SPECIALE CASTAGNETO

 

2° incontro nazionale uomini - Villar Pellice (To) 29/09 - 1/10/2000

 

Suggestioni dalle riflessioni nei quattro piccoli gruppi

 

 

Primo gruppo

Una caratteristica del gruppo numero uno, come del resto dell’incontro nel suo complesso, è stata la grande eterogeneità dei partecipanti. Differenze di età, cultura, esperienza, che hanno reso ricca la relazione tra noi, ma anche difficile la costruzione, nel poco tempo disponibile, di un linguaggio comune. Eppure, riguardando gli appunti, ritrovo nelle differenti storie e domande, riportate da ognuno, fili comuni a conferma del senso del percorso avviato. Tento di riportarle, sperando di non tradire l’esperienza degli altri nello sforzo di inserire gli interventi in un resoconto compiuto. La frammentarietà che resta testimonia della impossibilità di ridurre tutte le esperienze ad un senso univoco.

Il primo elemento emerso con forza è l’importanza che ha avuto il rapporto con le donne, inteso sia come relazione politica con l’elaborazione del femminismo sia come relazioni personali e sentimentali, che spesso sono state l’occasione per incontrare questa elaborazione e per misurarsi personalmente con le questioni che pone agli uomini: "Mi sono liberato di molti condizionamenti grazie al rapporto con una donna". Le donne incontrate, amiche, compagne, mogli, esprimono una forza, ma anche una capacità a riflettere sulla propria esperienza e sulle proprie relazioni, che pare sfuggirci. Madri che hanno tentato di "farci essere diversi dai nostri padri" e cioè dagli uomini con cui avevano condiviso la vita, ma anche madri subalterne o complici. O madri di cui si è subìto un potere che per alcuni è stato una forma di violenza che ha pesato sulla costruzione della propria individualità.

Ma questa centralità del rapporto con le donne non vuol dire non cercare una autonomia del percorso di riflessione maschile, che chiede libertà e rispetto e che vuole anche sperimentare la possibilità di un conflitto, su basi nuove, con le donne. In questo senso la definizione di "profemministi" risulta a molti ambigua e riduttiva.

Per quanto riguarda il rapporto con il femminismo e con le donne concretamente incontrate nelle nostre vite è emersa spesso la percezione di un "sospetto" delle donne verso l’autenticità del nostro percorso : il rifiuto a dare un credito all’innocenza del genere maschile che oggi "invade" anche il terreno della riflessione e della parola pubblica sui generi.

Si tratta di una sollecitazione che ha stimolato un' utile riflessione tra noi sul tema dell’innocenza. Non solo non crediamo che esista e che sia possibile alcuna innocenza, ma nemmeno corrisponde a ciò che cerchiamo. Crediamo al contrario che sia importante per noi ricercare l’autenticità del nostro percorso di riflessione e delle nostre vite. Riflettere su se stessi non vuol dire essere innocenti.

Si tratta di un nodo che non basta individuare razionalmente perché venga risolto. Rimane un disagio, una contraddizione nell’intimo di molti di noi, che va ascoltata per costruire un percorso più avanzato. "Mi credono uno che si impegna, ma sento di portare dentro di me una colpa che non affronto fino in fondo."

Assumere l’impossibilità dell’innocenza non può però voler dire accettare il concetto di colpa, a cui preferiamo la responsabilità, soprattutto perché dire che si è tutti colpevoli rischia di significare dire tutti innocenti: nessuna speranza/responsabilità personale di rompere con un ordine ineluttabile.

Si tratta di una contraddittorietà tutta interna all’ambiguità dell’immagine della "rivoluzione dei dominatori", che alcuni preferiscono chiamare "dissidenza" dal maschile.

Rompere la complicità silenziosa del maschile non è riducibile ad un’operazione volontaristica contro i propri privilegi: "Sono partito dalla denuncia della violenza maschile, ma non voglio ridurre ad "altruismo" il mio percorso; è un valore riconoscere che ciò che mi muove è un bisogno, un desiderio di senso per la mia vita"

Tra i "privilegi del maschile" più d’uno ha riproposto, nel nostro confronto, la centralità del potere nella fondazione dell’identità maschile. Come se gli uomini stentassero a definirsi fuori da un ordine gerarchico esterno a loro. Questa continua oscillazione tra motivazioni diverse dice quanto la nostra riflessione si basi anche su uno sforzo razionale. Paradossalmente ci troviamo ad attingere alla nostra razionalità per rompere con un modello maschile che ha fatto proprio della razionalità una sua peculiarità.

