CARTELLINI IDENTIFICATIVI: TROPPE INFORMAZIONI VIOLANO LA PRIVACY DEI
LAVORATORI
Chiedere a lavoratori, specie se a contatto con il pubblico, di esporre
un cartellino che li renda identificabili per finalità di trasparenza e di
verifica del corretto funzionamento di aziende ed uffici pubblici, non
contrasta con la legge sulla protezione dei dati personali. Non è però
giustificato e proporzionato a tale obiettivo esigere che i lavoratori
esibiscano nel contatto con il pubblico le proprie complete generalità ed
altri dati (coma la data di nascita). E' sufficiente indicare nella parte
visibile al pubblico un nome, un codice o un numero che permetta
ugualmente di risalire all'interessato in caso di reclamo, senza però
esporre il lavoratore interessato a pressioni improprie o successivi
contatti per ragioni estranee all'attività lavorativa.
Queste sono le indicazioni fornite dal Garante per la protezione dei
dati personali, alle quali tutti i datori di lavoro pubblici e privati
dovranno attenersi per rispettare le norme e i principi posti a tutela
delle persone dalla legge sulla privacy. La decisione interessa lavoratori
pubblici e privati a contatto con il pubblico, come il personale di
compagnie aree, aziende sanitarie, pubbliche amministrazioni, aziende di
trasporto, servizi di ristorazione.
A sollecitare l'intervento del Garante sono state numerose richieste
pervenute, non solo da parte da pubbliche amministrazioni e società
private, ma anche da larga parte dello stesso personale dipendente che
lamentava l'eccessiva presenza di dati nel badge.
Pur condividendo l'esigenza di migliorare il rapporto fra operatori ed
utenti o clienti, attraverso una maggiore responsabilizzazione del
personale e una più adeguata tutela del pubblico, molti dipendenti avevano
posto in luce come una eccessiva ed ingiustificata diffusione di alcuni
dati identificativi o anagrafici li esponesse ad essere contattati anche
per motivi estranei al lavoro.
Il Garante ha ricordato che la legge sulla protezione dei dati, dando
attuazione alla direttiva comunitaria, stabilisce che il trattamento dei
dati personali si svolga "nel rispetto dei diritti, delle libertà
fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche". I dati trattati
devono perciò essere pertinenti e non eccedenti rispetto alla finalità
perseguita e la loro diffusione, sia per il settore pubblico che per
quello privato, deve rispettare precise condizioni.
Nel caso esaminato dall'Autorità, la diffusione di dati personali dei
dipendenti da parte del datore di lavoro privato può avvenire, al di là
del consenso espresso e volontario degli interessati, solo per adempiere
"ad un obbligo previsto da una legge, da un regolamento o dalla normativa
comunitaria", mentre per i soggetti pubblici la diffusione è consentita se
prevista "da norme di legge o di regolamento".
Nell'ambito del rapporto di lavoro privato l'obbligo di portare il
cartellino deriva spesso anche da accordi sindacali o da regolamenti
aziendali: il cartellino ha, dunque, diverse finalità relative sia alla
vita interna dell'azienda (controlli sulle entrate e sulle uscite,
riconoscimento da parte dei colleghi o dirigenti, accessi ad aree
riservate) sia ai rapporti con gli utenti o i clienti. In quest'ultimo
caso, ha sottolineato il Garante, non risulta di alcuna utilità che
appaiano sul cartellino dati personali identificativi diversi
dall'immagine fotografica, dalla ruolo professionale svolto ed
eventualmente da un nome, un numero o una sigla.
Stesso discorso vale per le amministrazioni pubbliche: in assenza di
precise disposizioni di legge o di regolamento che prescrivano
puntualmente il contenuto dei cartellini identificativi, non è
giustificabile che le amministrazioni pubbliche impongano la diffusione di
elementi identificativi personali non pertinenti ed inutilmente eccedenti
rispetto alle finalità di responsabilizzare maggiormente il personale e di
fornire agli utenti una conoscenza sufficiente degli operatori con cui
entrano in rapporto.