di Maria Pina Natale

Giuseppe Fanara: Spazi di libertà (poesie) (Messina- Assisi 1999)

 Il titolo ci immette ‘illico et immediate’ nel tema dominante di questa ‘plaquette’ di versi di Giuseppe Fanara, Padre francescano dell’OFMC. Il concetto di libertà si diffonde, infatti, come sotto le volte di questo labirinto della vita, al pari di un urlo riecheggiato all’infinito fino a raggiungere le soglie del Cielo. Perfino le riproduzioni di opere d’arte o di foto amatoriali che ornano il volumetto sembrano accompagnare, come un sottofondo musicale in sordina, quest’anelito di un animo, assetato di liberi cieli e di spazi infiniti: i due bimbi sulla cima di un colle con, alle spalle, l’azzurra visione di isole e mari; ‘il volo’ dall’alto dei tetti di Dimitri Solonia; gli ‘spazi’ giallo-azzurri di Clair Joy; il ‘volare’ di Giulio Turcato; perfino l’erta muraglia di Roccaperciata con la fenditura romboidale aperta sull’Infi-nito. Insomma possiamo dire che tutto, in questo libro, è un inno alla libertà, al punto che la terra viene considerata come un esilio («Terra straniera» pag.10), mentre la vera dimora è «un cielo stellato» e l’ideale è un «volo pervaso d’eterno», la felicità è «libertà di vivere pensare ed amare». Perfino le intricate strade del mondo sono un nulla in confronto agli «spazi di libertà» come predica il titolo (pag. 20). E non si creda che tanto anelito alla libertà sia fine a se stesso, poiché il poeta addita anche le possibilità per conquistarla questa tanto sospirata libertà, possibilità che affondano le loro radici in valori religiosi, etici e sociali inossidabili. Vivere soli, per esempio, sapendo di non essere mai soli, riuscire a vedere nel buio e ascoltare il silenzio, amare il nemico, baciare un lebbroso, «cantare nel pianto / e parlare tacendo» (pag. 22). Su valori così forti e pregnanti - è scontato - si fa strada il motivo religioso, sublimemente espresso soprattutto in quel conturbante Crocifisso del Tribuzi, che domina l’altare maggiore della Chiesa di S. Francesco D’Assisi all’Immacolata di Messina, capolavoro della iconografia scultoria cristologica, nel quale l’autore di questi versi legge «speranze seminate» in un grembo, umanamente trafitto dal più atroce dei tormenti, ma al tempo stesso divinamente radioso per la certezza della Redenzione.