- Amore cortese nella vicenda di Paolo e Francesco
- (parte seconda)
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- Si deve a Chrétien de
Troyes, «il maggior poeta del medioevo prima di Dante» (A.
Viscardi, Dalle origini
del Rinascimento, in Letteratura
Italiana Le correnti, Marzorati Milano 1956), la creazione
della narrativa nuova, il cosiddetto romanzo cortese, nel quale
si attua la unificazione degli spiriti dell’epica francese e
della lirica trobadorica. In Lancillotto e Galvano, Ivano e
Percevalle si realizza e s’incarna il nuovo ideale di vita. La
materia connessa ai cavalieri di re Artù diventa per Chrétien
solo «decor in cui cala le sue immaginazioni e intuizioni, il
senso suo della vita del mondo» (ibidem). Così crea immagini
grandi dell’amore, del valore e della prodezza,
dell’avventura, intesa come prova volontariamente cercata,
nella quale l’umanità dell’eroe viene ad essere realizzata.
Le sue immagini circolano oltralpe, vengono riprese, restano
eterne nella coscienza dei popoli di tutta Europa per le
rielaborazioni dei romanzieri del secolo XIII. Costoro fondono
poi con la materia dei romanzi cristiani la materia del romanzo
di Tristano e Isotta, nel quale si è vista la più grande
immagine d’amore e di morte che la fantasia umana abbia
creato, l’immagine dell’amore tragico e colpevole, più
forte d’ogni forza morale, che non può risolversi se non
nella morte.
- Immensa
la fortuna di poemi e poemetti e di rielaborazioni in prosa del
ciclo bretone. Vi spicca la trilogia “Queste du Graal”,
“Mort Artu” e “Lancelot”. In quest’ultimo l’episodio
del bacio di Ginevra, come giustamente rileva il Roncaglia, «dovette
scolpirsi indelebile nella memoria di Dante per quella tensione
sentimentale, affidata al lento avvolgersi del dialogo». Riportiamo
solo qualche tratto: «Dame! - ce dit Galehoz - …aliez merci
de lui: que plus vos aime que soi meismes… Ge en aurai, - fait
ele, - tel merci com vos voudroiz: car vos avez fait ce que ge
vos requis. Si doi bien faire ce que vos voudroiz; mais il ne me
prie de rien… De quoi me feroie ge or proier? Plus lo voil ge
que vos ne il… Et la reine voit que li chevaliers n’an ose
plus faire. Si lo prent ele par lo menton, si lo baise
devant Galehoz assez longuement… «Dama! - così dice Galeotto
- …abbiate mercè di lui: chè più v’ama che sé
medesimo… Io n’avrò - dice ella - tal mercé come voi
vorrete: perché voi avete fatto quanto vorrete voi; ma egli non
mi prega di nulla… Di che mi farei ora pregare? - fa ella. -
Più lo voglio io che voi e lui… E la regina vede che il
cavaliere non osa far più. Allora lo prende ella per le guance
e sì lo bacia innanzi a Galeotto, assai lungamente…).
- Una
morbida raffinatezza s’insinua nella società del tempo, si
distilla in un’idea d’amore che modula la sensualità nei
riti della galanteria. L’amore, che è al centro della materia
cortese, trova bel nutrimento nei costumi delle corti,
riverbera, a sua volta in esse le proprie acquisizioni. Una
parte della critica rileva, nella lettura del quinto canto
dell’inferno dantesco, la condanna da parte di Dante di tutta
la tradizione letteraria anteriore a lui, dai romanzi cortesi
alla letteratura trovadorica sino alla stilnovistica, della
quale egli stesso era stato partecipe; altri invece spiegano le
ben note terzine con la necessità del Poeta di mostrare a sé e
agli altri i pericoli di un amore che, segno pur sempre di anima
nobile e posto in essere dalla bellezza, può diventare «sensibile
dilettazione», vale a dire amore-passione, mentre solo
l’amore-virtù non produce peccato, non dà dolore né nella
vita terrena né in quella oltremondana.
