AMERICA UNDER ATTACK

OPERATION ENDURING FREEDOM

STARS AND STRIPES FOREVERWe will never forget 11/9/01...STARS AND STRIPES FOREVER

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This website is to remember the victims of the tragedy of New York/Pentagon, and about ENDURING FREEDOM Operation

    

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A PUBLIC "J'ACCUSE" - PATRIOTTISMO E TERRORISMO

New York, Manhattan, 11 settembre: due aerei volano bassi, sfiorano i grigi grattacieli, monumenti alla vanità e all’avidità umana, virano, come uccelli nell’aria, mirano alla loro bersaglio, come un cacciatore con la sua preda, e si schiantano contro le Torri Gemelle. Le Torri come animali feriti, si fermano, barcollano sopraffate, e cadono, esauste, al suolo, inermi e sconfitte.

Tutti noi siamo rimasti colpiti vedendo le immagini delle Torri che venivano colpite, andavano a fuoco, in frantumi, crollavano. Ma, quello che ha sconvolto me, è stata la paura della Realtà. Vedendo le Torri cadere ho pensato, ho dubitato, anche per più di un istante, che quella che avevo davanti fosse realmente la Realtà, che ciò che stavo vedendo stesse realmente accadendo.

Oggi, viviamo in un mondo in cui il confine tra Realtà ed Immaginazione è sottilissimo, quasi indecifrabile. Siamo così abituati a vedere films catastrofici e apocalittici in cui il dolore umano non è tenuto in alcun conto, quasi banalizzato, che, quando ce lo abbiamo di fronte, non sappiamo come reagire. Rimaniamo lì, fermi, increduli. Allora, ci viene più facile pensare che quello che stiamo vedendo non sia vero, non sia la Realtà, che una volta spento il televisore, dolore e sofferenza scompaiano, come per magia. Ma non è così. Non è stato così l’11 settembre. Non lo sarà nemmeno in futuro. Quella che tutti noi abbiamo vissuto l’11 settembre è la Realtà. Triste e imprescindibile. Dolorosa e soffocante. Quello che però non riesco a sopportare è il fatto che mentre una parte del mondo piangeva i propri morti, l’altra gioiva, festeggiava nelle piazze e gridava al cielo, ringraziando il Signore: «Allah akbar! Allah akbar!». Salutando quegli assassini come martiri, come eroi, come patrioti.

L’11 settembre gli eroi, i martiri e i patrioti non furono quelli che portarono gli aerei a schiantarsi contro le Torri, ma piuttosto, i passeggeri degli stessi aerei dirottati. Furono gli impiegati che lavoravano nelle due Torri. I 343 pompieri e 76 poliziotti morti nel tentativo di salvare delle vite. Furono i passeggeri che si ribellarono sull’aereo che stava andandoa schiantarsi sulla Casa Bianca, facendolo finire in un bosco della Pensylvania. Se volete il volto di un eroe non dovete rivolgervi verso quello mefitico di Muhammed Attah, capo di quei vili assassini, ma verso quello di Rudolph Giuliani, sindaco di New York, malato di cancro. Quel giorno maledetto era lì, insieme ai soccorritori, dimenticando la sua malattia, il suo dolore privato, per tentare di salvare altre vite, perché nel dolore e nella morte siamo tutti uguali, non ci sono differenze: una mano conta come un’altra. Quest’uomo ha dimostato sempre nei momenti di crisi della sua vita un incredibile coraggio: quello fisico davanti al pericolo personale, e quello che occorre avere di fronte alle responsabilità, sia verso il potere superiore di una qualsiasi forza esterna, sia verso la propria coscienza. Riuniti, essi costituiscono il coraggio perfetto. Da lì Rudolph Giuliani è diventato simbolo di una nazione che dopo essere stata messa in ginocchio ha saputo rialzarsi gridando con una sola voce il proprio dolore ed il proprio orgoglio. E la forza di questa nazione mi stupisce trovarla nelle parole di un bambino newyorkese che alla CNN risponde così: «My mom always used to say : “Bobby, if you get lost on the way home, have no fear. Look at the Towers and remember that we live ten blocks away on the Hudson river”. Well, now the Towers are gone. Evil people wiped them out with those who were inside. So, for a week I asked myself: “Bobby, how do you get home if you get lost now?”. Yes, I thought a lot about this, but then I said to myself: “Bobby, in this world there are good people too. If you get lost now some good person will help you instead of the Towers. The important things is to have no fear”».

