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Recensioni
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di Giuseppe Manitta
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Liliana Mamo Ranzino:
Raggi di luce (Libroitaliano Ragusa 2002) e Quel che resta
(Ma.Gi, Patti 2002), due sillogi all’insegna del dolore
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L’opera poetica di Liliana Mamo Ranzino culmina, dopo
diverse pubblicazioni, in due sillogi: “Raggi di luce” e “Quel che
resta”. Due produzioni letterarie che con stile semplice e molto
espressivo avvincono il lettore nella fruizione del testo. Liliana
Mamo, come scrive Domenico Portera nella prefazione a “Raggi di
luce”, «è da definire poetessa di vena sincera perché è presente a
sé, perché riesce a comunicare a tutti eternità e perennità
dell’essere, perché riesce a farci scoprire l’universale che è in
noi, l’universalità di sentimenti, di speranze, di amore, di
attese». Possiamo definire la lirica, della poetessa di Cefalù,
eccelsa espressione del dolore, un dolore duraturo ma non per questo
leggero. Una creazione poetica, questa, che commuove il lettore e
aiuta alla riflessione. Al centro delle due opere troviamo tutto il
dolore di una madre nei confronti del figlio ormai perduto: «Ora son
tanti gli anni / che il caro figlio mio / passò ad altra vita / nel
fior degli anni / lasciando nel mio cuore / una ferita che nessuno
può rimarginare». Dunque l’autrice s’immerge nella nostalgia del
passato, un passato che la fa sognare, ma che contemporaneamente la
fa riflettere. Il dolore è un elemento catartico che l’inesorabile
trascorrere del tempo non può fermare. Solo alcuni sentimenti lo
possono alleviare, solo la fede e la speranza, che infondono gli
occhi di un’immagine della Madonna, danno fiducia all’autrice. Lei,
Liliana Mamo Ranzino, ha il sogno di «scalare una montagna / per
raggiungere l’alta vetta / e poter baciare il cielo». Tutta la sua
poesia è permeata di intensa liricità e spiritualità. Secondo lei
esiste ancora un cantuccio romito dove estraniarsi dal mondo, un
luogo in cui «si distingue il canto melodioso / degli uccelli / il
lamentoso cicaliccio / delle cicale. / In questo cantuccio romito /
dove si respira ancora aria pulita / e tutto intorno è pieno di
vita». L’autrice, che crede molto al calore familiare, dedica alcune
poesie proprio alla famiglia e, per intensificare il rapporto con la
propria terra, scrive bei versi in dialetto. Il dolore che è il
punto cardine della sua produzione poetica, come scrive Luigi
Ruggeri nella prefazione a “Quel che resta”, «diventa occasione per
una necessaria e doverosa sosta che consenta di ripensare al mistero
dell’esistenza per ritornare alla quotidianità del presente».
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