Canzone ad Arianna

trad. di Angelo Manitta

      Fiaccola accendo per ritrovarmi
seguire sentiero, te incontrare.
sfigurato, riflesso
sui muri, mi vedo pauroso.
      Ma non desidero la sua morte,
mio nemico, tuo amante.
Ah! Fosse falsa l’esistenza
dell’eroe Teseo che mi persegue.
      E quando tutto si acquieta
io lo immagino che ti sogna
anche perduto, e tu, principessa,
lontano da me, nel suo sogno.
      Figlia di Minosse, i tuoi occhi
sono le candele che condurranno
all’uscita, alla vita, alla luce
il mio fratello addormentato.
      Nel percorso a zig-zag
per i corridoi, per la notte
del labirinto di questo mondo,
i tuoi occhi sono le mie fiaccole.
      E quando il sonno tarda e il timore
mi dice il mio nome, delle tue labbra
mi ricordo e dei loro profumi.
Io mi assopisco e dormo in pace.
      Invento un canto per dormire,
allontanare qualunque fantasma,
poiché questo canto è la tua voce
che un giorno ho udito e udendo vivo.
      Ad ogni passo, ad ogni fermata,
torno a dire, ogni volta,
il tuo nome, come se fosse,
la mia preghiera, un’orazione.
      Il lungo filo che assicuri
conduce i passi di Teseo
nel labirinto di questa vita
fino a giungere alla mia morte.
      Non mi trattiene fame di carne,
sete di sangue, fiero istinto.
Mi trattiene qui la speranza
che mi incontri all’uscita.
      Menzogna, non voglio giovanotti
né belle vergini da divorare.
Io voglio amare, mia principessa,
sebbene a mostro io somiglio.
      Lascia il novello perfido,
abbandona Teseo perduto e solo.
Ascolta il mio grido, la mia supplica:
la mia passione è labirintica.
      O alba, o principio, o luce,
il mio penare è appena mio,
cielo senza stelle, notte lunga,
protone nell’oscurità senza fine.
      Principessa d’occhi d’ametista,
scaverei il piano e i cieli
per fuggire dal labirinto
e fuori da esso incontrarti.
      Per i corridoi mi sono perso,
sempre a fuggire dalla mia ombra.
Un ancoraggio cerco inutilmente
- il tuo sguardo, donna di Creta.
      Fin dall’entrata mi sono sentito
stordito e conoscitore
che da qui non c’era uscita
e, se ci fosse, nessuno l’otterrebbe.
    La luce del giorno ormai non ricordo,
come se fosse l’oscurità
luce che nel mondo si è spenta
o per castigo o per caso.
      Non c’è tempo o è finzione,
l’eternità si confonde
con l’ansietà che sopporto
e pretende essere il mio appoggio.
      Il labirinto è infinito
o quanto meno della dimensione
del mondo-terra o dell’universo.
O io sono il mio stesso labirinto?
      Che differenza può esserci
tra la prigione e la libertà,
se il labirinto può essere
la libertà e la prigione?
      Tra queste mura la speranza
ora si fa presente e cresce,
ora si nasconde, diminuisce o aumenta,
stordendomi sempre più.
      Che corridoio devo seguire?
O desistere dal proseguire?
O a zonzo andare, di corridoio
in corridoio, divenuto pazzo?
      Solo vedo muri, se sono muri
gli ostacoli che vedo.
Il cielo, se ancora ci fosse, sarà
talvolta delirio, appena sogno.
      Ora fa freddo, ora caldo,
o il freddo arde fatto brace,
o il calore ferisce come gelo
- temperature senza misura.
      Di parlare, cantare io ho bisogno
con me stesso conversare,
di me fare un altro essere,
o il mio compagno è il silenzio?
      Immaginare ancora posso
la mia Arianna sognata,
o devo dimenticare
ciò che ho pensato, ciò che ho sognato?
      Cos’è pazzia e lucidità?
Il labirinto esiste ugualmente
o l’ho inventato per sognare
la perdizione che mi ha preso?
      Dove la ragione e l’emozione
sono state a questa altezza?
Non so se ancora sento dolore
o se penso o se esisto.
      Il labirinto è come la vita
- fatto di trame nell’orditura.
e io disconosco i suoi percorsi,
le biforcazioni, le sue insidie.
      E se Arianna fosse mito,
sarei scortese, sarei eroe?
Un Minotauro senza ragione
d’istinto fatto tanto solamente?