Quello che non sopporto però, è vedere che qualcuno considera Muhammed Attah e I suoi fratelli come degli eroi, dei martiri immolati alla causa dell’Islam contro gli infedeli. Ancora di più mi sorprende ascoltare i commenti di persone a cui il buon Dio, musulmano, cristiano o ebreo che sia, ha dato una certa cultura definire l’attacco alle Torri una giusta punizione per l’imperialismo e il capitalismo americano. No. Non ci sto. La mia cultura, la mia intelligenza, non ci possano stare.

Sono io stesso il primo ad ammettere tutte le contraddizioni insite nel sistema americano in cui tutto è calcolato in base al denaro. Sono al primo ad ammettere che gli Stati Uniti in tante cose sbagliano o hanno sbagliato, anche malamente, basti pensare al Vietnam. Ma tutti dobbiamo riconoscere che l’America è un paese speciale. Un paese che è nato da un bisogno dell’anima, il bisogno d’avere una patria, e da un’idea sublime: l’idea della Libertà. Questo principio, così come quello del diritto alla Vità, all’Uguaglianza degli uomini, alla ricerca della Felicità, sono tutti sanciti nella Dichiarazione d’Indipendenza, quel foglio che a partire dalla Rivoluzione Francese in poi abbiamo tutti scopiazzato e che quindi sta imprescindibilmente alla base della nostra stessa civiltà.

Per questo l’attacco alle Torri va inteso come un attacco alla nostra civiltà, non solo a quella americana, perché anche noi ci fondiamo su l’idea di Libertà, Uguaglianza e sul diritto alla Vita e alla ricerca della Felicità. Quel foglio, poi, è stato scritto da un gruppo di uomini straordinari, veri patrioti. Gente del calibro di George Washington, John Adams, Thomas Paine, Thomas Jefferson e Benjamin Franklin. Uomini di grande cultura e qualità. Uomini che possono essere definiti patrioti perché hanno rischiato la loro vità per un’idea giusta. Hanno combattuto una guerra per ribellarsi da un popolo oppressore che negava loro il diritto alla Libertà. E, anni dopo, quegli stessi patrioti hanno intrapreso una guerra intestina e fratricida per sancire ancora una volta che tutti gli uomini, bianchi o neri o gialli, sono creati uguli con certi inalienabili diritti. Su quell’idea di Libertà e di Uguaglianza l’America ha versato il sangue dei suoi stessi figli.

Così la mia stessa intelligenza, tutto quello che io sono, inorridisce sentendo paragonare un Muhammed Attah a un George Washington, un Usama Bin Laden a un Abramo Lincoln. Sentendo dire che gli assassini dell’11 settembre sono patrioti, martiri della causa islamica contro l’oppressore americano. No. Non ci sto.

Alla base degli ideali di quegli uomini non c’è nessun bisogno di Libertà. Non c’è la necessità di ribellarsi e opporsi a un popolo oppressore. C’è solo una cieca invidia che, come dice Erodoto, è innata nell’uomo. Un’invidia creata dalle disparità e dalle ipocrisie della società in cui viviamo. Una parte di mondo gode di un incredibile benessere, di una vanesia ricchezza, che ci porta a considerare come acquisite e quasi banali cose che un’altra parte di mondo considera come un messianico dono. Se noi abbiamo sete andiamo in cucina e apriamo il rubinetto. Se un Somalo ha sete deve ringraziare il Signore di avere l’acqua, figuriamoci il rubinetto.

Perciò è da qui, dall’invidia, che partono gli ideali di assassini come Muhammed Attah. Persona non certo colta, che cresce vedendo e invidiando la ricchezza dell’Occidente capitalista e mefitico: la sua libertà, il suo esibizionismo; i suoi negozi, le sue insegne, la sua musica, i suoi palazzi, i suoi grattacieli. Sì, i suoi grattacieli, simbolo della sua ricchezza e della sua arroganza. Del suo sentirsi così grande da poter sfiorare il cielo, avvicinandosi a Dio. È l’invidia non l’oppressione.

I Padri Fondatori combatterono una guerra contro un paese oppressore, l’Inghilterra. Quale guerra combatteva Muhammed Attah? Contro quale paese oppressore combatteva? Contro gli oppressori americani? Attah era egiziano. L’Egitto è forse un paese oppresso ed egemonizzato dagli Stati Uniti? E l’Arabia Saudita? La Giordania? L’Iran? La Tunisia? L’Algeria? La Nigeria? Lo Yemen? La Libia? La Siria? Il Pakistan? Sono tutti paesi colonizzati e sfruttati dagli Americani? Se si, allora è davvero potente questa America!