- Ma,
per tornare a noi, potremmo dire che anche i sostenitori della
non naturalità del fatto amoroso, da La Rochefoucauld a
Nietzsche, a Fromm, a Luhmann avrebbero evidenziato il
condizionamento culturale del sentimento d’amore di Paolo e
Francesca. A proposito dell’innamoramento La Rochefoucauld
dice: «Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se
non avessero mai sentito parlare dell’amore» (J. La
Rochefoucauld, Riflessioni,
sentenze e massime morali, trad. it. Di G. Bodoglio , pag.
136, Milano 1989 Rizzoli). Ma anche Barthes osserva che «nessun
amore è originale» poiché la cultura indica quali sono le
cose da desiderare (R. Barthes, Frammenti
d’un discorso d’amore, tr. it. di R. Guidieri, Torino
1979, Einaudi, p.112). E ancora Luhmann sostiene che
l’amore-passione è un modello comportamentale che «si ha
davanti agli occhi prima che s’imbarchi a cercare l’amore…
che anche rende percepibile la mancanza di un partner, anzi la
fa diventare destino (Amore come passione, tr. it. di M. Sinatra, Roma-Bari 1985, Laterza,
p. 12).
- A
questo punto si sarebbe quasi tentati di mettere in dubbio
l’amore di Paolo e Francesca, se si accetta la definizione che
amore è il sentimento di preoccupazione e di cura per il bene
di qualcuno. Vollero entrambi il bene dell’altro? Come è da
intendersi poi il bene tra un uomo e una donna? Nel
soddisfacimento della passione propria e altrui? Ma
l’amore-passione è anche amore-possesso, per il quale si
desidera che l’altro diventi oggetto unico dei pensieri e dei
sentimenti, nel mentre anche lo stesso desiderio di possesso
annulla ogni altro interesse in chi nutre questo sentimento.
- Secondo
Nietzsche «l’impulso alla proprietà» è presente
soprattutto nell’amore dei sessi: «L'amore vuole
l’incondizionato, esclusivo possesso della persona da lui
ardentemente desiderata; vuole un assoluto potere tanto sulla
sua anima che sul suo corpo… se si tien presente che allo
stesso amante tutto il resto del mondo appare indifferente… ci
si meraviglierà che questa selvaggia avidità di possesso e
questa ingiustizia dell’amore sessuale sia stata a tal punto
esaltata e divinizzata… che da questo amore si sia ricavato il
concetto di amore come contrapposizione all’egoismo, mentre
questo è forse l’espressione più spregiudicata
dell’egoismo stesso (Gaia
scienza, 32).
- Il
desiderio di possesso, che è l’opposto dell’amore, viene
scambiato per esso anche perché chi dice di amare in un certo
senso poi dà, pur se a patto che l’altro diventi suo
possesso, vale a dire ch’egli abbia l’esclusività non solo
del corpo ma anche dei pensieri e dei sentimenti. In tal modo
l’amore-passione appartiene all’ordine della esclusione, per
il quale il soggetto è privato di ogni forma di libertà; è
quindi da considerarsi l’opposto dell’amore-amicizia, che è
apertura e condivisione, e quindi libertà. Il desiderio di
possesso implica anche la conoscenza dell’altro per poter
possedere nella totalità l’oggetto del proprio desiderio. Ma
il possesso completo è inattuabile, perciò interviene la
fantasia, con la quale si costruisce qualcosa in modo tale da
avere la sensazione di possederla nella sua pienezza. Si ama
perciò un’immagine che non corrisponde alla realtà, quella
che la fantasia ha foggiato. Così non si ama l’altro per quel
che effettivamente l’altro è, ma un fantasma dell’altro, e
si smette di amare il momento in cui si comincia ad avere
conoscenza dell’altro. Avrebbero Paolo e Francesca continuato
ad amarsi nel tempo?
