La poetica del segno di Pino Bosco
 
La maggior parte degli uomini sono come una foglia secca,
che si libra e si rigira nell’aria e scende ondeggiando al suolo,
ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro
corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in se stessi 
la loro legge e il loro cammino…
da Siddharta di Hermann Hesse
 
L’arte è canto ed espressione dell’umanità, che si abbandona ad essa per trovarvi sfogo, rifugio, conforto. È una sorta di catarsi benefica a cui l’uomo si abbandona volentieri, perché lo conduce ad una rinascita spirituale, forte e potente; una forza vitale che lo rende fiero di essere uomo, che dà voce alla vita stessa, all’essenza e alla verità delle cose. Un disvelamento sognante di ciò che non è e di ciò che è, una filosofia della speranza e della luce. Esattamente quella che ritroviamo nella creatività artistica di Pino Bosco, dirigente scolastico, dal 1988, dell’istituto statale d’arte di Macerata (unico della provincia), che con il carisma, la fermezza e l’entusiasmo passionale che lo contraddistinguono, ha sicuramente il merito di averlo fatto rinascere artisticamente a nuova vita. Nelle aule e nei laboratori di questa scuola si respira un’aria di vera collaborazione tra docenti e studenti ed una forte volontà di fare arte. La sua presenza è illuminante, perché da una complessa e straordinaria figura di uomo e d’artista come la sua non possono che scaturire idee geniali.
La poetica del segno di quest’artista presenta un’approfondita finezza d’indagine che riflette una prorompente e meravigliosa sicilianità, con i colori energici e tellurici di quella terra calda ed ospitale che ha conosciuto tante culture e mondi diversi. Anche la sua arte, che si nutre di passato e presente, di antico e moderno, ha una vastità di orizzonti eguali a quella che si gode dalla cima dell’Etna o da ogni angolo di quest’isola, fedele alla tradizione ma aperta alla modernità e al mondo intero.
Bosco, prodigioso “fabbricatore” di gioielli, richiama alla memoria antiche civiltà quali gli Incas o gli Aztechi. Infatti la sua materia in oro sembra originarsi direttamente dalla mano sapiente di Inti, il dio sole della mitologia Inca, di cui possiede totalmente la luce. Un’armonia dello spirito che gioca con la grazia; segni e forme mai troppo appuntite o aspre, ma dolcissime, alla ricerca incessante di un equilibrio della bellezza. Un morbido impasto di segno e materia, di massa e di forma, amalgamata con processi coscienti e realtà non esperibili, un’ipotesi empirica all’’enigma del mondo’, una sorta di conoscenza oggettiva e soggettiva, che abbandoni l’osservazione dell’uguale per cercare il diverso come afferma W. Welsch.
Un pensiero dinamico, il suo, che approda alla grafica e viaggia verso la pittura e l’incisione, ritorna al gioiello e riprende il cammino verso la scultura in ceramica: «Nasce da queste meraviglie un dolore che dà vertigini, / che unisce la grandezza greca con la violenta / desolazione del tempo ­- con la spinta delle onde / - un sole - un’ombra di passato splendore» come scriveva John Keats.
La stessa volontà di segno la ritroviamo negli originalissimi piatti in ceramica, che pur essendo dipinti di nero come la lava etnea o le notti stellate di Sicilia, non hanno niente della mestizia che solitamente appartiene a questo colore, ma risultano comunque vivaci e brillanti, con l’ocra intenso che ricorda il colore della terra assolata e delle bellissime spiagge di questo eden accarezzato dalle onde o l’azzurro che ne rievoca gli sterminati mari.
Le sculture in ceramica, inoltre, richiamano alla memoria gli antiche adobes, mattoni d’argilla seccati al sole, e raccontano il suo “essere-nel-mondo” (In-der-Welt-sein) heideggeriano come apertura ad esso, come sostanza ultima della quintessenza e della molteplicità delle cose. Posseggono una peculiare compostezza e inducono gli occhi di chi le guarda alla contemplazione. Una perfetta sinfonia di colore e di materia, orchestrata magistralmente, un’alchimia di speciali modulazioni cromatiche e liriche che non esibiscono drammi esistenziali, ma cercano di dissolvere o smorzare la malinconia e la tristezza con l’ironia.
 
Anche nella sua tecnica pittorica, che potrebbe rievocare forme cromatiche epressioniste alla Guttuso, prevale «verdadera cifra de un alma clara como el dia» (il vero segno di uno spirito chiaro come il giorno) direbbe Jorge Luis Borges, metamorfosi di una bellezza quasi imprevedibile, che a volte nasce anche dalla conciliazione di immagini traslate o riflesse nel cuore dell’artista come nelle sue incisioni, pagine poetiche di significati nascosti razionali ed irrazionali, espressione di una sensibilità nobile e di un mondo interiore che racchiude crepuscoli di antichi sgomenti, dove i segni divengono tracce di un universo originario e non saranno mai cancellate neanche dal terribile potere di erosione nel tempo.
Il suo vocabolario artistico è di una ricchezza rara ed elegante, i suoi elementi compositivi giocano con sfumature e costruzioni elaboratamente astratte, voce e strumento di simboli atavici, messaggeri di tempi, spazi e luoghi sognati e vissuti. Leggere e rileggere le sue opere sarà per tutti noi un’esperienza indimenticabile, un avventuroso e non facile viaggio alla scoperta della nostra più profonda identità.