Lettera a Mabuba
trad. dall’urdu di Renata Rusca)
 
Mia cara Mabuba, sorella mia,
non è facile scrivere questa lettera, scegliere da dove iniziare il racconto, perché la penna e le parole non collaborano con me, mentre tante diverse idee affollano la mia mente. Ah, adesso ricordo che ti parlavo, l’altra volta, di una città magica! Infatti qui, quando scende l’ombra della sera e diventa scuro, clubs, ristoranti e discoteche si aprono alla vita.
La gente indossa costosi e bellissimi vestiti, esce dalle case, sale su grandi macchine che fendono il buio e va a divertirsi. Nei locali si sente rumore di bicchieri, tutti ridono così forte che il frastuono pare salire al cielo mentre i sorrisi ammaliano da rubare il cuore e la luce degli occhi è così forte che taglia tutto ciò che le viene davanti. Sull’onda della musica, i volti sono piacevoli, i corpi ballano e l’abbaglio dei riflettori impedisce la vista e proietta colori che sembrano mostrare le stelle. Guardando tutto questo splendore si diventa invidiosi. Ma se ti avvicini a visi brillanti, piano piano nuove figure escono fuori: dietro ogni faccia ce n’è un’altra in una nuova dimensione ed i corpi che ballano e ridono somigliano a cadaveri che girano qua e là , anime ferite.
Dietro i loro sorrisi si nascondono lunghe ombre di dolore ed hanno il vuoto dentro, simili ad alieni che fanno paura. È come se fossero viaggiatori nel deserto, stanchi ed assetati, sperduti tra la sabbia bollente ed il sole che brucia, alla ricerca di due gocce d’acqua. Le coppie si stringono al ritmo della musica ma sono sempre nuove, nascono e si rompono continuamente e mi ricordano i bracciali di vetro, così belli nella vetrina dei negozi così come l’artigiano li ha fatti, tintinnanti di un allegro suono che tutti amano. Ma quando li indossi e si urtano un pò più forte, si spezzano e cadono a terra con un tonfo che va diritto al cuore.
Tutti i sogni sono andati in frantumi e, se provi a riattaccarli, il loro destino è di essere fatti e rotti, ancora ed ancora, mentre i tuoi polsi ne sono feriti ed hai timore di toccarli. Sono come i fiori ciui-mui che, appena li sfiori, muoiono. Poi però, si guardano di nuovo i bracciali e si dimentica tutto. Le mani vanno di nuovo a cercarli, il cuore ricomincia a battere, gli occhi sono lucidi e tutta la gioia del mondo pare di nuovo a portata di mano. L’anima non percepisce null’altro ma, quando si spaccano di nuovo i bracciali, così come le coppie, un urlo sale in alto.
Osservando tutto questo nei miei occhi avanza la paura, rammento solo la mia piccola casa, i vicoli senza fascino del mio paese, pieni di polvere, i palazzi disordinati senza colore e bellezza, la gente che non mostra tutta la gioia che sembra di vedere qui. Nel mio paese ci sono dimore dove vivono persone senza bei vestiti, né tanti diversi cibi da mangiare. Ma dividono tra di loro quello che hanno, sopportano i dolori gli uni con gli altri e la solidarietà è come un muro per fare il quale servono le grandi e le piccole pietre che non possono stare le une senza le altre.
Dal mio cuore nasce solo una preghiera: che il tempo non faccia diventare la mia casa come quelle che ho visto qui. Dio abbia cura di te.
 
Tuo fratello