drago fiammeggiante, simbolo del demonio. I discepoli, però, sconfissero il drago con il segno della croce e tornarono al palazzo di Luparia la quale, scossa dall’avvenimento prodigioso, fece costruire un sepolcro per custodire il corpo dell’Apostolo. Il “Liber” narra anche che il luogo divenne meta di incessanti pellegrinaggi fino a quando la Spagna non fu inva-sa dai Saraceni i quali impedirono ai pellegrini di raggiungere Santiago di Compostella. Allora s. Giacomo apparve in sogno a Carlomagno il quale liberò la strada dagli infe-deli e permise ai pellegrini di tornare sul sepolcro del santo.
Questa ‘chanson de geste’, come tutte le storie di Carlomagno e dei suoi paladini, entusiasmò l’uomo medievale e, in particolare, il pellegrino il quale, per superare i disagi e le paure che insorgevano durante il viaggio, oltre che raccomandarsi a Dio, era solito richiamare alla mente le gesta di Carlomagno, di Orlando, di Oliveri e di tanti altri eroi che avevano sacrificato la loro vita per difendere la fede cristiana, tanto da essere considerati santi. Le storie di S. Giacomo si diffusero rapidamente e il culto di S. Giacomo si propagò per tutta l’Europa, grazie anche ai monaci benedettini di Cluny che si prodigarono per diffondere il pellegrinaggio a Santiago. Il flusso continuo di pellegrini sulla tomba dell’Apostolo determinò fecondi scambi culturali ed economici che consentirono alla Spagna cristiana di uscire dall’isolamento dal resto dell’Europa causato dalla dominazione dei Saraceni.
Anche la Sicilia fu affascinata dalle storie provenienti da Santiago, soprattutto quando nell’isola giunse una moltitudine di gente d’Oltr’Alpe al seguito delle truppe normanne. Sulla costa settentrionale dell’isola, ancora oggi sono rimasti invariati alcuni toponimi legati alla ‘chanson de geste’. Essi indicano il tratto più difficoltoso della strada che conduce da Palermo a Messina, cioè quello compreso tra i due promontori detti Capo d’Orlando e Capo Oliveri, oggi Capo Tindari, i quali portano i nomi dei due più valorosi paladini di Carlomagno. Lungo questa strada, nel territorio di Patti, che è compreso tra i due promontori, si rilevano due oronimi appartenenti alla stessa tematica. Uno identifica il monte Gioiosa, l'altro è attestato come Monjoy e anche come Mongioia, oggi Monte Giove. Nell’epica carolingia, infatti, Gioiosa è il nome della spada di Carlomagno, e Mongioia, in francese ‘monjoie’, indica indiffe-rentemente sia l’orifiamma sia il grido di guerra dell’imperatore. Sempre nel territorio di Patti si rilevano il toponimo Galice, dizione francese di Galizia, e l’oronimo Ilici, ricon-ducibile al citato monte Ilicino della tradizione compostellana. Gli ideatori di questa suggestiva toponomastica potrebbero essere stati i monaci dell’importante abbazia benedettina di Lipari-Patti i quali, secondo il diplomatista Carlo Alberto Garufi, provenivano da Cluny che nel Medioevo, come sappiamo, fu il maggiore centro di diffusione della pratica del pellegrinaggio a Santiago. Anche lo storico Wolfgang Krönig ricollega alcuni elementi architettonici del chiostro dell’abbazia normanna di Lipari alla tradizione benedettina cluniacense.
