In attesa di lui

Mi chiamo Brigida: è un nome strano per una come me, ma è così che mi chiamava la signora Rosa. La signora Rosa era una donna anziana e molto buona. Abitavo da sempre in casa sua e me la passavo benissimo perché la signora Rosa non mi lesinava il mangiare e le coccole e parlava sempre con me; mi raccontava tutta la sua vita. Aveva conosciuto, diceva, tempi migliori, quando era giovane e suo marito e le figlie le volevano bene ed era felice. Poi aveva perso tutti e le erano rimaste solo due nipoti che non credo l’amassero molto. La  poverina aveva un sacco di guai e io ero l’unica che la stava a sentire, tanto più che non avevo molto da fare. Mi diceva sempre di essere la mia mamma: io lo sapevo che non era vero, ma mi faceva piacere che lo dicesse.
Una mattina la signora Rosa ha continuato a dormire distesa sul letto. Era tardi ed io la chiamavo, ma lei non mi dava retta: preoccupata sono andata dietro la porta che dava sulle scale e ho cominciato a chiamare i vicini. Poco dopo sono venuti i nipoti (quelli che la signora diceva che venivano per i soldi e non per affetto) insieme ad altre persone. C’era una grande confusione di gente che andava e veniva, ma la signora Rosa non si svegliava. Poi due uomini vestiti di nero hanno sollevato la signora, l’hanno chiusa dentro una cassa e l’hanno portata via. Quando ho visto quello che facevano io mi sono messa a piangere e mi sono rifugiata in un angolo della cucina. Uno dei nipoti ha detto:
- E di Brigida che ne facciamo? La nonna le voleva bene. 
- Va be’ me la porto io - ha detto un’altra. - In qualche modo la sistemerò.
E mi ha preso in braccio. Poi siamo andati via tutti e per un po’ sono vissuta in una casa nuova. C’erano un uomo, una donna e un ragazzino di sette anni che si chiamava Mimmo. Non ero felice: il cibo non mi mancava ma pensavo sempre alla signora Rosa che non c’era più. E poi i due grandi litigavano sempre. Mimmo mi si era affezionato, ma la donna non vedeva di buon occhio la nostra amicizia.
-Ma tu sempre fra i piedi, stai? -  diceva. E mi dava calci che io scansavo abilmente.
I calci sono una brutta cosa: anche se non ti colpiscono ti fanno male lo stesso. Un giorno quei tre fecero i bagagli. Ho sentito dai loro discorsi che andavano in un posto che si chiama “mare”: non so cosa sia ma sembravano contenti, per una  volta.
- Brigida viene con noi, vero mamma? - chiese il ragazzo.
 La donna non rispose.
- Forza, sali in macchina! -  mi ordinò  in tono brusco.
- Che intenzioni hai? -  le chiese l’uomo a bassa voce.
- Lo sai bene. Con noi non può venire. Troverà qualcuno.
- Mimmo si dispiacerà.
- Lo faremo mentre lui dorme: non se ne accorgerà neanche.
L’uomo mise in moto l’auto. Non riuscivo a capire bene ma avevo un brutto presentimento. Avrei voluto scappare ma non potevo. Ho cominciato a lamentarmi ma la signora mi ha allungato uno scapaccione. Forse era meglio stare buona ad aspettare gli eventi. Credo di essermi appisolata per il tran tran monotono dell’auto quando ho sentito all’improvviso una zaffata di freddo, una botta fortissima e un dolore lacerante al fianco. Mi sono ritrovata sull’asfalto della strada e le auto mi passavano accanto furibonde e mi sfioravano che non so come non mi hanno schiacciata. Per il gran dolore al fianco non mi potevo muovere ma la paura è stata più forte e ho cercato di rotolare più in là, più in là, verso un muretto, dove mi pareva che il pericolo fosse minore. Era notte e non capivo dov’ero né perché mi avessero gettata via. Non avevo fatto niente di male: non avevo mai morsicato i tappeti né sporcato per terra. Chi li capisce, gli umani?!
