di Angelo Manitta

Ermanno Lombardo: poeta della riflessione contemplativa e dell’infinito solare ed esistenziale

Ermanno Lombardo, nato a Villasmundo di Melilli in provincia di Siracusa e residente a Pachino, è autore di numerose pubblicazioni. Collaboratore di varie riviste, ha curato interventi critici su Vincenzo Rossi, Carmine Manzi e Gaspare Calì. Ha pubblicato molte sillogi di poesie, tra cui “Regno di Cori” (Ed. Menna – Avellino 2001); “Passi di speranza”, (Ed. Pacus, Pachino 1995); “I diritti del sole” (a cura dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, 1996). La poesia di Ermanno Lombardo è poesia di luce e  di calore, di orizzonti intravisti e di infinito. «Il sole sorge, percorre gli orizzonti, e poi tramonta per risorgere di nuovo. L’uomo nasce, percorre il suo tempo, e poi muore per risorgere nel giorno del giudizio». In questo sottile parallelismo è incentrata forse tutta la poesia del poeta siciliano, come quella della silloge “I diritti del sole”: la luce fa uscire dall’oscurità e rinnova in ognuno di noi l’infinito. Nelle sue poesie il lettore coglie chiaramente «una valutazione storico-sociologica improntata a una condanna radicale dell’eccessivo pragmatismo, tecnologismo, frammentismo della società attuale, in cui vivere è piuttosto un non viverre, assenza di armonia, di amore, di valori» scrive Josyanne Cotena nella prefazione. L’uomo di fronte al creato e di fronte ai misteri della natura si pone la domanda del perché del suo essere. E se «dolore è venire al mondo / dolore la fine della vita / e lacrime il sorriso smodato», dall’altra parte il poeta invita: «Sciogli tutti i nodi, / scorri come i fiumi, / risali le montagne / rimbocca le radici / e vivi i tuoi sogni / fuori dai castelli». Se due sono le anime della poesia di Lombardo, quella esistenziale e meditativa e quella contemplativa e percettiva, la vita appare prevalen-temente negativa. Da questa condizione esistenziale salva solo l’infinito, cioè l’aspirazione a ciò che di impercettibile esiste in noi. Sulla stessa scia corre la silloge “Passi di speranza”. «In questo anelito al cosmico il poeta parte dal diniego del presente, dai tuffi nel passato fatto rivivere dalle colorazioni e spaziature memoriali, sorretto da una tensione tenace verso il futuro che, nonostante qualche ombra offuscante la visione, torna sempre al suo sguardo come un possibile orizzonte di luce e di speranza» scrive nella prefazione Vincenzo Rossi. Tutto ciò spinge l’autore al sogno e alla fantasia, quasi l’esistenza potesse a tratti tramutarsi in una favola. Emblematica in tal senso è la lirica “La favola di Peter Pan”: «Quando la rosa aprirà / coi petali il profumo / ingabbiato nelle tresche della vita / ritornerà la luce della gioia / e la terra esploderà mille colori». Qualcosa in più c’è invece nella silloge “Regno di Cori”, ultima in ordine cronologico. Qui l’attenzione si sposta su ciò che è fuori dal tempo. L’intemporale diventa tempo esistenziale: amore, passione, vita, riflessione. Il tutto legato da una profonda coscienza letteraria e filosofica. Significativa è la lirica iniziale, dove in pochi versi si passa da Socrate a Kant, da “Il fu Mattia Pascal” a “Il nome della rosa”, da “Va dove ti porta il cuore” a “I sensi incanti”. Ma in questo intreccio è la filosofia socratica che fa da trait d’union. «La cicuta a che serve ora / se l’ideale muore e intorno a noi divampa / l’incertezza come cosa certa»?