Il legame tra la Sicilia e Santiago di Compostella è documentato nel XII sec. proprio dal “Liber Sancti Jacobi”, nel quale si registra la presenza di pellegrini siciliani sul sepolcro dell'Apostolo Giacomo. Nello stesso secolo sono attestate le chiese siciliane di S. Giacomo ubicate a Parti-nico, a S. Filadelfo Marina, oggi Acquedolci, a Calò, nei pressi dell’odierna Novara di Sicilia e, inoltre, a Licata e a Comiso, mentre risalgono al XIII sec. le chiese di Capizzi e di Castronovo di Sicilia. Per alcune di esse è documentato anche l’annesso ‘hospitale’ per l’accoglienza dei pellegrini in transito. Infatti, queste strutture sorgevano prevalente-mente lungo importanti strade che nel Medioevo erano chiamate vie Francigene, un'espressione giunta, per irradia-zione sinonimica, nella Sicilia normanna, dove aveva con-servato lo stesso significato di via di pellegrinaggio ben noto nell’Italia settentrionale. La chiesa di S. Giacomo di Partinico e quella di S. Filadelfo Marina, dotata di ‘hospita-le’, sorgevano sulla strada che da Trapani, attraverso Palermo e la via Francigena della Piana di Milazzo, conduceva a Messina. La chiesa di S. Giacomo di Licata, anch’essa munita di ‘hospitale’, era ubicata lungo l’asse viario che da Agrigento, attraverso Gela e la via Francigena di Vizzini, consentiva di raggiungere Messina. La chiesa di S. Giacomo di Castronovo di Sicilia, sorgeva in un’area di transito nota nel Medioevo per la «magna via francigena Castrinovi» la quale puntava a nord-est e si allacciava alle due grandi arterie che conducevano a Messina. La città peloritana era il punto di convergenza e di smistamento per coloro che erano diretti a Gerusalemme, Roma e Santiago. Infatti, sulle sponde dello Stretto giungevano pellegrini da tutt’Europa ai quali si univano quelli provenienti da ogni parte della Sicilia. Tra questi ricordiamo la messinese Calofina che nell’ottobre del 1253 aveva già compiuto un viaggio in Terrasanta ed era in procinto di partire per Santiago. Altre chiese di S. Giacomo si rilevano dalle Rationes decimarum pagate tra il 1308 e il 1310 alla Chiesa di Roma. Tra queste segnaliamo le strutture di Enna, Mineo e Vizzini che erano registrate sotto il titolo di S. Giacomo de Altopassu, con evidente riferimento al noto hospitale toscano, ubicato nella diocesi di Lucca. Da qui, infatti, nel 1373 furono inviati a Naro, nella diocesi di Agrigento, tre visitatores «ad recognoscenda jura, hospitalia et Ecclesias» dislocati sul terri-torio siciliano. L’’hospitale’ di Naro era di giuspatronato regio e fu affidato ai Cavalieri dell’Ordine di S. Giacomo d’Altopascio, detti anche Cavalieri del Tau, molto probabil-mente per la loro esperienza nella manutenzione e nella difesa delle strade battute dai pellegrini, i quali erano sempre più esposti alle aggressioni di malviventi.
Proprio per la pericolosità del lungo viaggio, spesso il devoto sceglieva di farsi sostituire da qualcuno che si metteva in cammino dietro compenso di denaro. A Termini Imerese, per esempio, il benestante Giacomo de Aricio, nel testamento dettato nel 1436, tra le altre disposi-zioni, obbligava le due figlie, sue eredi universali, a pagare un pellegrino perché andasse a Santiago in sua vece. Per ovviare al lungo e pericoloso viaggio in Galizia, furono scelte mete alternative più vicine. Al XV sec. si fa risalire la chiesetta di S. Giacomo di Modica, nel Ragusano, la quale alla fine del XIX sec. era ancora meta di pellegrinaggio. Essa si raggiungeva attraverso una strada irta di sassi, che bisognava percorrere, in assoluto silenzio, nella notte compresa tra il 24 e il 25 luglio. Affrontare le difficoltà del cammino terreno significava evitare, dopo la morte, lo spaventoso viaggio nella «immensa sequela di spade» affilate in cui la «povera anima, nuda e coi piedi scalzi», si sarebbe destreggiata durante il viaggio nell’aldilà. Anche a Piazza Armerina, fino a circa trent'anni fa, nella notte del 25 luglio si svolgeva una processione penitenziale dalla chiesa di S. Giacomo, vicino al cimitero Bellìa, fino alla contrada Santa Croce e da qui ritornava al punto di partenza. Ogni partecipante portava un cero acceso e doveva pregare in silenzio, fino a quando il capo proces-sione non autorizzava a gridare: «Sto facendo il viaggio a S. Giacomo». Anche qui la finalità del viaggio era sempre la stessa, cioè espiare i peccati da vivi per alleviare le sofferenze nel Purgatorio. Le autorità ecclesiastiche, però, erano contrarie a questa cerimonia, perché nella processione si inserivano gli adepti di una setta stregonica chiamata la Settima, i quali praticavano riti esoterici con la pretesa di conoscere in anticipo il giorno della morte.
