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Ancora del Monastero di S.Cristoforo - Vicende di Casteldurante

Il monastero di S. Cristoforo era ricchissimo, la maggior parte dei terreni del territorio apparteneva ai monaci; anche molte abitazioni del paese erano state erette dalla munificenza claustrale e consegnate a pigione, per cui un gran numero di famiglie dovevano al Cenobio livelli, pensioni e canoni enfiteutici. I terreni per solito venivano concessi fino alla terza generazione o per il lasso di 29 anni, dopo i quali i beni sarebbero ritornati in proprietà diretta del Monastero se non si fosse fatta una legale rinnovazione enfiteutica, sborsando all’ atto notarile una somma non indifferente. Nel giro di 70 anni e più erano insorte controversie e liti non poche. A troncare ogni ragione di dissenso il Comune Durantino aveva nominata una commissione che, d’ accordo coi religiosi, appianasse tutto quanto fosse oggetto di dissensione. Riportiamo nel suo gergo trecentesco il principio, e la fine dell’atto legale di concordato, poco interessando oggi a noi il contenuto de capitoli stessi. "Al nome de Deo Amen. Anni del nostro signore milletrecento cinquanta, indizione terza al tempo del Santissimo Patre papa Clemente sexto. Infrascripti sono i capituli et i pacti de quali messer l’Abate Bartole del Monastero de Sancto Xpofano de Durante per se et per

       

          Dopn.o Cenobio                         

Dopn.o Ioanne Farulla        

Dopn.o Antonio d’Andrea

Dopn.o Benedetto

Guczo de Guiduczo

Ugolinuczo de Como

Agresto dapollinare

Bio de Maestro Giovanni

 

monaci di detto Monasterio de

 loro v

 secondo la

 del detto Mon. da

 Durante offitiali posti et chiamati

 per lo consellio del comune de

 Durante et per lo arbitrio a loro

 dato dal detto consellio da l'altra

 parte.