Tra i Padri Fondatori e i terroristi dell’11 settembre c’è la differenza che mentre gli uni combattevano per un ideale giusto, gli altri agivano spinti da facinorosa invidia nei confronti di quel mondo che tanto odiavano ma che tanto desideravano, maledendo magari il giorno in cui nacquero a Beirut e sognando, intimamente, per tutta la vita, di essere nati a New York.Non provo nessuna pena ne trovo alcuna giustificazione per quegli uomini. Non sono moderni stoici pronti a immolarsi per la propria causa come Catone ad Utica. No, solo assassini posti a servizio di un pazzo.

Discorso a parte merita la questione della Palestina, più volte strumentalizzata da quegli stessi assassini. Sebbene non provi nessuna pena né ammirazione per i terroristi che quotidianamente uccidono inermi civili israeliani, non posso non trovare anche solo un briciolo di ragione. Nel 1946 l’Onu, pensando di risolvere il problema degli Ebrei, ha creato quello dei Palestinesi, ingiustamente spostati per far posto alla creazione dello stato israeliano. I Palestinesi sì stanno combattendo una lotta per la propria determinazione, per riavere il diritto alla propria Patria. Non starò qui a montare un discorso retorico, banale e buonista sull’inviolabilità della vita umana, sulla stupidità della violenza, e così via. In Israele si sta combattendo una guerra: gli Israeliani uccidono utilizzando soldati e carri armati. I Palestinesi usando i terroristi. Non li giustifico certo, nessuno può. Ma sono l’unico mezzo per contrastare la schiacciante superiorità militare israeliana. D’altronde non giustifico nemmeno l’ottusa ostinazione degli Israeliani. Né possono passare in secondo piano le colpe dei leaders di questi due popoli: Ariel Sharon e Yasser Arafat non brillano certo per lungimiranza politica né per intelligenza.

In questo discorso ho lasciato intenzionalmente in disparte la religione. Non sono un ipocrita quindi non dirò che io apprezzo l’Islam. Certo riconosco che questa religione non è priva di meriti nello sviluppo della cultura mondiale. Ma da persona istruita non posso non riconoscere nell’Islam una componente antistorica e liberticida, soprattutto visto che questa religione è imprescindibilmente legata al potere politico. Sarebbe facile parlare di un paese come l’Afghanistan. Ma non lo farò. Parlerò, invece, di un paese apparentemente civile e moderno come l’Arabia Saudita dove il potere è detenuto da una élite aristocratica che si basa sulle leggi coraniche ma non disprezza nemmeno la ricchezza che gli proviene dal petrolio. In Arabia Saudita vige una società maschilista e antiliberale. Maschilista perché non vige assolutamente la paritaà tra uomo e donna, tanto che per una ragazza è quasi un lusso studiare o lavorare. Dal “Corriere della Sera” del 15 marzo 2002: «…15 studentesse saudite sono morte nella loro scuola andata a fuoco perché la polizia religiosa, avendo trovato le ragazze a volto scoperto, senza velo, ha impedito loro di uscire in strada, condannandole ad una atroce morte». Antiliberale perché in una società islamica la verità sta da una sola parte: io sono per la libertà di culto, ma chi di voi ha mai visto una chiesa a La Mecca? Io sono per la libertà di voto: chi di voi a visto libere elezioni in un paese islamico? Se io mi permetto di criticare è perché la civiltà occidentale sa già dove ha portato l’estremismo religioso: l’inquisizione, la persecuzione di intellettuali come Galileo e via così. Come per l’Islam, al Cristianesimo va riconosciuto un ruolo nella conservazione del pensiero antico. Ma, la nostra società si è realmente evoluta solo quando ha saputo scindere la sfera civile e politica da quella religiosa. Fin quando nei paesi di religione musulmana non si scinderà la sfera politica da quella religiosa non riusciranno mai a progredire verso quegli ideali di Libertà e Uguaglianza che noi cerchiamo di far prevalere, anche se a fatica.

E allora un giorno spero di vedere un grande scrittore musulmano come Salman Rushdie, condannato a morte in contumacia dal regime iraniano per le sue dichiarazioni sull’Islam, ricordato in futuro come un patriota e posto accanto a persone come George Washington o Abramo Lincoln. Perché un uomo è un patriota se combatte per istaurare un regime libero e democratico. Se combatte per istaurare una dittatura è solo un vile assassino.

D E F C O N  1 7 7 6