La difficoltà del lungo e pericoloso viaggio a Santiago fece, dunque, ripiegare il penitente sul pellegrinaggio breve diretto alle vicine chiesette di S. Giacomo e, al tempo stesso, provocò un ampliamento delle pratiche penitenziali con la diffusione delle ‘domus disciplinae’. Erano queste, le chiese delle confraternite di disciplinati, cioè di penitenti che espiavano i loro peccati percuotendosi con la disciplina, ossia con il flagello, in memoria della Passione di Cristo. A Trapani la chiesa di S. Giacomo de disciplina, che sorgeva dove oggi è la Biblioteca Fardelliana, era già attiva nel 1420 e la sua «confratria di disciplina» è segnalata come tale ancora nel 1579. A Castiglione di Sicilia, sulle pendici dell’Etna, la chiesa di S. Giacomo, sede dell'omonima confraternita già nel 1539, è attestata come ‘domus disciplinae’ nel 1567. Gli anziani ricordano che, fino a 50 anni fa, i confrati colpevoli di gravi reati dovevano portare, sostenuta da una corda, una pietra al collo del peso di 8 Kg. con la quale dovevano girare attorno a tre altari della chiesa di S. Giacomo recitando il «mea culpa».
Castiglione è tra i centri siciliani più importanti per lo studio del culto di S. Giacomo, perché nell’Archivio Storico della Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo sono custoditi interessanti documenti. Da essi, per esempio, si evince che in questa località etnea, il culto di S. Giacomo era talmente radicato che nel 1643 fu disatteso l’ordine di re Filippo IV, il quale impose che in tutte le città e le terre del Regno di Sicilia si accettasse la Madonna come patrona e protettrice. Già nel 1612, a Castiglione si era verificato l'evento prodigioso della statua della Vergine che aveva sudato ripetutamente. Ciò non ostante, l’ordine di Filippo IV fu ignorato e la devozione a S. Giacomo era tale che nel 1654 si diede inizio ai lavori per la costruzione della nuova chiesa dedicata al santo, sulla cui facciata fu posto lo stemma con la conchiglia e la spada jacopea. Nel 1711 il patronato di Castiglione era ancora affidato al santo Apostolo. Solo nel 1778 la Madonna della Catena fu eletta patrona della città e l'anno appresso, la sua festa si fece coincidere con l’antica fiera di S. Giacomo che dovette essere opportunamente posticipata al 4 agosto. Da allora il culto mariano crebbe a tal punto da far dimenticare completamente quello di s. Giacomo. Nel 1809 la Madonna della Catena era già l’indiscussa patrona e protettrice di Castiglione e presto divenne anche contitolare della chiesa di S. Giacomo la quale, nel 1822, è citata come «Chiesa dell’Apostolo San Giacomo Maggiore e di Maria Ss.ma della Catena». Oggi a Castiglione non rimane traccia del culto dell’Apostolo e la chiesa è conosciuta quasi esclusi-vamente sotto il titolo della Madonna.
La confraternita di S. Giacomo esiste ancora, ma solo nel nome. Infatti, essa si è completamente votata al culto della Madonna, la cui effigie campeggia nel rosso stendardo. La confraternita non ha voluto cambiare il vecchio nome di S. Giacomo in quello di Madonna della Catena per non perdere il diritto di essere la più antica di Castiglione e, quindi, di poter sfilare per ultima nelle processioni.  Queste consuetudini si tramandano nei secoli, ma spesso si ignorano le motivazioni storiche che le hanno determinate. Molti elementi della cultura di S. Giacomo in Sicilia sono emersi a seguito di un recente studio presentato al Convegno internazionale Santiago e l’Italia, tenutosi presso l’Università di Perugia dal 23 al 26 maggio scorso. A conferma dell’interesse suscitato dall’argomento, già per l’anno prossimo è programmato il Convegno Santiago e la Sicilia che consentirà di approfondire e ampliare gli aspetti di una cultura che appartiene alla storia d’Europa.
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Nota bibliografica:
 
G. Arlotta, Vie Francigene, hospitalia e toponimi carolingi nella Sicilia medievale, in Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo. Paesaggi umani ed ambientali del pellegrinaggio meridionale, (Atti del Convegno internazionale. Salerno-Cava dei Tirreni-Ravello 26-29 ottobre 2000), di prossima pubblicazione.
G. Arlotta, Santiago e la Sicilia: pellegrini, cavalieri, confrati, in Santiago e l'Italia, (Atti del Convegno internazionale. Perugia 23-26 maggio 2002), di prossima pubblicazione.
A. Manitta, Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano (Edizioni culturali ‘Il Peloritano’, Messina 1996). Il testo dà ampio spazio al culto di san Giacomo nel Comune di Castiglione.
 
* Giuseppe Arlotta è ricercatore del Centro Italiano di Studi Compostellani di Perugia.