per ponere in pace li homini di Durante, che sono pigionavili del detto Monastero et che seranno per lo tempo, per che modo debano pagare la pigione et debbanse renovare desse dal detto messer l’Abate et suo capitulo.... seguono i capitoli.... I quali soprascripti capitoli messer Bartolo abate predicto cum monaci soi predicti et capitulo, de gratia spetiale, per amore de messer Francesco vescovo de Camerino, de messer Brancaleone dei Brancaleoni et del Comune de Durante, affermano et volliono, et consentono che supradicti capituli abbiano piena fermecza et dureno per tucto lo tempo de l' Abate predicto. Die XX Febr. in Eccla Mon. S.ci X.pori presentibus etc". Come abbiamo detto, circa la metà dello stesso secolo, si presenta in Durante la signoria dei Brancaleoni cresciuti in potenza ed autorità. Da quest’epoca non si parla più di capitano o giudice per la S. R. Chiesa, ma troviamo il podestà eletto dai nuovi padroni. Insediatosi appena il Brancaleoni nella Signoria Durantina ebbe ben presto ad impugnare le armi contro Nolfo di Montefeltro, caporione dei ghibellini ed entrato al comando di Urbino. Nel 1353 sulle pianure di S. Giorgio si scontrarono i due contendenti, la battaglia fu aspra da ambe le parti: la fortuna non arrise ai durantini che ebbero strage grandissima di modo che, come si narra in una nota contemporanea, un certo Ser Giovannino - sebbene non avesse veste notarile - fu chiamato a redigere atti e testamenti essendo periti nella pugna tutti gli altri notari. Poco appresso sbollite le ire partigiane si venne ad un accordo tra i due signorotti cementato col matrimonio di una figlia di Nolfo con Pierfrancesco Brancaleoni. Qui gli storici, dopo aver fatta una fosca pittura delle tristissime condizioni in cui versava l’Italia lacerata dalle fazioni, insanguinata dalla prepotenza dei signorotti durante la lunga permanenza della S. Sede in Avignone, ci parlano del famoso Card. Egidio Albornoz mandato con ampi poteri a risanare le larghe ferite aperte in seno al dominio pontificio, che abbracciava allora Roma, le Marche, l’Umbria e la Romagna. Il 31 maggio 1353 Innocenzo VI emana la bolla a favore dell’Albornoz nella quale se ne esaltano le rare qualità chiamandolo uomo di grande esperienza, probità, fedeltà, scienza, industria, maturità di consiglio ed anche elegante di costumi, signore delle grazie. L’E.mo non deluse davvero le grandi speranze su lui concepite. In breve tempo portò Roma alla perfetta ubbidienza del Pontefice e soggiogate poscia l’Umbria e buona parte delle Marche si volse ai Montefeltro signori di Urbino. Costoro, fautori quasi sempre dei ghibellini, avevano stretta alleanza coi Brancaleoni e non potendo aiutarli col denaro per opporsi alle mire dell’Albornoz, avevano loro prestato gioielli per valersene a trovar credito sui banchi degli ebrei. Giunta notizia al Legato di questa alleanza impose al vecchio Brancaleone di presentarsi in Ancona. Andò col figlio, espose le sue ragioni, richiese garanzie ma il Cardinale fu inflessibile. Quando a Casteldurante giunse la notizia delle riluttanze del Legato e che invece di piegarsi aveva mandato due schiere di cavaglieri ad impadronirsi di S. Angelo in Vado, la popolazione si armò e condotta dagli altri figli del Branca, riuscì a catturare le milizie papali e a trarle prigioniere a C. Durante. Uno dei Brancaleoni corse a S. Angelo e vi fece prigionieri tutti gli ufficiali ecclesiastici. Vennero fatti prigionieri il rettore di Massa Trabaria, Giovanni d’Agostino da Spoleto, l'Uditore in spiritualibus, il Tesoriere e diversi altri. A tal nuova arse di sdegno l'Albornoz e spedì subito le sue milizie contro i ribelli (ottobre 1366), anzi egli stesso, non ostante fosse tocco di paralisi, volle portarsi all’assedio di Casteldurante. Nel frattempo i Montefeltro si erano umiliati al Legato, e l'esercito di lui s’era accresciuto coi soccorsi di Romagna, in modo che l’assedio si faceva ogni giorno più stretto. E perché nessun scampo vi fosse per gli assediati si fece consegnare dal Signore di Urbino il forte Castello del Peglio e alzò due bastie, una al luogo detto dei Becchignani (Convento oggi del Barco) e l’altra al lato opposto nel luogo che anche oggi si chiama Bastia. in dicembre i durantini si arresero e i loro padroni vennero confinati. Altri storici dicono che prima che C. Durante cadesse essi nascostamente ne erano fuggiti. Un ricordo di questo fatto l’abbiamo in una supplica al podestà e Consiglio durantino dell’abbadessa di S. M. Maddalena con cui chiedeva sussidio al Comune a riparare i gravi danni causati al Monastero in quell’assedio. L’Albornoz, magnanimo anche coi vinti, volle nel ‘67 confermare ai debellati durantini tutti e singoli i privilegi de’ quali erano stati arricchiti da Mons. Durante (arch. segr. V. 367). Ma il suo successore, dieci anni poi, pretendeva appropriarsi la metà delle multe che s’infliggevano dal giudice. Ne seguì lunga contesa tra il Comune nostro e la Tesoreria Apostolica. Pare che si risolvesse favorevolmente a pro di Durante. Assoggettata la Terra al Comando del Rettore di Massa Giacomo de Agugellis di Cesena, la nostra Comunità gli paga 39 fiorini d’oro di salario semestrale. L’Agugelli tenne, per ordine del Legato, un parlamento di tutta la Massa Trabaria in S. Angelo in Vado, al quale intervenne Antonio Brancaleoni (eletto il 3 giugno dal Consiglio dei sessanta) per sostenere i diritti durantini. Il 23 