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Il Barco Ducale

Se, ultimata la visita della città, il turista si dirige verso il passo di Bocca Trabaria pensando che nulla gli resti da vedere, sarà "piacevolmente deluso". Lo attende un gioiellino di architettura e scrigno di storia: il Barco o Parco ducale. Se, al contrario, dovesse ancora entrare in città, questo posto ne sarà il degno biglietto da visita. L’edificazione dei primo complesso, denominato dei Bichignani e ormai scomparso, risale al XIII secolo: infatti nel 1286 i frati francescani costruirono chiesa e convento nel cuore della sorgente cittadina, vicino ai Palazzo Comunale, una parte di essi decise la scissione per dedicarsi ad una vita più rigida nel romitorio. Protetti dai conti Brancaleoni che offrirono loro una selva nella penisola a nord di Casteldurante,

Mappa del Barco ducale del geometra Poggio (1768)

Mappa del Barco ducale del geometra Poggio (1768)

  fondarono così un piccolo eremo scegliendo come loro protettore San Giovanni Battista, l’uomo della rigida penitenza vestito di pelli di animali, derivando l’appellativo di Bichignani (o Becchignani) dalla pelle di capra o di becco diventata il loro abito. Quando nel 1465 il duca Federico da Montefeltro impiantò per mano di Francesco di Giorgio Martini la sua riserva di caccia a Casteldurante, il Barco appunto,  (successivamente rimanipolato da Girolamo Genga

Cupola della chiesa del Barco

Cupola della chiesa del Barco

 

      tra il 1515 e il 1535), comprese nel recinto anche il convento dei Bichignani (successivamente chiamato del Barco), ormai passati all’Osservanza dell’Ordine dei Francescani di San Bernardino già nel 1457. La tradizione vuole infatti che San Bernardino da Siena abbia operato nel territorio di Casteldurante sia vivendo nel convento dell’Osservanza, sia fondando nella Pieve di San Pietro in Monte di San Pietro la Confraternita del Nome di Dio. Ancora oggi sono indicate nei pressi del convento dei Bichignani la "quercia e la fonte di San Bernardino". Molte sono le testimonianze d’archivio che documentano quanto nel secondo ‘400 la vita dei Bichignani di Casteldurante fosse intensa e quanto il convento andasse sempre più ampliandosi. Per tutto il Cinquecento continuò ad essere chiamato "dei Bichignani", anche quando fu ubicato nel "Parco Ducale", localizzazione espressa negli atti ufficiali che indicano il convento dell’Osservanza come "loco de Bichignani in parco". L’antica chiesa del convento fu ricostruita nel 1508, poco lontano da questa (la "maggiore") ne esisteva un’altra (la "minore"), antichissima, forse la prima chiesetta dei Bichignani fabbricata nel Romitorio, anch’essa dedicata a San Giovanni Battista. Una pianta settecentesca (1768) del geometra Poggio, conservata nella Biblioteca Comunale di Urbania, raffigura un’ ansa del fiume Metauro con segnato il sito del convento attuale e sulla stessa riva del fiume, non molto lontano dalle "vestiggie del Vecchio Convento", quello della chiesetta di San Giovanni, della quale resta come preziosa testimonianza un portale in pietra arenaria rosa che, reimpiegato come ingresso al refettorio del convento settecentesco, è stato di là rimosso e depositato nel Museo Civico di Urbania. Sull’architrave è scolpito un Agnus Dei, mentre sugli stipiti sono

Altare Maggiore

Altare Maggiore

  state graffite molte memorie storiche, tra le quali si legge: "1465 adì 3 aprile si incominciò il Barco del Sr. Duca"; "Adì 12 aprile 1508 morì Guido Duca d’Urbino a Fossombrone e fu portato a Urbino e sepolto". L’importanza del convento dell’Osservanza dei Bichignani si accrebbe anche per due importanti istituzioni: il Monte di Pietà, di cui quel convento fu promotore e soprintendente, e la Biblioteca: che quest’ultima fosse antichissima e si sviluppasse sempre più con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, lo dimostrano i reperti manoscritti e le numerose edizioni incunabulistiche conservate, in parte, nella Biblioteca Comunale di Urbania e le bellissime edizioni cinquecentine. Ciò che rimase dell’antica Biblioteca, devastata nel XIX secolo durante il periodo napoleonico prima e poi nel 1866 con la soppressione ordinata dal governo italiano, passò alla Biblioteca Pubblica nella consistenza di 600 opere e di 1180 volumi, che portano la dicitura a mano o stampigliata: "Loci bichignani"; "Loci Castri Durantis", "Loci Sancti Joannis Baptistae Urbaniae Parci"; "Pertinet ad Bibliothecam S. Jo. Baptistae Parci Urbaniae". Recentemente si è avuta notizia di un manoscritto della fine del XIV secolo

