Schubert e la sua arte

(I parte)

Franz Schubert, nato nel 1797, come figlio genuino di Vienna e della sua gente, è un fiore raro sbocciato dal fertile “humus” musicale che permeava le fibre più intime e nobili di quella società. Attraversò il periodo “dorato” della musica viennese ed europea con straordinaria e immacolata purezza, che lo avvicinava all’incorruttibile. La sua dimensione umana più cara fu la ristretta e gioiosa cerchia di amici fidati, che sostituiva i rapporti con una società armoniosa che non esisteva più. Una cerchia privata, dove egli trovava riparo dall’oppressione politica (dura e intransigente a quei tempi), dove poteva esprimersi liberamente e dove poteva coltivare la sua naturale ed esuberante inclinazione all’amicizia.

Schubert aveva notato presto il segno del profondo decadimento morale nel quale era caduta la borghesia viennese (sotto l’abile e attenta regia dello Stato) e dell’intontimento passivo che permeava il popolo austriaco. Totale fu il suo rifiuto verso tutto ciò che odorava di corrotto, di malsano, di decadente, mentre in contrapposizione, sempre di più si rafforzava in lui la coscienza di sé, dei valori morali e spirituali. Egli scelse di vivere fuori dalla società del suo tempo, perché non credeva nei valori di quella società, nelle sue mancanze di ideali, nelle sue sordità morali e sociali. «Una società - diceva - che premia i mediocri e i servili». Egli crede fermamente nel potere redentore dell’arte e anela a una società nella quale arte e vita si compenetrino e si completino.

Certo, il vivere fuori dalla società costituita lo al-lontanava dagli avvenimenti esteriori, dalle occasioni pubbliche, dagli appuntamenti importanti. Ma non per questo la sua vita è meno significativa. Potremmo chiamarla, più propriamente, la storia di un’anima. Egli concepiva la sua arte inscindibilmente legata alla vita, eco e immagine di un mondo migliore. Egli visse una vita breve, umanamente parlando, negli anni della più cupa oscurità morale e sociale, anni che il sistema politico aveva privato di ogni libertà, anni ossessionati dalla censura, dalla polizia, dall’oppressione. La sua arte si stagliava però limpida, al di sopra di tutte queste miserie umane, a indicare a tutti gli uomini sensibili la speranza di un tempo migliore. E i suoi amici (pittori, poeti, scrittori, drammaturghi, musicisti) vedevano veramente in lui il profeta di tempi migliori e nuovi. Egli diventò il punto di riferimento di giovani artisti e uomini oppressi, che ricevevano dalla sua arte fiducia e coraggio. La sua breve parabola terrena fu un dissidio psicologico acuto e irrisolto. E infatti il senso del “non finito” fu il carattere essenziale del suo essere. Lo testimoniano le sue composizioni, “spesso incompiute”, come incompiuta è la sua vita, precocemente spezzata dall’angelo della morte.

Tutte le sue composizioni “incompiute”, e sono tante, sono in realtà compiute, perché rasentano, quando addirittura non realizzano, un’ipotetica perfezione di stile e di contenuto. La vera compiutezza è solo rinviata ad altre sfere, a noi sconosciute, e da lui probabilmente intuite e sfiorate. Schubert è un vero pittore della fantasia, l’inven-tore di quella potenziale “infinitezza”, che porterà inequivo-cabilmente a Wagner, a Bruckner e a Mahler. La sua è un’arte profetica, in quanto rivelazione e promessa di traguardi e di mete che l’uomo vorrebbe possedere. Profezia di una verità nascosta, ma non per questo irraggiungibile. Profezia di tempi nuovi, di strade ancora da percorrere, di libertà e purezze ancora da raggiungere. Questo è il senso della sua musica e della sua breve, anche se febbrilmente intensa, esistenza. Musica che spesso ci commuove profondamente, senza che ci rendiamo veramente conto del perché.

Schubert era perfettamente consapevole che la sua essenza di musicista affondava le sue radici nella musica popolare. Ma la sua anima si aprì, fin dalla giovinezza, a prospettive e a orizzonti molto più ampi e universali. Orizzonti spirituali che lo convinsero, a un certo momento, a uscire volontariamente e consapevolmente dal chiuso cer-chio della piccola borghesia, nel quale era, in fin dei conti, nato e vissuto; gesto che pagò ben presto con un prezzo altissimo, spropositato. Diventò praticamente un viandante, un esiliato, un declassato sociale. In cambio però ebbe un dono impagabile: la libertà. La sua vita va vista perciò in quest’ottica: un allontanamento volontario dalla limitatezza del mondo piccolo borghese, per un avvicinamento a un mondo più libero, privo di convenzioni e di leggi presta-bilite, costellato da orizzonti vasti e infiniti.

L’affermazione della vita e dei suoi valori è in Schubert e nella sua opera il tratto più fresco e vivido, perché egli era perfettamente consapevole del pericolo mortale della rassegnazione. Nessun altro artista ha sopportato con tanta serenità prove e dolori che la vita gli parava davanti con particolare dovizia. La parola scoraggiamento non esisteva nel suo vocabolario, sebbene le amarezze e le delusioni lo attendessero dietro ogni angolo. Tutte queste esperienze sono affluite nella sua musica, senza però mai comprometterla. Egli era troppo forte, sano e vitale. Se il successo mancava, se l’affermazione tardava, egli non se ne rammaricava più di tanto. La sua irruenza creativa era continuamente pronta a maturare altri frutti. Se un lavoro non piaceva, non era certo il caso di fare drammi. Il prossimo sarebbe piaciuto senz’altro.