Ma il confronto non ha attinto solo alla dimensione razionale: nelle parole di ognuno sono emerse sofferenze, desideri, ricordi, relazioni irrisolte, disagi personali. Forse anche per la difficoltà a creare da subito un’intimità ed una comunicazione profonda tra uomini che si incontravano per la prima volta, alcuni hanno percepito la difficoltà ad andare oltre la razionalizzazione, la fatica a fare riferimento alle emozioni e a farle emergere esplicitamente.

In molti hanno affermato la necessità che il confronto tra uomini passi attraverso la costruzione di relazioni che non possono consolidarsi in un incontro di tre giorni, durante il quale è possibile solo avviare un confronto. Non si tratta, però, di una semplice difficoltà occasionale, dovuta alla brevità dell’incontro, ma anche del sintomo di un nodo più profondo su cui continuare a scavare insieme. "Toccarsi tra uomini è fatica", riconoscersi tra uomini in una stanza ed essersi scelti tra uomini può essere occasione per dare valore (e calore) ad una nuova relazione, ma deve fare i conti con un disagio ed una difficoltà che molto hanno a che fare con il rapporto che costruiamo con i nostri corpi e con il silenzio che ancora circonda questa dimensione della nostra vita. Molti hanno nominato la difficoltà a costruire un diverso rapporto con gli altri uomini che incontriamo nel mondo e la difficoltà ad inventare comportamenti che rompano una complicità maschile nel quotidiano senza ipocrisie. Relazione con il maschile vuol dire anche rapporto con i padri, per molti difficile, rimosso o assente. Padri spesso violenti, distanti.

Un altro tema che rinvia al difficile rapporto col corpo ed al silenzio maschile su questa dimensione è quello del desiderio. "Il desiderio o la voglia?" Che "qualità" contraddistingue il nostro desiderio? Come convivere con una dimensione cosi poco "controllabile" razionalmente e allo stesso tempo "segnata" da una storia e da una cultura con cui vogliamo produrre una rottura? Lo sguardo maschile: come trasformare il senso di colpa per la distanza tra uno "sguardo sporco" ed il desiderio di una relazione in cui mettere in gioco se stessi?" "Sguardo che riduce a feticcio, scompone in pezzi il corpo delle donne "

Nella storia di alcuni anche il rapporto con prostitute: un’esperienza vissuta con difficoltà e disagio. Qualcosa in cui si "casca" come in base ad un bisogno, un desiderio ridotto a "sfogo" e a cui non si riesce a sfuggire. Un' esperienza vissuta o nell’anonimato del "branco" o nel disagio della solitudine.

Il desiderio e la sessualità , luogo di una contraddizione irrisolta, rispetto alla quale è necessario andare oltre i comportamenti (ed i sensi di colpa ad essi legati) ed analizzare le molle profonde che li producono e che plasmano l’identità di ognuno di noi. Il confronto con questa contraddizione ripropone il difficile equilibrio tra la costruzione di una nuova identità maschile ed il rischio di ricadere nella riproposizione del modello virile basato sulla capacità di dominare se stessi per essere coerenti con i propri valori di riferimento. La storia della virilità è anche capacità di dominare i propri "bassi istinti" e disciplinare il proprio corpo. Quello che cerchiamo è qualcosa di diverso, non la rimozione o la coercizione di un desiderio segnato dal dominio e dalla violazione, ma la reinvenzione di un altro desiderio possibile e di un altro uso del corpo maschile.

