Franco Dino Lalli
Tito Cauchi, (Conchiglia di mare. Edizioni Pomezia - Notizie. Pomezia 2001)
 
Questa silloge del poeta Tito Cauchi, nato a Gela e residente ad Ostia (Roma), è composta da due sezioni: la prima, che dà il titolo alla silloge, comprende testi risalenti agli anni settanta, la seconda, “Anteprime”, ne presenta altri più remoti, risalenti agli anni cinquanta. Diversa dunque la scansione temporale delle sezioni e diverse anche le tematiche e la resa formale. Nella prima parte la materia dominante è quella esistenziale e soprattutto dolorosa, mentre nella seconda questa, essendo basata su temi principalmente amorosi, è più mite ed aerea, delineata da un contesto versificatorio più ritmico e gioioso, basato sulle rime e su forme metriche tradizionali. Il dolore della prima parte è fondato sulla cognizione dell’esistenza e della sua effimera caducità, resa ancora più reale e contraddittoria dalla sensazione della difficoltà dell’impegno personale dell’autore: «prima ancora che conoscessi le lettere / imparai a contare la morte», quasi come se l’incapacità esistenziale potesse essere il sostrato di quell’impegno letterario che prova a definire l’effimero gioco della vita e ne registra l’inevitabile determinatezza e finitezza. L’assunto, che testimonia, oltre ad un doloroso vissuto personale, una dolorosa presa di coscienza, conduce l’autore nel suo personale viaggio attraverso la memoria e il ricordo dei caduti, di coloro che furono e che restano nel ricordo tangibile di una tomba e di un parlare sommesso, di un cimitero nel quale «in una comunione eterna» i vivi possano unirsi a loro. Questo personale ed accorato ‘Spoon River’, delineato nell’impegno esistenziale dell’autore attraverso l’immediatezza dell’identità, rivela una partecipazione affettiva, un soggettivo senso dell’orgoglio verso una precisa volontà di testimonianza e d’affettuoso proposito di memoria.
La misura del dolore e la sua cognizione, l’impos-sibilità di percepire ed attingere il senso della morte e le sue espressioni più dolorose conducono l’autore all’appropriazione e alla manifestazione del suo senso di religiosità più autentico e più consapevole, una religiosità non formale ma terrena, vincolata al desiderio che il dio a cui ci si rivolge sia proprio parte della concreta esistenza degli uomini, sia l’artefice più sostanziale della sua limitatezza rendendo «i nostri peccati e con essi il pane», quei peccati «così cari / presunzione d'umana specie» unitamente al nostro pane «così materiale / presunzione della carne e della terra». In tutto ciò si vede come il poeta tenti di cogliere il trascendente nell'immanente contraddizione della vita, facendosi tramite per individuare il tentativo di salvezza ed offrire conforto a questa dolorosa percezione.
Ma non è soltanto, quella di Tito Cauchi, una Poesia confortevole, bensì una Poesia che si fa carico di rivelare le immagini più vere, anche al di là delle apparenze, cercandone il senso più profondo e più autentico: «cercherò in ogni viso / tutta la vita…», «l’immagine è così sembiante…», proprio per poter cercare una riappropriazione che solo attraverso il senso della Poesia appare possibile. Ed in questo tentativo è credibile anche un nuovo senso per l’amore che «diviene una sorta di comprensione» e consente all’uomo di amare la vita, superare le proprie egoistiche barriere ed aprirsi agli altri con il dono dell’umanità. L’ultima parte della silloge, nel suo inventario di temi amorosi, è ispirata da una vena poetica leopardianamente triste e sconsolata, anticipatrice della parte successiva, strutturata in moduli fissi e tradizionalmente definiti. Completano la raccolta tre poesie di Paolo Di Francesco, che tratteggiano in modo scherzoso personaggi e situazioni.