  (conservato nell’Archivio del Collegio Irlandese di S. Isidoro di Roma) dei Fioretti di San Francesco ("Actus Beati Francisci et sotiorum eius") che apparteneva con certezza alla Biblioteca dei  Bichignani di Urbania: proprio nell’incipit viene dichiarata la provenienza: "Iste liber est loci bichignani". Il primitivo complesso quadrilatero dava lo spazio ad un vasto cortile interno che cedeva l’area ai quattro angoli nei quali vennero creati sugli anteriori i due chiostri con i pozzi a cisterna, e sui posteriori la scala elicoidale simile, a dire del Vasari, a quella del Belvedere di Roma, e a destra il mausoleo ducale.  Nel 1625 Francesco Maria II Della Rovere, ultimo duca  di Urbino, donò ai frati Minori Riformati, chiamati volgarmente "Zoccolanti", questa villa che essi trasformarono in convento: a tale effetto lasciò loro 500 scudi. Delle due torri quadrate site ai due fianchi dell’edificio una venne ridotta a campanile e l’altra fu abbattuta nel XVIII secolo; nell' area libera del cortile fu costruita una chiesa già menzionata in un documento del 1656. Nel 1745 però, l'edificio cominciò a minacciare rovina a causa dell'erosione e delle piene del fiume Metauro, così fu  decisa la ricostruzione ex novo del convento a circa 70 metri di distanza dalla sua antica posizione e dalla sponda del Metauro per garantire maggiore sicurezza. La realizzazione fu sollecitata anche dai gravi danni arrecati al vecchio edificio dal terremoto del 1741. Padre Cristoforo Bostrenghi di Urbania, Provinciale e Custode dei Riformati e nel 1762 Commissionario del Monastero di S. Chiara di Napoli, svolse un ruolo particolarmente importante e attivo nel procedere all’edificazione del nuovo complesso, progettato dal bresciano fra Giuseppe Antonio Soratini (1680-1762), monaco camaldolese e abile architetto, vanvitelliano nella maturità, che lo inserisce nella sua autobiografia tra le opere realizzate, insieme alla chiesa, iniziata nel 1759 e consacrata nel 1771 dal Vescovo Bajardi. Rimane come preziosa testimonianza del lavoro progettuale svolto in quest’epoca il modello in legno conservato nel Museo Civico di Urbania, insieme ai resti di una pianta settecentesca del Barco, depositata anch’essa nel Museo Civico della città, incisa e dipinta a inchiostro rosso e nero su tavola di legno che dovette servire per la realizzazione definitiva e poi impropriamente riutilizzata per costruire uno sgabellino. Il convento,  abbandonato definitivamente dai religiosi alla fine dell’Ottocento, è stato sede fino al 1990 circa di una Casa di Riposo

Barco Ducale - modello in legno

   per anziani.  I lavori della chiesa di S. Giovanni Battista, eseguiti su progetto di Soratini, (dovettero cominciare poco prima del 1762) e terminarono nel 1771, anno in cui il vescovo Bajardi consacrò la chiesa. Ha pianta a croce greca con tre bracci curvilinei ed uno  rettilineo, quello della facciata, andamento obbligato dalle preesistenti strutture. Il braccio centrale si prolunga nell’abside, elegantemente decorata da

Barco Ducale - modello in legno

      paraste culminanti in capitelli in pietra grigia; il catino absidale riceve luce da una rotonda finestra. La cupola, impostata su pennacchi, è divisa in quattro spicchi recanti cerchi sormontati da foglie in stucco. L’insieme è il risultato di tradizione classicista su cui si innesta, forte, il più recente gusto di cultura vanvitelliana. All’altare maggiore grande tela con l’Immacolata, San Giovanni Battista e santi francescani di fra Sebastiano Conca (1762) e pregevole Crocifisso ligneo cinquecentesco. A quello di sinistra Madonna del Rosario e i santi Domenico, Antonio da Padova, Margherita da Cortona, Romualdo, Giacomo della Marca, tela di Gianfrancesco Ferri da Pergola (PS) (1701-1775). Ancora un’opera del Conca (1763) all’altare di destra, dedicato a San Pasquale Baylon, la cui effigie lignea troviamo all’entrata della chiesa. La sacrestia, ambiente nato come mausoleo di Federico da Montefeltro, custodisce un Padre Eterno di Claudio Ridolfi e una tela di Gianfrancesco Ferri, Croce con i santi Ludovico ed Elisabetta regina.