Al fondo quello che resta di più forte è la ricerca, quasi il bisogno, che ognuno di noi ha espresso, di una nuova relazione tra noi e l’investimento che per questo motivo ognuno di noi intende fare nel percorso appena avviato. "Destrutturare/costruire/reinventare identità attraverso le relazioni". "Mi sento fuori posto e non trovo un luogo per riflettere su di me e sulla mia identità come parte del maschile"

E’ l’inizio di un percorso. Da dove partiamo? Dove ci collochiamo? Il patriarcato è finito e ci stiamo liberando dei suoi cascami o abbiamo ingaggiato un conflitto con un ordine sociale ancora saldo? Qualcuno ha ricordato la citazione di un libro che non necessariamente rappresenta la collocazione di tutti: "forse non siamo i primi uomini nuovi, ma forse gli ultimi uomini del vecchio ordine".

(a cura di Stefano Ciccone)

 

 

Secondo gruppo

Tra noi è emersa immediatamente la necessità di mettere in relazione il nostro percorso di uomini con una domanda di senso, in cui rotture con la storia di genere o dentro la propria storia personale, desiderio di credibilità e scelte di vita, si sono messe strettamente in relazione. La rottura con i modelli storici del nostro genere non si è dunque in alcun modo presentata in forma volontaristica, ma come un bisogno radicato in qualcosa di più grande, non sempre nominabile. La molteplicità di linguaggi e di registri con cui ne abbiamo parlato ne sono una testimonianza preziosa.

In questa molteplicità più volte è emersa come centrale la rilevanza delle relazioni: relazioni tra uomini, relazioni con le donne, relazioni con se stessi, relazioni con altre generazioni. "Ho imparato da uomini" ha esordito Franco. Per Domenico il rapporto con un gruppo di uomini è stato una "cura omeopatica".

"Non voglio parlare di donne. Il mio problema sono io", diceva Stefano. Credo che questa posizione ben rappresentasse un approccio che, senza mettere da parte il conflitto tra identità sessuate e dimenticare la storia del dominio del maschile, ponesse al centro un lavoro su di sé che entra in conflitto con la storia maschile. "Gli uomini sono al potere – ha continuato Stefano – e io con essi non mi identifico. Riconosco al contrario il debito con la cultura gay, con un altro maschile. Mentre non riesco a discernere dentro di me ciò che so essere violenza e la mia positività". Domenico invece faceva notare come il suo conflitto con il maschile fosse emerso soprattutto sul suolo di lavoro, la fabbrica, forse uno dei luoghi dove più si è intrecciato in modo perverso il discorso sull’identità maschile: sacrificio, organizzazione, gerarchia, ma anche orgoglio del lavoro e tradizioni di lotta. Beppe ha invece posto l’accento sul rapporto tra conflitto e relazioni, soprattutto sul fatto che il conflitto è uno strumento di relazione positivo che permette ai soggetti di riscoprire radici rimosse e di rimetterle in discussione. Fare i conti con la propria storia personale di uomini e con la storia del genere si intreccia perciò con una consapevolezza anche dolorosa, ma che è tuttavia occasione di sperimentazione e di ricerca. Questa consapevolezza è a sua volta senso del limite e strumento per riconoscere un debito, a partire da quel debito con la madre che ci mette al mondo. Fabrizio ha sottolineato l’importanza di riconoscere il desiderio femminile.

Parlare di sé è stato messo anche in relazione ai rapporti tra generazioni diverse. "Siamo dentro una storia che non dobbiamo correre il rischio di disconoscere", diceva Natale, mettendo così in relazione il rapporto con le generazioni passate di uomini che ci hanno dato il vantaggio di vivere in una democrazia, in cui vengono riconosciuti diritti politici e sociali, e quello con le generazioni future …"dobbiamo uscire da una dinamica dialettica che fa morire i contrari", intendendo dire – credo – che la via di uscita non è l’omicidio dei padri o la costruzione di una alterità maschile negativa da cui prendere facilmente le distanze. Maurizio ha invece fatto notare quanto fosse grande la differenza generazionale sul partire da sé: "la mia generazione (e si riferisce a quella del ’68) ha idealizzato se stessa, monumentalizzato il proprio io. Le nuove generazioni no".

Ma come parlare di sé e come rendere conto di questo parlare di sé? Natale ad esempio ha fatto notare come non sia sempre utile rappresentarci il nostro parlare e pensare come una scissione tra costruzione teorica e racconto personale. Per Fabrizio partire da sé, dalla propria autobiografia, è stato un modo per uscire dalla solitudine e parlarne con altri uomini è stata una occasione per far nascere nuove domande.

