di Lia Sfilio Borina
Luciano Nanni: Corpus e altri racconti (Panda edizioni, 2002)
 
I nove racconti di Luciano Nanni, si svolgono, senza alcun dubbio, in una dimensione onirica: ma i personaggi vivono più in un incubo che in un sogno. Lo stile interessante e intrigante spinge il lettore ad andare avanti per saperne di più, ma alla fine resta con l’amaro in bocca. Balenano paure antiche e recenti: quella della dittatura, per esempio, che mi ha fatto pensare ad Orwell; paura di essere ridotti ad una cosa, di dover sottostare all’obbedienza cieca e spietata. Tutti i racconti partono dalla realtà amara di tutti i giorni (l’incontro con una ragazza più giovane, il licenziamento dal posto di lavoro, per esempio) e poi si addentrano in un’atmosfera imprevedibile e spettrale. Domina la sensazione del dolore fisico, che l’autore rende in modo magistrale tanto che al lettore sembra quasi di sentirlo su di sé. L’atmosfera è gelida, il cielo non ha colore: un  mondo ostile al quale l’io narrante  non sa come opporsi, né ha idea di come difendersi. I protagonisti subiscono strani interrogatori, e quasi sempre sono racchiusi fra mura senza uscita. Oppure c’è un guardiano che non sa a che cosa deve fare la guardia. Si direbbe che l’autore abbia subito la chiusura in un lager nazista o comunque sia rimasto impressionato da questo tipo di esperienze raccontategli da qualcuno dei sopravvissuti. Stile scarno ed essenziale, dialoghi che sono come lampi in un cielo minaccioso. Leggerli è stato come scendere in un abisso inquietante e senza tempo.