Non so quanto tempo  ho passato in quella cunetta: credo di essere svenuta per la paura, il dolore, la fame. Mi ha svegliata un forte stridio di freni e una voce che diceva:
- Brutti bastardi, guarda che hanno fatto! Ti hanno gettata qui, vero, povera piccola?! Se li avessi visti gli avrei fatto ingoiare tutti i denti, a quei brutti porci! Vieni con me, va, poverina.
Mi ha raccolto da terra e mi ha presa in braccio. Ho aperto gli occhi a fatica per vedere chi fosse il mio salvatore: era una specie di gigante, alto,  forte e bellissimo  che mi ha fatto salire con lui su quel camion grande grande, enorme come lui.
- Come sei carina! Avrai fame, vero, piccola? Aspetta che ti do qualcosa da mangiare - ha detto.
E mi ha allungato un paio di biscotti che ha pescato da un sacchetto. In principio non ce la facevo ad aprire la bocca, ma poi piano piano ci sono riuscita e glieli ho finiti tutti, i biscotti, per la fame che avevo. Così, tra il calore del camion e il cibo ho cominciato a sentirmi un po’ meglio. Ma la cosa più bella era che il gigante mi parlava.
- Stai meglio, eh? L’hai scampata bella! Se non ti avessi vista in tempo mi saresti finita sotto le ruote! Che cuore che ha, certa gente! Allevano una bestiola e poi la buttano via quando dà fastidio!
Abbiamo viaggiato e viaggiato, su quel nastro grigio lucente. Ho notato che il giovane camionista si fermava  quando c’era una luce rossa che pendeva dall’alto: si vede che era un segnale. Allora mi accarezzava con la mano destra, mi chiedeva come stavo e mi raccontava di sé. Che una volta anche lui aveva un cane, ma uno grande e grosso, non di piccola taglia come me. Un giorno un altro camion glielo aveva ucciso e da allora non aveva più voluto affezionarsi ad un animale. Si soffre troppo, diceva. Dillo a me! Io senza amore non posso vivere. Sono una che ha bisogno di coccole come del pane. Poi si accendeva una luce verde e lui ripartiva. Ogni tanto mi assopivo per la stanchezza anche se il dolore al fianco ce l’avevo sempre. Mi sono svegliata quando lui ha fermato il camion ed è sceso: ho preso uno spavento! Credevo che mi volesse abbandonare anche lui. Invece mi ha presa in braccio e siamo entrati in un locale molto illuminato dove tutto scintillava e c’erano bottiglie di tutti i colori allineati sulla parete. C’era tanta gente, quasi tutti uomini giovani, che bevevano o mangiavano. Il gigante mi ha presentato ai suoi amici. Ha detto:
- Ehi ragazzi, guardate che cosa ho trovato! Non è una bellezza?!
Gli altri si sono avvicinati e mi hanno accarezzato.
- Quei maledetti dei suoi padroni devono averla gettata dalla macchina... Come si può fare una cosa del genere!!
- C’è gente che butta via i bambini e ti meravigli se lo fanno con un cane?! - ha detto un altro scuotendo la testa con tristezza. - L’umanità fa schifo.
Così  il mio nuovo amico mi ha offerto una bella tazzona di latte caldo e biscotti.
- Hai intenzione di tenertela, Claudio? - ha  chiesto uno.
- Non posso, con la vita che faccio. La regalo a mia sorella che ha i bambini e là starà bene.
- No, no, non voglio! Io voglio stare con te - gli dicevo: ma gli uomini non sempre capiscono quando parla un cane, già di questo mi ero resa conto da un pezzo. E neanche lui ha capito quello che gli dicevo. Perché noi animali conosciamo il linguaggio degli uomini e loro invece non capiscono il nostro?! È un mistero. Mi sono ricordata che la signora Rosa era contenta quando le leccavo la faccia e così l’ho fatto anche con Claudio per fargli capire che gli volevo già bene e che volevo stare con lui:  si è messo a ridere.