Il nostro discorso si è poi concentrato sul tema della responsabilità. Ovvero sul fatto che il lavoro su di sé non dovesse scindere tra pubblico e privato e dovesse porsi piuttosto in relazione consapevole con il mondo costruito dal maschile, sui suoi orrori. Qui ho fatto notare come a volte il maschile che si interroga su di sé tenda, difensivamente, a dirsi incapace di intervenire sul mondo o si senta inadeguato e non pronto ad un discorso pubblico, e come questo fosse curiosamente in tensione con una storia maschile che ha sempre dominato il mondo. Perciò dobbiamo guardare con sospetto alle dichiarazioni di debolezza e di impotenza con le quali si tende a sfuggire alla necessità di un confronto critico pubblico con la storia maschile, perché esse potevano trasformarsi in nuove pratiche di potere. In questo quadro Natale faceva notare come dovessimo davvero fare i conti con il tema del potere. Non fingiamo né di non averlo avuto né di non averlo più: "abbiamo un potere, usiamolo".

Infine - ma è solo un modo di dire per un incontro che ha smosso anche emozioni e sentimenti - abbiamo accennato ad alcune cose di cui sentivamo l’importanza di parlare in un prossimo futuro: il tema del rapporto tra identità di genere e linguaggio (usiamo un linguaggio segnato e ci sono nuove cose da significare), i modelli di autorappresentazione del maschile ed il rapporto sessualità/desiderio, il rapporto tra ordine simbolico maschile e ordine religioso.

(a cura di Claudio Vedovati)

 

 

Terzo gruppo

Alla scoperta delle radici e delle motivazioni che spingono gli uomini a mettersi in discussione. Alla ricerca di nuovi modelli e modalità relazionali. Tutto ciò parte dalla riflessione e dal confronto.

I temi affrontati hanno come modalità quella di partire da sé, uno sguardo approfondito nella propria storia, che, fatto in gruppo, consente anche uno sguardo nelle storie di altri, permettendo un arricchimento reciproco ed un superamento.

Si è riflettuto su:

  1. il conflitto dove e quando nasce;
  2. le occasioni e le parole per raccontarsi;
  3. le azioni nei confronti degli altri per un cambiamento sia personale che politico.

Del gruppo 3 facevano parte 6 uomini. Il numero ristretto e la disponibilità dei partecipanti hanno consentito un immediato raccontarci, aiutati anche da un clima di ascolto.

Il conflitto, all’origine di uno stimolo di cambiamento, può nascere dalla esperienza di molti uomini nell’ambito dell’ambiente di lavoro. Le maniere di relazionarsi, in questo ambito, molto spesso sono improntate a logiche di potere, della conquista e della gestione del potere. Il ricoprire un ruolo dirigenziale quasi sempre scatena delle reazioni sia in chi lo ricopre sia in chi è oggetto di disposizioni. Nasce un conflitto, non sempre per la verità, che crea malessere e difficoltà soprattutto in chi non è disposto ad incarnare il "Capo", pronto a marciare sui corpi dei propri sottoposti per saltare l’ostacolo che si frappone alla riuscita. In altre parole, persone che hanno voglia, desiderano, intravvedono altre modalità di relazione improntate su ascolto reciproco e collaborazione, vivono nel malessere.

Non sempre il meccanismo è così chiaro e manifesto, il più delle volte il conflitto è sottile e mascherato. Il fatto di essere maschio espone a ruoli e comportamenti che si sentono estranei. È il caso di chi ha fatto una scelta omosessuale che si vede esposto , prima di tutto interiormente , ad un conflitto ed una serie di contraddizioni in cui mancano modelli di identificazione diversi da quelli tradizionali e difficili da individuare, trovare, inventare ex-novo.

