di Luigi Pumpo

Il florilegio poetico di Carmine Manzi

Voce vivente della poesia d’oggi è quella di Carmine Manzi che nel suo “Florilegio poetico” porta la vita nella scrittura. E qui memoria, oggetto, parola, costruiscono nella loro qualità poetica un vero ‘file’ del tempo. Si innerva una fisicità in cui pulsa il cuore: un pulsare che pone Carmine Manzi tra i poeti più veri del nostro tempo. Poesia e vita: un tema che scopriamo in questo “Florilegio” nella traduzione in lingua francese di Paul Courget e pubblicato dalle Edizioni Gutenberg, con ampia nota introduttiva di Maria Grazia Lenisa che ci dona sentieri aperti e ci guida nel campo di una cultura a noi vicina. Qui la poesia narra e musica il sentimento della natura e dell’umano. Un cammino poetico e umano è quello, infatti, che attua Manzi: un viaggio che si para di fronte alla storia, al destino, alla solitudine, al dolore. E la parola, fragile e nuda, precisa il suo essere tra incanto e perdita. Paure, solennità, il farsi medesimo del vivere, il disfarsi del mondo, tagliano e alleggeriscono il verso. E portano il suono delle parole in una abbacinante, dolente, laicissima preghiera.
Questo “Florilegio poetico” somiglia ad una sorta di “summa” che coglie, fior da fiore, dalle pagine di altrettanti sillogi del poeta, con una attenzione particolare verso le esperienze interiori di Carmine Manzi: e qui cogliamo le mosse di una registrazione fedele degli oggetti della realtà e la tensione ad una valenza simbolica di essi, cioè tra senso della consistenza materiale delle cose e senso di un loro ideale rispecchiamento. Per cui la poesia del Manzi è tutta amore per le cose concrete, ma anche profondo senso del vago e del mistero.
Il “Florilegio” che prende le mosse dai “Frammenti d’una estate romana” fino alle “Voci interiori”, da “La corsa dei giorni” a “L’echelle por le ciel”, affida alla descrizione un’acutezza dell’anima e dei sensi più allusivi e, in tal senso, parla di un realismo magico, che acquista coscienza di una realtà che non si arresta nella fissità dell’evidenza, ma si riveste di una particolare suggestione fino a conferire alle pagine una sorta di pluralità semantica. Sono versi questi percorsi da risonanze gentili e seducenti, che evocano luoghi, situazioni, storie, sentimenti, figure; da distesi appagamenti di suoni e colori e, nei momenti più intensi, da una lucida attenzione ai contorni delle cose, fino a concludere nei toni di un diarismo sereno ed arioso, ironico e sapiente, non privo di sottili allusioni culturali e psicologiche. Essi posseggono inoltre una lucidità di dizione che è l’esatto contrario del manierismo di cui si ammanta certa poesia italiana contemporanea, come se la poesia non fosse nelle cose, ma consistesse in un modo artificioso di accostare e ordinare le parole. E la poesia di Manzi si distingue per un altro tipo di manierismo che lo porta a calarsi in un ambito di presenze reali o fittizie, vicine o lontane nel tempo, denominabili con felice consonanza secondo un comune sentimento della vita e dove ‘l’invito al viaggio’ è la strada per conciliarsi con le proprie radici, con la propria intimità o finitezza, con le vestigia di un mondo primigenio che dà la misura esatta della precarietà del nostro presente e del nostro futuro.
Nel complesso, qui, come scrive Maria Grazia Lenisa nell’ampia prefazione, non bisogna trascurare l’attenta traduzione in francese di Paul Courget che ha reso della poesia di Carmine Manzi tutto il suo particolare gusto, con i particolari riferimenti, con i trasalimenti di una vicenda interiore e con le attenzioni di un uomo che nel suo lungo percorso artistico non ha mai tradito il suo lavoro.