agosto 1367 presso Viterbo moriva il Cardinale Albornoz e dopo quattro mesi gli succedeva il Card. Anglico Grimoard fratello del papa Urbano V. Ma l’Anglico non era all’altezza del suo predecessore, dimodochè i ribelli, già sgominati dall’Albornoz, cominciarono ad alzare la testa, e qua e colà apparvero segni non dubbi di malcontento nelle popolazioni contro il dominio ecclesiastico. Due nobili fiorentini, Tassino Donati e Filippo Corsini, tennero, l’un dopo l’altro, le redini della Massa dal 1368 al 1375. La nostra Terra in principio si mantenne calma e fedele sì da meritarsi l’elogio e la conferma dei privilegi da Adimaro d’Agrifoglio maresciallo della Romana Curia e rettore delle Marche. Ciò non ostante l’avversione alla dominazione ecclesiastica, anche tra i nostri, veniva guadagnando, come dappertutto, l’animo delle popolazioni le quali si sentivano gravate da sempre nuovi balzelli imposti per mantenere le soldatesche straniere chiamate a difendere gli stati della Chiesa. Nei primi giorni del 1372 s’adunò in Urbino il parlamento generale delle Marche, non ad altro fine se non a persuadere i popoli di sottostare a nuove taglie per le milizie gallicane a servizio del Papa. Ad immiserire sempre più la povera gente e renderla riottosa sopravvenne la peste che portò tanta desolazione e sterminio nei nostri luoghi, e, (come al solito) dopo il colera venne la carestia. Tutto disponeva le moltitudini alla ribellione. Gli sbandati Brancaleoni che tenevano sempre in Durante le loro famiglie e moltissimi aderenti, soffiavano nel fuoco per riaprirsi la strada al comando. Giunto l’anno 1375 la bufera insurrezionale che fino allora cupa covava in quasi tutta l’Italia di mezzo, cominciò a scatenarsi con tanta violenza che rovesciò in poco d’ora tutti gli ufficiali preposti dai Legati pontifici alle città e villaggi del dominio papale. Il 19 dicembre Casteldurante con le città vicine e tutta la Massa Trabaria si ribellò; lo stesso rettore di Massa, Filippo Corsini, spogliato d’ogni autorità e d’ogni avere fu trascinato prigione a Mercatello. L’annoso Branca tornò subito signore di C. Durante ed anzi il legale Antonio Tani il 28 luglio 1376 lo chiama anche rettore di Massa Trabaria, delle terre di S. Agata, della Città di Urbino e suo contado pro sancta Romana Ecclesia. Se questo risponde a verità s'arguisce che la vecchia volpe aveva saputo ben destreggiare per aggraziarsi la simpatia del Legato Pontificio da essere reintegrato in tutti gli antichi onori e diritti. Ma il ripristinato Signore godette per poco il dominio, colto come fu dalla morte; già nel 1380 ne erano stati investiti i suoi tre figli: Nicola-Filippo, Pierfrancesco e Gentile. Trovò in quest’anno ricetto in C. Durante il Card. Galeotto di Pietramala zio ex matre dei Brancaleoni. Questi il 9 febbraio consacra la Chiesa benedettina di S. Maria della Neve (oggi chiesa dell’ Ospedale). Negli ultimi trent’anni del secolo la Terra durantina godette pace e tranquillità. Pierfrancesco Brancaleoni, succeduto al padre nella rettoria di Massa Trabaria e già Senatore di Roma, seppe tenere con mano ferma le redini del governo, e i popoli ebbe devoti e riconoscenti. Le nostre carte ricordano il sussidio di cento ducati d’oro dati al Brancaleoni per i debiti contratti in occasione della morte del fratello Gentile (1398). Altri 50 fiorini s’ebbe a compenso delle spese incontrate in un matrimonio di famiglia, come pure il Comune si addossò la spesa occorsa nella venuta in Durante della sorella Paola sposa di Pandolfo Malatesta. Un consigliere, in pubblica adunanza dice, che per la fedeltà del Brancaleoni al Comune e per le continue spese fatte da lui per il pubblico bene gli dobbiamo riconoscenza come di figli al padre e sovvenirlo nei suoi bisogni presenti con 200 libbre di denari. (Arch. Antico Busta 3). Pierfrancesco apportò riforme agli statuti adattandoli ai bisogni del tempo. Leggiamo che, fin dal febbraio 1397, aveva promulgate gravi sanzioni contro i bestemmiatori di Dio, della B. Vergine e dei Santi, i pubblici giocatori di dadi, i vaganti nottambuli i portatori d’armi di qualunque specie, contro chi mancasse alla gelosa custodia delle fontane, proibendo perfino alle donne di aggirarsi intorno ai pozzi con la rocca. Multò severamente i ricettatori dei banditi e prescrisse che in ogni bottega o negozio a portata di mano si tenesse pronta un asta col graffio de ferro per acchiappare i malfattori. Inibì la pesca notturna nel fiume e l’ uso del vischio nella caccia delle quaglie e delle starne. Per la conservazione delle vie del paese, rovinate dai maiali, impose che nessuna di queste bestie potesse gironzolare senza l’anello di ferro al grifo. Nella stessa epoca riattò la piazza della Badia (oggi del Duomo) e la fè lastricare obbligando quanti avessero il somaro a trasportarvi gratuitamente dieci salme di pietra. Altra opera di pubblico ornamento fu l’ampliamento della piazza davanti al Palazzo comunale per la quale si demolirono diverse case coi relativi portici. Troviamo registrate altre spese nel 1397-98 a pro degli uomini assoldati dalla lega che i Brancaleoni avevano stretta coi Malatesta di Rimini. Ai capitani della società oltre molte regalie, mandati due sacchi di pane, 18 paia di piccioni ed otto anatre. E dopo pochi mesi spese libbre 30 in vino, pane, orzo e confetti ad onorare il Sig. Malatesta de’ Malatesti capitano della lega che ora trovasi in questa terra.