Altre occasioni di conflitto sono vissute all’interno di grandi strutture come quelle politiche o ecclesiastiche. Sono mondi tradizionalmente frequentati e gestiti da maschi, nei quali le donne hanno un ruolo secondario o quanto meno poco riconosciuto e valorizzato. In questi ambiti gli uomini che aspirano a qualcosa di altro, ad altre modalità nelle relazioni, che hanno uno sguardo critico vengono emarginati o visti come pericolosi perché minano l’integrità e monoliticità della struttura stessa. Per estensione anche la famiglia, il rapporto di coppia sono una sorgente di difficoltà e di malessere. Molti uomini approfittando della condizione di privilegio che hanno, si proiettano in attività esterne alla famiglia sia per la riuscita personale (ad es. lavoro), che sociale e politica. Questi uomini delegano alle donne, alle compagne l’organizzazione della quotidianità (cura della casa, cura dei figli, etc.) e chiedono cura per sé. Vogliono il cosiddetto "riposo del guerriero", quello che merita l’uomo che torna stanco, poco disponibile, che emana la sensazione di aver già dato e di avere solo da pretendere.

Spesso l’elemento di rottura sono appunto le mogli, le compagne o i figli che chiedono una riflessione o semplicemente si fanno carico di far saltare, rompere, chiudere i rapporti. Parlo di questo tralasciando gli aspetti legati alla violenza ed agli abusi che, va da sé, hanno un impatto ancora più dirompente ed umiliante.

Altro punto di conflitto potremmo definirlo "rottura del modello patriarcale". Questa parte di conflitto, sovrapponendosi o integrandosi con quelli già descritti, ha una radice più articolata. Si manifesta come un malessere diffuso attraverso le contraddizioni, le difficoltà di integrazione, di comunicazione, di dialogo, i ritardi o le omissioni di assunzione di responsabilità. Tutto questo disagio è una specie di filo rosso che può accompagnare tutta la vita di un uomo, soprattutto di coloro che erano adolescenti nel periodo dalla fine degli anni 60 in poi. Costoro si sono trovati protagonisti o vittime di cambiamenti epocali che hanno sovvertito il flusso, considerato normale, delle cose, secondo il quale i figli maschi, dopo le problematiche adolescenziali, rientravano nei ranghi e trovavano modelli identificativi e passaggi iniziatici già pronti, costituiti, accettati e predisposti socialmente (una sorta di eredità al maschile), nei quali entrare ed essere così riconosciuti. La critica sociale e politica avviata e manifestatasi in quegli anni da parte della generazione giovanile ha fatto saltare quanto di vecchio e precostituito esisteva, ha dato più voce alle donne e ha cominciato a mettere in crisi molti uomini che si sono ritrovati in difficoltà con se stessi e fra loro.

La rottura del modello patriarcale, messo in discussione, travolto dalla critica e dall’azione, ha dato origine a quella che è stata definita "generazione senza padri". Uomini che hanno dovuto, alcuni lo stanno ancora facendo, inventarsi un percorso assolutamente personale per identificarsi, scoprire, costruire un’identità personale che consenta di stare nel mondo come uomini, certo maschi, ma senza, possibilmente, ruoli e modalità provenienti dal passato e sentiti estranei, distanti: proprio ciò che generalmente viene identificato come modello patriarcale. Nello stesso tempo un cammino così lungo, complesso ed articolato non può essere compiuto da soli ed ancora adesso ha bisogno di altri modelli che abbiano, con la loro vita e la loro storia, l’autorevolezza necessaria per essere riconosciuti portatori di nuovi comportamenti e nuove azioni.

In questo come negli altri itinerari e situazioni di conflitto sono comuni le difficoltà di dirsi, rare le occasioni per raccontarsi e gli spazi di ascolto: la possibilità, molto semplice, di gettare uno sguardo alla propria storia personale per riconoscere il disagio e la sofferenza, la sensazione di insoddisfazione e l'estraneità a giochi di potere. Non sempre il disagio ha trovato o trova canali costruttivi nei quali scorrere. Per molti è stata occasione di irrigidirsi ancora di più (vedi il terrorismo), di isolarsi, di chiudersi, quando non autodistruggersi, sfinirsi (la droga, l’alcol, etc.). Per molti questo momento è stata l’occasione per abbandonare prassi politiche e appartenenza a gruppi per pensare altro, allargarsi ad altre frequentazioni oppure per diventare più selettivi nelle relazioni e nei rapporti: altre occasioni per giocarsi e rischiarsi nell’affettività, aiutati e stimolati dalla presenza e dalla riflessione delle donne che frequentemente rappresentano la parte più stimolante ed autenticamente creativa, come riconosciuto da molti.

