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Approfittando
dell’uscita col corso al Gran Paradiso decidiamo di anticipare di un giorno
e concederci una bella salita: la Nord - di non grande difficoltà
ma una bella soddisfazione. Arrivo verso sera al rifugio, cena e a nanna
presto perché la sveglia non perdona, tanto più che è
previsto tempo di legno per il pomeriggio del giorno dopo.
E così alle 2.00 implacabile come un colpo di diarrea suona la sveglia, rapida colazione e via per le 2.30 con la frontale su per la morena verso il ghiacciaio. Una bella luna ci suggerisce di spegnere le pile che si cammina meglio ed, inoltre, è molto più suggestivo. Un’oretta e mettiamo i piedi sulla neve, per fortuna ben dura nonostante la temperatura abbastanza elevata per il luogo e l’ora. |
Prepariamo la solita mercanzia di
corde, cordini, moschettoni, chiodi ben in vista e vai con i ramponi su
per un ghiacciaio un po’ tribolato e con crepi ben aperti ed un po’ insidiosi.
Ci ritroviamo da soli (forse il buio ce lo faceva sembrare) nonostante
non fossimo gli unici partiti di buon ora dal rifugio e, senza evidenti
tracce dei giorni precedenti, fatichiamo un poco e trovare la strada tra
i crepacci. Ora delle 6.00 ci troviamo alla terminale della Nord,
affondando fino alle ginocchia negli ultimi metri soprattutto il buon Clerici,
avviato ormai all’ingrasso dopo il matrimonio.
Partiamo per la salita con un fantastico
cielo arrossato dal primo sole che illumina le nuvole dal di sotto; quasi
un’aurora boreale ….
Salita di conserva, essendo la parete
ben innevata, e di buon passo fino a metà: su dritti al centro della
parete in direzione dell’evidente seracco. Le solite foto nelle soste per
tirare il fiato fino a che quella fo.... di una macchina si pianta: impreco
contro il freddo - che inizia a farsi sentire grazie al vento - per scoprire
poi, al rifugio, che invece si era solo mossa una stracazzutissima levetta
della quale ignoro la funzione.
La conserva dura fino a 2/3 di parete
quando il ghiaccio affiora e ci impone di chiodare lungo senza interrompere
lo stile di salita: finiti i chiodi sosto ed aspetto Stefano e Dino per
decidere come continuare. Optiamo come ovvio per una salita più
lenta ma sicura e mandiamo avanti la nostra punta di diamante che, nonostante
lo sforzo e l’astinenza dalle cascate di ghiaccio causa matrimonio, mostra
ancora una certa lucidità: pikkia durissimo sul ghiaccio e partono
piastrelle più o meno luccicanti e frastagliate verso il basso.
Lo spettacolo per me e per il Dino, a parte quelle che ci becchiamo addosso,
è decisamente bello però – Kazzo - abbiamo sotto un centinaio
di metri 3 cordate che per fortuna puntano più a sinistra per uscire
prima in cresta. Ma la fortuna non serve quando una piastrella decide di
andare contro la gravità: rotola in diagonale a 30°- 40°
(dall’orizzontale) poi sempre più verticale fino a centrare secco
un povero cristo della cordata dietro: tante belle madonne ma niente più
- per fortuna – ed una ulteriore conferma alla ben nota legge sulla sfiga
(sempre che ce ne sia bisogno).
Ed il Clerici continua, altro che
martello, sembra abbia un piccone tanta roba scende ma non c’è niente
da fare – quel ghiaccio si rompe così.
Due tiri di ghiaccio vivo e poi
tagliamo sopra il seracco pensile su un pendio di neve meno inclinato.
Altri due tiri ed usciamo in cresta con il tempo che non promette niente
di buono e 3- 4 ore di parete alle spalle.
Tempo di avviarci verso la cima
e vediamo comparire la bella coppia salita per la normale: sembrano un
po’ sconvolti ma decisamente contenti.
Foto di rito e via che si smamma
sotto un simpatico nevischio: discesa verso il rifugio sperando che il
giorno successivo sia davvero brutto, così da non dover tornare
su per quel lungo e noioso ghiacciaio.
Ed il giorno dopo fu proprio brutto……
i nostri eroi dovettero, loro malgrado, passare da un bar all’altro prima
di rientrare a milano. Un po’ più incazzato chi era venuto apposta
la mattina da milano per quell’uscita.