di Giuseppe Manitta

Esistenzialismo ed emigrazione in Vittorio Pesca: Cuore d’emigrante (Palladio Ed. Salerno 1999)

 «Con questo mio secondo volume» scrive Vittorio Pesca nella nuova opera poetica “Cuore d’emigrante” «non potevo non cimentarmi ancora con le problematiche che assillano il nostro vivere quotidiano, in particolare il dramma emigratorio, esodo di speranza dell’umanità». La silloge assume quindi un valore universale, comprende i mali della società odierna ed esorta tutti noi a risolverli. L’autore comprende che «l’uomo è solo / nel suo tanto avere, / di speme e di tormento / l’uomo è solo, / è solo al mondo». Invoca l’onnipotenza di Dio, la speranza, il corag-gio per sconfiggere il dolore. Esorta il suo stesso angelo affinchè con un battito d’ali lo innalzi ad un sorriso di gioia. Se secondo E. Fromm «il compito principale nella vita di ogni uomo è di dare alla luce se stesso», per il nostro autore ogni uomo deve superare questa concezione e dedicarsi agli altri come se stesso. Vittorio Pesca, come molti altri scrit-tori, ha capito che niente è più importante della famiglia, dei sentimenti, della società e della propria patria. Così canta infatti in “Addio Stoccarda”: «Addio increduli sogni, / lo sguardo mio / or si posa più stanco / fra le tue valli / e i verdi colli». Tutto ciò affiancato ad uno stile semplice ed elegante, ad un uso diligente di figure retoriche, fa sì che la sua poesia sia avvincente nella lettura e davvero grande, così come afferma Francesco d’Episcopo nella presen-tazione: «Vittorio Pesca ama vagheggiare l’idea e, soprattutto, il sentimento di una reale rivolta del bene contro il male, nella certezza… che i veri valori non sono quelli che retoricamente vengono richiamati da un intellettualismo di maniera bensì quelli che si coltivano e si costruiscono faticosamente dentro ognuno di noi».