L’azione verso l’esterno, la possibilità di assumere visibilità non sempre e non per tutti è una scelta facile. Non tutte le storie sono uguali, non tutte le sensibilità sono le stesse, anche se simili possono essere gli stimoli e le esigenze. In ambito politico, farsi portatori di nuove istanze e modalità di gestione del potere e di attenzione alle relazioni può rappresentare occasione di esclusione, di ostracismo.

Anche l’ambito della coppia , della famiglia è terreno fertile per il cambiamento. Spesso anche il tentativo di fare cose diverse, di non incarnare il modello patriarcale visto come autoritario, escludente, imponente, può riservare sorprese molto amare. Molti uomini prendono questo compito come un dovere, che si colora di quell'"ansia di performance", di voler dimostrare di essere sempre e comunque il "maschio nuovo", che finisce col provocare danni ed insofferenza, perché non si accompagna ad empatia e dono di sé, che fanno accrescere autorevolezza nel ruolo di padre e cessare di essere oggetto di rimproveri e recriminazioni da parte dei figli e della compagna. Agire il conflitto con un’attenzione alla cura delle relazioni è un modo di andare oltre il confronto fra maschi, che abitualmente rischia di essere distruttivo perché è accompagnato, a volte, da competizione e rivalità. Uscire da tutto questo ci porta ad essere più sereni nell’accettazione dell’autorità e simbolicamente si traduce nella scoperta , nel riconoscimento di un altro padre. In un percorso evolutivo questo può accadere sia all’interno di ciascuno di noi sia all’esterno, tenendo presente che non sarà più un appiattirsi e delegare acriticamente ad altri, ma di volta in volta sapremo riconoscere in altri uomini e, perché no, in altre donne, compagni e compagne di strada per la costruzione di nuovi modi di essere, magari solo più felici.

(a cura di Arcangelo Vita)

 

 

Quarto gruppo

Il gruppo si è ritrovato a parlare del proprio vissuto maschile. Abbiamo notato alcuni aspetti comuni, ma, al di là di questo, una grande complessità e ricchezza di storie e vissuti.

Il primo fatto che abbiamo rilevato è che in un modo o nell'altro ognuno, in sette casi su sette, aveva alle spalle l'esperienza di un padre assente. Tre di noi hanno raccontato le difficoltà legate ad un padre alcolista, altri tre hanno raccontato di aver perso il proprio padre quando erano bambini o giovani. Un'ultima persona ha spiegato invece che il proprio padre, ogni volta che c'era un conflitto o un litigio in famiglia, se ne andava fuori casa, nei fatti si chiamava fuori dai vissuti cruciali della famiglia, lasciando la situazione di tensione in mano alla madre e ai figli.

Il fatto sembra interessante per diversi motivi. L'assenza dei padri, a seconda delle situazioni, ha condotto le persone a problematizzare la figura paterna e i modelli di maschilità che si presentavano almeno in parte con caratteristiche negative (alcolismo, violenza, incapacità di relazionarsi nel conflitto). Certamente questa assenza ha suscitato in queste persone dei vissuti di insoddisfazione nelle relazioni e di mancanza dentro di sé. Probabilmente di fronte a questa assenza ognuno ha dovuto in parte ricostruire, dentro di sé o nelle relazioni, dei modelli di maschilità e un'immagine paterna, soprattutto di fronte alla condizione di diventare a propria volta dei padri. Se le difficoltà nelle relazioni paterne spesso non sono state ricucite o recuperate, diversi hanno invece raccontato di come dopo l'adolescenza sia stato possibile ritrovare e ricostruire un rapporto positivo con la madre.

Un altro elemento tipico della condizione maschile, che diversi di noi hanno rilevato, è il fatto che agli uomini viene chiesto continuamente di fare, realizzare, ottenere dei risultati concreti nello studio, nel lavoro, nella produzione, nello status sociale, altrimenti, ove queste prestazioni "pubbliche" vengano a mancare o tardino a venire, sono considerati dei falliti. In questa condizione gli uomini sentono mancare la considerazione e lo spazio per il proprio "essere" distinto dal fare e dal realizzare. La relazione familiare, interpersonale, sociale può essere decisamente compromessa o viziata da questo imperativo.

