di Angelo Manitta
Angela Giglio: la poesia come rifugio
(Poesie 1959-1992, Catania 1994) 
 
Pubblicare oggi un libro di poesia, di narrativa o di saggistica, significa entrare in un mondo che non esagererei definire eterno, in quanto l’opera diventa un segno, un piccolo tassello di quella branca del sapere umano che è la letteratura. E questa coscienza di esserci pure lei, in questa grande macchina dell’evocazione e del ricordo, ce l’ha Angela Giglio, come si evince dall’incipit:  «E… ci sono anch’io». Ma per lei la poesia non è un eternare se stessa e gli altri, bensì un rifugio dalle varie ambasce quotidiane. «Mi rifugio nella poesia ogni qual volta la vita mi scuote violentemente colpendomi con rattristanti avvenimenti». Il suo libro di poesie assume così un tono diaristico, tanto che le diverse liriche si potrebbero definire d’occasione. Ma quello che predomina è il sentimento e l’affetto per gli esseri umani e per le cose. L’amore diventa sensazione ed emozione del presente quale prolungamento del passato. E poi che cos’è l’amore, se non «vana illusione di gioia senza fine, tormento, sgomento… illusione di qualcosa di tuo e invece si crede in un’ombra sottile e fugace che presto scompare». Allora da contraltare all’amore appare la tristezza e quindi l’incontentabilità umana, come nella poesia “Humanitas”: «Perché a questa grande / e brava gente non va / mai bene niente?», oppure la natura: l’Etna con la sua irruenza diventa memoria del mondo che frantuma in mille coriandoli rosa le sue grida soffocate, mentre il mare «s’increspa / verde azzurra distesa / avanza / nel mio sguardo assente, / accarezza / i miei occhi vaganti». In questa smagata contemplazione l’essere umano scopre se stesso, la solitudine lascia riflettere e permette di ascoltare le mille voci che il vento porta via.