- Gaetano Perlongo e
la sua nuova silloge di poesie:
- Il
calabrone ha smesso di volare
-
- L’ultima
silloge di Gaetano G. Perlongo, “Il calabrone ha smesso di
volare”, molto più matura ed equilibrata della precedente “La
licantropia del poeta”, si presenta con una maggiore linearità
ed incisività, oltre che con una puntuale intuizione e percezione
poetica. La poesia di Perlongo con questa silloge sembra ritornare
al suo principio etimologico di fare, creare, cioè concepire e
trasmettere emozioni attraverso la creatività. E non è un caso
che come sottotitolo è posto il termine “Poiein” che
significa appunto creare.
- Ma la
chiave dell’intera silloge è certo da ricercare nelle epigrafi
iniziali, che evidenziano una costante intenzione di movimento e
avanzamento attraverso un viaggio che volge alla ricerca interiore
e alla critica sociale. Il calabrone, metafora dell’uomo,
insiste nel voler volare, e quindi nel voler continuare ad essere
diverso da quello che è. Teoricamente volare non gli dovrebbe
essere possibile «a causa della forma e del peso del proprio
corpo in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone questo
non lo sa e perciò continua a volare» sottilizza con una
espressione ironica lo scrittore russo Igor Sikorsky. Scrive
Marcel Proust che «il vero viaggio di ricerca non consiste
nell’andare in nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi», e il
calabrone-uomo, malgrado le difficoltà che incontra nella sua
vita quotidiana, prosegue in questo suo viaggio di conquista e di
ricerca, viaggio che è movimento e rapporto tra entità
contrapposte, quali causa ed effetto, principio e fine, volontà e
sentimento. Se Gaetano G. Perlongo parte a volte da un principio
filosofico o logico matematico, che è la stessa cosa, la sua
poesia non è avulsa dalla realtà e non scade nella banalità, ma
giunge all’analisi di alcune problematiche sociali
contemporanee. La globalizzazione, intesa come univocità di
concezioni e di comportamento, quasi appiattimento ed uniformità,
diventa l’obiettivo essenziale da combattere. Ecco perché per
il poeta «la nave Capitale / carica di globalizzazione / salpa
dal porto dell’apatia» fino a quando, quasi al termine del
metaforico viaggio «la globalizzazione va / ammainando la vela
della vita / in un sottofondo crepuscolare». Tutto quello che
potrebbe sembrare conquista alla fine diventa sconfitta.
- La
poesia si tramuta a questo punto in impegno civile e sociale,
diventa messaggio e critica, come si evi-denzia nella lirica
“Badessa burocrazia”, dove in maniera ironica e briosa viene
criticato il sistema burocratico, i suoi oscuri meandri e
soprattutto la sua filosofia spicciola di potere ingarbugliare le
cose, concetto espresso mirabilmente nei seguenti versi: «Edifica
nella tua babilonia / le fondamenta del cartesiano / cogito ergo
sum». Il cogitare, il pensare diventa così una danza tribale,
nella quale la badessa burocrazia domina su tutto.
- La
poesia di Perlongo esprime però pure un profondo sentimento
morale, e soprattutto uno spirito politico combattivo. «E poi mi
chiamano l’antisociale / perché pretendo di cancellar / il
bigottismo della morale / per lasciar spazio / ad un verso
pastorale… / svestito di quel morfismo / incipriato di sofismo».
La forma e il pensiero vengono posti in relazione tra di loro
attraverso due astrazioni contrapposte, il morfismo e il sofismo,
benché sotto l’aspetto semantico nel rapporto tra i due
concetti si nasconda quasi il medesimo pensiero. Ma se l’intera
silloge appare una rivelazione in questo rapporto tra idealità e
contingenza, è il complesso universo del calabrone-uomo che alla
fine emerge. Non si tratta ovviamente dell’uomo comune, ma
dell’uomo poeta, critico, filosofo e scienziato, che in effetti
non riesce ad uscire dall’ideale cerchio che corre tra la poesia
scritta e la poesia non scritta, come dire tra quello che uno è e
quello che uno appare.
- Se
l’aspetto politico appare più o meno velato nel corso della
silloge, si rivela invece in tutta la sua chiarezza nella poesia
conclusiva, che non a caso ha come titolo “L’assioma del
calabrone”. L’uomo-calabrone, quale filosofo di strada, si
chiede «se esistono ancora le idee di rivolta». Ma rivolta
contro chi e contro che cosa? L’idea è quella di creare una
civiltà che trasmetta valori piuttosto che comunicarli
semplicemente. La comunicazione potrebbe rivelarsi facile, ma il
trasmettere certi valori significa farli propri e quindi
assimilarli. Il concetto appare complesso. Ma se questo è
l’obiettivo della conquista, qual è il mostro da abbattere? Per
che cosa protestare? A qual fine ribellarsi? Semplice la risposta.
La dà il poeta stesso: «Tumulto / per la massificazione di
destra / e l’imperialismo globalizzante. // Protesta / per il
popolo berlusconiano / che inala regime e l’oppio del Grande
Fratello. // Ammutinamento / per la società della rottamazione /
e per l’antropologia dell’automazione. //
E pure scorgo un mondo / nelle sue leggi di natura / in
relazionale armonia // la cui sua timidezza / è la caotica
complessità… // non so più volare…». Se il
calabrone-filosofo ha scoperto che non sa più volare, è proprio
perché la forma e il peso del proprio corpo in rapporto alla
superficie alare non hanno un rapporto ottimale, come dire che
nella società attuale esiste uno squilibrio che va eliminato per
una maggiore giustizia sociale e politica.
- Angelo
Manitta