di Angelo Manitta
L’affetto filiale espresso attraverso una cosmica visione da Graziella Chiaiese nella silloge Rinascerò su queste righe (Edizioni Otma, Milano 2001)
 
Accostarsi ad una silloge di poesie è spesso un momento di relax e di quiete, quasi un momento di riflessione o di tacito dialogo con l’altro da sé. Questa impressione ho avuto leggendo le liriche, “Rinascerò su queste righe”, di Graziella Chiaiese, alla quale mi accomuna l’origine isolana e l’impeto di una solarità mediterranea che produce vita e passione. La silloge è un perpetuo ed eterno canto d’amore, «l’amore sentito, descritto, raccontato e soprattutto visceralmente vissuto nei suoi molteplici aspetti: amore filiale, amore materno, amore di donna piena di voglia di libertà, ma anche di vincolanti tenerezze, amore per la natura, amore per il prossimo, per il tempo che passa e, persino amore per la vita stessa, sperata, temuta come sola ed ultima liberazione» scrive nella prefazione Franco Caraffa. Ma di queste molteplici sfaccettature una è prevalente: l’amore filiale per Sharon Mary, l’unica figlia dell’autrice, la sua vera Stella. Infatti nella silloge tutto converge verso questa figura delicata ed emblematica, ma soprattutto onnipresente, persino nella natura, come si può evidenziare nella bellissima ed equilibrata lirica “Canto d’amore”: «Amo le acque del mare / che trascinano i miei pensieri. / Amo la primavera…/ i girasoli… il candore dei ghiacciai… la melodia… le stelle… il fiume… le cascate… le grandi valli… i fiori profumati… il colore delicato del tuo viso… l’arcobaleno… il cielo… / Amo te, figlia mia, perché tu / sei il dono più bello della vita». Sharon Mary è quindi centro e baricentro di ogni azione, ed è spesso il pretesto per spingere l’autrice a manifestare la propria interiorità passionale attraverso la presa di coscienza che la realtà e la vita sono fugaci. Da ciò scaturisce l’accorato invito: «Hai percorso / una parte del tuo cammino, / ma tanta è ancora la strada da fare, / e spesso piena di pericolose curve! / Percorrila senza fermarti, senza mai scoraggiarti, / vai sul viottolo più saggio della vita. / In te, nel tuo piccolo e tenero cuore / vivranno sempre le nostre dolci fiabe, i nostri sogni, i nostri pensieri…».
Il sapore della poesia della Chiaiese è classico. Il mondo greco, quella grecità che ha impregnato l’Italia meridionale e la Sicilia per secoli, riemerge genuinamente dalla sua poesia. In questo contesto si pone il tema dell’amore che «scuote il mio cuore / come il vento sul monte si abbatte sulle querce» scrive Saffo, il tema della affezione per la propria terra, che è lontana e per rivederla bisogna aspettare un’altra stagione, l’amore per la poesia:  «per  il poeta / un libro somiglia a foglie / che cadono morte / sull’asfalto», l’espressività di una vera identità della donna «libera di vivere la sua sincerità. / Libera per aver trovato… pace».  È la ricerca della pace dopo lo smarrimento, pace ottenuta attraverso la contemplazione di elementi astrali come la luna, le stelle, il sole. Ma fondamentalmente la silloge si presenta come eterno colloquio tra madre e figlia, con una grande voglia di vivere, che spinge appunto il lettore a riflettere sul proprio vuoto interiore, sulla sofferenza umana, sui contrasti esistenziali, sull’infelicità della vita per giungere ad un sogno di pace e di speranza.