- Ha avuto una bella fortuna, a incontrarti! - ha detto un altro dopo avermi osservato bene. - Ma è molto malconcia. Adesso viene Silvestro e lui te la cura.
Infatti dopo un po’ questo Silvestro è venuto e mi ha toccata dappertutto. Quando mi ha premuto il fianco mi sono messa a guaire per il dolore.
- Qui  le fa male perché è dove ha subito la botta - ha spiegato, - ma non ha niente di rotto e in pochi giorni si rimetterà.
Meno male, va! Ho avuto una bella fortuna: speravo solo di non dover lasciare il mio nuovo amico: era così gentile e premuroso! Gli dovevo la vita.  “Quando mi lascia abbaierò  talmente forte e gli farò tante di quelle coccole che dovrà riprendermi per forza,” ho pensato.
Siamo risaliti sul camion. Il mio ragazzone ha det-to che era ora di andare a dormire. Così mi ha sistemato con delicatezza dentro un borsone e lui si è steso sul lettino che aveva dietro al posto di guida. Dormivo profondamente quando qualcosa mi ha dato fastidio. Ho drizzato gli orec-chi. Ho fiutato delle presenze nemiche, intorno al camion: qualcuno strisciava lungo la fiancata. Ho capito il pericolo e mi sono messa ad abbaiare. Il mio amico si è svegliato ed è successo l’inferno. Ho sentito urlare e inveire e poi anche un colpo di arma da fuoco; e ancora altre urla. Era buio, non ci capivo niente e continuavo ad abbaiare con quanta forza avevo. Poi sono accorsi degli uomini in divisa, qualcuno è fuggito e allora mi sono accorta che Claudio era per terra. Gli uomini in divisa hanno chiamato un furgon-cino tutto bianco che è partito ululando portandosi via il mio gigante buono. Ho corso per un po’ dietro a quell’auto ma non ce l’ho fatta: era troppo veloce e allora sono tornata indietro. Uno degli uomini in divisa mi ha detto:
- Non temere, carina, hai salvato il tuo padrone e il suo camion. Vedrai che guarirà - e mi ha fatto una carezza.
Poi mi hanno portata qui,  nel canile municipale, dove ci sono colleghi di tutte le razze, anche feroci, tutti chiusi nelle gabbie. Subito mi hanno abbaiato contro. Ma quando ho raccontato quello che mi era successo hanno mostrato comprensione: molti di loro avevano avuto la stessa sventura, erano stati gettati da un’auto e si erano salvati per pura fortuna. Così adesso gli altri mi hanno accettata e sono gentili con me. I guardiani ci danno da mangiare regolarmente ma parlano solo fra di loro. Quasi ogni giorno viene qualcuno che vuole un cane, lo sceglie e se lo porta via. In questi casi io mi nascondo in fondo alla gabbia cercando di non farmi notare.
Nerone, un grosso labrador piuttosto anziano, che abita nella gabbia accanto alla mia, mi sgrida. Dice:
- Non essere sciocca, Brigida! Se trovi qualcuno che ti  prende cerca di  accasarti. Mi hanno detto che quelli che vengono qui a scegliere uno di noi sono persone buone: magari ci regalano a qualcuno che amano, a un bambino, per esempio. Qui  se nessuno ci vuole e ci ammaliamo ci portano via. Non so dove ma so di certo che nessuno di quelli che è stato portato via è più tornato. Così sarà anche per me; ma tu sei giovane. Datti da fare, sorridi, cercati un amico.
Ma io non ne voglio sapere: io aspetto che torni Claudio. Checché ne dica quel pessimista di Nerone, sono certa che appena guarito verrà a riprendermi.