- Tito
Cauchi,
(Conchiglia di mare. Edizioni Pomezia - Notizie. Pomezia 2001)
-
- Questa
silloge del poeta Tito Cauchi, nato a Gela e residente ad Ostia
(Roma), è composta da due sezioni: la prima, che dà il titolo
alla silloge, comprende testi risalenti agli anni settanta, la
seconda, “Anteprime”, ne presenta altri più remoti, risalenti
agli anni cinquanta. Diversa dunque la scansione temporale delle
sezioni e diverse anche le tematiche e la resa formale. Nella
prima parte la materia dominante è quella esistenziale e
soprattutto dolorosa, mentre nella seconda questa, essendo basata
su temi principalmente amorosi, è più mite ed aerea, delineata
da un contesto versificatorio più ritmico e gioioso, basato sulle
rime e su forme metriche tradizionali. Il dolore della prima parte
è fondato sulla cognizione dell’esistenza e della sua effimera
caducità, resa ancora più reale e contraddittoria dalla
sensazione della difficoltà dell’impegno personale
dell’autore: «prima ancora che conoscessi le lettere / imparai
a contare la morte», quasi come se l’incapacità esistenziale
potesse essere il sostrato di quell’impegno letterario che prova
a definire l’effimero gioco della vita e ne registra
l’inevitabile determinatezza e finitezza. L’assunto, che
testimonia, oltre ad un doloroso vissuto personale, una dolorosa
presa di coscienza, conduce l’autore nel suo personale viaggio
attraverso la memoria e il ricordo dei caduti, di coloro che
furono e che restano nel ricordo tangibile di una tomba e di un
parlare sommesso, di un cimitero nel quale «in una comunione
eterna» i vivi possano unirsi a loro. Questo personale ed
accorato ‘Spoon River’, delineato nell’impegno esistenziale
dell’autore attraverso l’immediatezza dell’identità, rivela
una partecipazione affettiva, un soggettivo senso dell’orgoglio
verso una precisa volontà di testimonianza e d’affettuoso
proposito di memoria.
- La
misura del dolore e la sua cognizione, l’impos-sibilità di
percepire ed attingere il senso della morte e le sue espressioni
più dolorose conducono l’autore all’appropriazione e alla
manifestazione del suo senso di religiosità più autentico e più
consapevole, una religiosità non formale ma terrena, vincolata al
desiderio che il dio a cui ci si rivolge sia proprio parte della
concreta esistenza degli uomini, sia l’artefice più sostanziale
della sua limitatezza rendendo «i nostri peccati e con essi il
pane», quei peccati «così cari / presunzione d'umana specie»
unitamente al nostro pane «così materiale / presunzione della
carne e della terra». In tutto ciò si vede come il poeta tenti
di cogliere il trascendente nell'immanente contraddizione della
vita, facendosi tramite per individuare il tentativo di salvezza
ed offrire conforto a questa dolorosa percezione.
- Ma
non è soltanto, quella di Tito Cauchi, una Poesia confortevole,
bensì una Poesia che si fa carico di rivelare le immagini più
vere, anche al di là delle apparenze, cercandone il senso più
profondo e più autentico: «cercherò in ogni viso / tutta la
vita…», «l’immagine è così sembiante…», proprio per
poter cercare una riappropriazione che solo attraverso il senso
della Poesia appare possibile. Ed in questo tentativo è credibile
anche un nuovo senso per l’amore che «diviene una sorta di
comprensione» e consente all’uomo di amare la vita, superare le
proprie egoistiche barriere ed aprirsi agli altri con il dono
dell’umanità. L’ultima parte della silloge, nel suo
inventario di temi amorosi, è ispirata da una vena poetica
leopardianamente triste e sconsolata, anticipatrice della parte
successiva, strutturata in moduli fissi e tradizionalmente
definiti. Completano la raccolta tre poesie di Paolo Di Francesco,
che tratteggiano in modo scherzoso personaggi e situazioni.