di Angelo Manitta

Ampio respiro narrativo ed evocativo in Le ninfe di Bosch di Miriam Pierri con prefazione di Domenico Cara (Laboratorio delle arti, Milano 1999).

 «Le ninfe di Bosch sono dunque le parole che si aggirano per il testo esteso, pubblicizzando la loro vita massima, i tanti enigmi che portano con sé un libero magnetismo nel franto gioco della scrittura intrisa dai contenuti lesi di netto da ululi e ferite». Con queste parole pregne di significato Domenico Cara presenta la silloge di poesie della poetessa Tarantina Miriam Pierri, “Le ninfe di Bosch”. Si tratta di una silloge dall’ampio respiro narrativo ed evocativo, dove la riflessione filosofica e la contemplazione della natura si intrecciano ad una sottile e pervasa metafora esistenziale. Vige quasi un dualismo in tale poesia, dualismo che sfocia nel rapporto tra materia e spirito, tra luce e tenebra, tra natura e intelligenza umana. Emblematica in tal senso è la lirica “Alba”, in cui la poetessa parte da un incipit invocativo («Alba, le tue materne dita, / la veste luminante, la vetrata / che accoglie l’etereo tuo battere / trattiene il raggio roseo») per giungere ad una riflessione ed una costruzione razionale della realtà («Crocefissa la ragione / è sul letto di spine, / menzogna la veste / di perline, le scarpette / da sera, il piedino di danza…». Lo stile della Pierri appare quindi originale, ma nello stesso tempo sapido ed essenziale. Non si perde in circonlocuzioni di parole, ma va direttamente al concreto con una maestria evocativa che affascina e coinvolge il lettore. Il narrare, nello stesso tempo lirico e descrittivo, conduce all’estasi e alla contemplazione, alla catarsi e quindi alla sublimazione della mente. La poetessa diventa veggente, il lettore s’illumina della sua luce. Attraverso la sua poesia si ha «la sensazione come se le cose, che sono rimaste nascoste nel caos, emergano» per dirla con il poeta drammaturgo tedesco Hebbel. Ed in effetti sentimento ed emozione scaturiscono dagli oggetti. Le cose diventano animate, si muovono e parlano al cuore come fossero davvero viventi, in una vera e propria polifonia: «Vasta polifonia / i sentimenti nell’inconscio, / allineati si dispongono / su diverse righe / di contorta partitura». Anche il linguaggio assume una nuova connotazione. Il periodare classico sfonda in un neoavanguardismo moderato, in un superamento equilibrato dell’ermetismo. Parte essenziale ha, in questo processo, la memoria che, fusa alla fantasia, porta ad una concezione speculare della poesia e della vita. L’uomo è la sua immagine riflessa nell’arte, e non più copia delle idee, secondo il detto di Platone. In tal senso esplicative possono essere le liriche “Vecchio specchio” e “Antro occulto”. «Qui tutto concorre a rendere visibile l’aspetto del silenzio, la tenerezza delle parole convocate per la passione di esserci, anche perché l’estasi, le asserzioni, i misteri trovano nella meditazione del proprio tempo il motivo di un pieno anelito a continuare in qualsiasi oltre…».