Il calamaio (Antologia, marzo 2002): Ferdinando Banchini, Rosalba Masone Beltrame, Giovanni Tavcar.
 
L’antologia presenta dieci poeti di generazioni e provenienze culturali diverse, ma accumunati tutti dal desiderio di esprimere il proprio sentire attaverso la forma poetica. Oltre agli autori Giovanni Barricelli, Delio Carnevali, Paola Fedele, Adriano Godano, Lina Latelli, Antonio Quacchia e Grazia Maria Toldi, vi sono alcuni soci dell’Accademia Internazionale Il Convivio: Ferdinando Banchini, Rosalba Masone Beltrame, Giovanni Tavcar.
Nella poesia di Banchini si riscontra «un’attenzione indagatoria e interrogativa intorno al senso delle cose, quasi un legamento eidetico tra pensiero e essenza esistenziale» dice G. Pantaleo nella breve introduzione. L’itinerario poetico di “Dolce terra”, così è il titolo della breve silloge-poemetto, trova principale spunto nell’analisi della natura, la cui bellezza è da paragonare a quella femminile, mentre la poesia e la musica hanno funzione catartica tanto che l’autore afferma: «E sempre la musica guida fuori dei chiusi esigli, / in calme correnti di sogni, senza sponde, infinite, / e muta la notte nebbiosa dell’anima in fiorite / fughe d’arabeschi, in aurore dai bagliori vermigli». Natura e arte: un perfetto connubio per l’uomo, insieme alle passioni. Banchini esalta e invoca le passioni, i sogni, le fantasie radiose, le avventure rischiose affinché l’uomo sia sempre intriso di quell’«audace follia» chiamata speranza. Lo stile elegante e raffinato utilizza un ampio repertorio retorico senza mai abusarne, facendo della silloge un’opera davvero apprezzabile.
Se la principale caratteristica di Banchini è la funzione indagatoria, per Rosalba Masone Beltrame la principale funzione del poeta sta nel sentire ed esternare attraverso se stessi il dolore del mondo. Compare anche in lei l’idea del poemetto, espediente che dà organicità e armonia ai versi. Mentre il nulla si impadronisce dell’uomo moderno, l’autrice osserva che persino la gioia sta perdendo la sua funzione carismatica. Di fronte alla strage dell’undici settembre non si può rimanere impassibili: «Trema il cuore / Trema la certezza / L’alba del tremila / è rosso sangue / è nera».
«Quando la parola poetica incontra l’intelligenza riflessiva e la capacità di scavo autocritico, l’epifania lirica che ne scaturisce mostra esiti inusuali e di ampia complicità. Ed è questo che subito accade leggendo i versi di Giovanni Tavcar», così inizia il cenno critico di A. Faber sulla poesia del poeta, scrittore trilingue e saggista triestino. Nella silloge, composta da dieci liriche, traspare chiaramente una forte unità concettuale affiancata ad un senso di rassegnazione per le cose accadute e ad un velo di ironia che spezza l’aulicità di certi versi. Possiamo comunque parlare di armonia perfetta tra le parti. Per Tavcar la poesia ha quella funzione purificatrice tanto elogiata da Aristotele, secondo cui bisogna estraniarsi dal mondo per alleviare il dolore. Dunque è importante per ogni uomo immergersi «in un canto appassionato / e liberatore».
                Giuseppe Manitta