Ma vediamo ora di considerare l’altro elemento che, annunciato
di sfuggita nei versi danteschi, viene universalmente
riconosciuto come forza scatenante dell’amore. «La bellezza
splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti
quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre
sensazioni, in quanto risplende in modo luminosissimo…». Alla
sola bellezza, fra tutte le sostanze perfette «toccò il
privilegio d’essere la più evidente e la più amabile»
(Platone, Fedro,
250e). È quindi essa la sola in grado di far tralucere l’intellegibile
nel sensibile, di portare all’amore, dal filosofo ovviamente
inteso non come passione ma come manifestazione del bene. Ma
come resistere alla bramosia del possesso della bellezza,
appariscente quid che s’accompagna a sensi d’intimo
godimento, che ispira sentimenti di ammirazione e di desiderio?
Che cosa può essere il bene per chi guarda «la bella persona»
se non il possesso di essa? Locke sostiene che «ciò che è
atto a produrre piacere in noi è quello che chiamiamo bene e ciò
che è atto a produrre pena è ciò che chiamiamo male» (Saggio, II, 21, 43).
- La
bellezza del rapporto uomo-donna è pena in chi la contempla
finché non si perviene al possesso della stessa, e quindi al
piacere, inteso come quella particolare condizione di
soddisfazione che l’uomo ricerca, anche se il soddisfacimento
è lontano dall’essere costante e duraturo.
Nell’amore-passione l’amante si appropria anche della
bellezza dell’altro da sé, la fa parte di sé, accresce la
sua se anch’egli è in possesso della propria, e poco gli
importa se la soddisfazione è temporanea. Ed per questo che i
contemporanei della vicenda in esame mettono in evidenza la
bellezza di Paolo e di Francesca e la bruttezza di Gianciotto,
opposizione che di per sé, pur senza l’atmosfera cortese, non
possiamo escludere che sarebbe stata in grado di creare la
vicenda. Pensiamo alle nostre coppie di amanti, a cominciare da
quella leggendaria di Elena e Paride. Il potere della bellezza
qui è tale da far dimenticare a Menelao l’offesa ricevuta
sino a fargli accogliere nuovamente Elena dopo la distruzione di
Troia. Ed era stata la prospettiva di possedere la donna più
bella della terra a far sì che Paride assegnasse il famoso pomo
a Venere.
- L’annuncio
della qualità stessa, anche se senza la effettiva presenza
materiale della bellezza, già mette in moto il desiderio del
possesso. Di fronte ad essa cedono ricchezza, supremazia e
potenza dell’intelletto, ben l’ha saputo l’uomo da sempre.
Ma anche la bellezza può talora cedere di fronte ad un certo
quid oscuro e misterioso, del quale si subisce il fascino, per
il quale il soggetto è preso d’amore improvvisamente e
inspiegabilmente. È quel che accade nel protagonista de
“L’amante di Gramigna” del Verga, che abbandona il
promesso sposo, bello e gentile, per fuggire con chi queste doti
non ha, che inoltre può offrirle solo insicurezza e disagi.
- La
forza del sentimento che comunemente viene chiamato amore è così
inspiegabile che gli elementi addotti a spiegazione non riescono
a fare intera chiarezza. Gli antichi ricorsero alla divinità
alata, al fanciullo che quasi per gioco scoccava le frecce
colpendo non solo i mortali. Ed è questa creazione quasi una
rinuncia a voler spiegare l’amore fra un uomo e una donna,
quella vis che pur dopo tanti e svariati tentativi di
spiegazione, lascia sempre spazio al mistero.
- Si
sarebbero amati ugualmente Paolo e Francesca, pur senza il loro
libro galeotto, pur senza la «bella persona»? Saremmo quasi
tentati di rispondere affermativamente, poiché c’è una
seduzione che va al di là di tutto, ed è quella che fa
ricercare, nel procedere, non il percorso piatto ma l’orlo del
burrone.