È emerso anche che diversi uomini del gruppo hanno, nella loro esperienza, dei vissuti negativi legati alla dimensione comunicativa ed espressiva nelle relazioni. Ciascuno porta il peso di cose "non dette", "non rielaborate", di incomprensioni "non ricucite". L'esperienza dei fraintendimenti, dei disconoscimenti e, quindi, delle frustrazioni, ha occupato uno spazio significativo nelle relazioni della propria vita, soprattutto tra maschi. Questo si è manifestato sia nell'ambiente familiare sia nelle amicizie sia nei rapporti di lavoro. Riflettendo su questi aspetti si è notato che le difficoltà comunicative sono spesso legate alla dimensione emotiva e alla difficoltà ad esprimersi e a raccontarsi al di fuori di una comunicazione convenzionale tra maschi.

A partire da quest'ultimo tema il gruppo ha articolato un'interessante riflessione sull'importanza, sulla ricchezza, ma anche sui limiti e sui rischi della comunicazione e del raccontarsi. Da una parte si è messo in luce che senza la capacità di raccontarsi non c'è nemmeno la possibilità di lavorare su noi stessi. Il nostro raccontare, tra l'altro, non serve solo a noi stessi, ma serve anche a chi ascolta e che si rispecchia o si confronta con la vita e il vissuto altrui. Attraverso il racconto si attinge all'esperienza degli altri uomini. Il racconto è necessario alla crescita interiore e personale. Si cresce nel racconto e si cresce raccontando. Ovvero mentre cresce il racconto cresce anche chi racconta e viceversa. Raccontarsi significa fare i conti con il proprio passato, significa in una certa misura cambiare il proprio passato, ovvero rivedere quello che abbiamo vissuto e quello che abbiamo trascurato, per cambiare il significato, lo spazio, la collocazione che hanno i nostri vissuti passati nella nostra vita e nella nostra soggettività. Da questo punto di vista raccontarsi è anche conquistare una parola nuova per dirci, per nominare quello che abbiamo vissuto, per andare avanti acquisendo degli aspetti nuovi e sostanziali.

D'altra parte, però, abbiamo riconosciuto che esiste anche una dimensione importante nella non-comunicazione (o quantomeno nella comunicazione non verbale). È importante lasciare uno spazio di mistero in noi stessi e nelle nostre relazioni. È importante lasciare uno spazio di non detto, nel senso di non consapevole, di non razionalizzato. Infine non tutto può essere verbalizzato. Si deve imparare anche a stare nel proprio corpo e attraverso il proprio corpo sentire.

Diverse persone del gruppo hanno avuto anche un'esperienza, per quanto piccola, di migrazione o di fuga, da una città ad un'altra, da una regione ad un'altra, ma anche esperienze significative di viaggi all'estero o, addirittura, in altri continenti. Questo, del resto, è un elemento che era emerso anche dalle presentazioni nell'incontro in plenaria. Il fatto è significativo sia per quanto riguarda la scelta di emigrare, ovvero di uscire o fuggire da un ambiente familiare o un paese o una città per difficoltà relazionali, culturali o materiali, sia per quanto riguarda l'esperienza dell'immigrare, ovvero del giungere in un contesto nuovo, in un altro ambiente, in cui si fa l'esperienza del confronto con le diversità sociali e culturali, con diversi modelli di comportamenti e diversi valori. Questo fatto e la necessità di ripensarsi e di rimettersi in discussione in una situazione nuova possono favorire la disposizione a riconoscere la propria parzialità e differenza sessuale in quanto uomini e quindi alla messa in discussione critica dei modelli e degli immaginari di maschilità. In questi percorsi di riflessione critica sulla propria maschilità ha spesso giocato un ruolo importante la dimensione del corpo e della sessualità. A questo proposito c'è stato anche chi ha raccontato la maturazione di un desiderio e di una scelta omosessuale e di cosa questo abbia comportato in termini relazionali, familiari e sociali.

(a cura di Marco Deriu)