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Castel delle Ripe

Raminghi e spogli di tutto i disgraziati Metaurensi trovarono scampo e sicurezza sulle creste dei colli che si alzavano a ponente della diruta loro patria. Quivi alzarono le loro prime abitazioni, e perché il novello paese aveva le sue fortificazioni naturali tra balze e dirupi, quasi per ogni parte, venne chiamato Castello delle Ripe. In fondo, a mezzogiorno, scorreva il Metauro e dagli altri lati tre piccoli corsi d’acqua, e cioè: a levante il fossatum aque male che divide oggi la parrocchia di S. Cecilia da quella di Monte S. Pietro, a settentrione il neo putrido sotto Spinateci, a ponente il fossato del Gorgozzo che scorre lungo il Monastero di S. M. Maddalena. Tutti ruscelli e ruscelletti di non chiare e limpide acque, sì che non avrebbero ispirato carmi né a Dante né ad altri vati, giacché i nomi non sono gran fatto lusinghieri! A levante l’abitato era anche difeso da un fortilizio detto Castelmaggiore, mentre nel lato più debole, a ponente, era stata alzata la rocca o cittadella per guardarsi dalle scorrerie irrompenti da Urbino. Che i primi Ripensi avessero già abbracciata la religione cristiana cattolica, ne avevamo un documento (sec. VII) nella donazione di un terreno fatta dai medesimi al loro arciprete " ob laborem prestitum ab ipso pro defensione nostre sancte fidei contra heresim anianam". All’incontro gli abitanti dell’Urbino Metaurense erano pagani, come lo addimostra fra l’altro un avanzo di necropoli sita nel piano detto oggi del Barcone nella parrocchia di Monte S. Pietro. Con quale forma di governo si reggesse il nostro Castello, ci è ignoto: nulla resta della vita civile di quel popolo per più di quattro secoli. La sua storia si può dire ha inizio con le famose lotte tra Guelfi e Ghibellini nel secolo dodicesimo. Da allora conosciamo come i Ripensi avessero seguita la parte guelfa, mentre nella vicina Urbino prevaleva la fazione ghibellina. Di qui continue contese, saccheggi e distruzioni nelle quali ebbe quasi sempre la peggio Castel delle Ripe come luogo più piccolo e meno difeso. In ogni incontro i Ripensi ebbero l’appoggio del Monastero di S. Cristoforo del Ponte, in quei tempi giunto all’apogeo della sua potenza. Laggiù, nel piano, ove oggi sorge Urbania, in mezzo ad una selva di cerri, circondata da tre parti dal Metauro, fin dall’ ottavo o nono secolo, s’erano stabiliti i monaci di S. Benedetto per lauta dotazione dei Conti Brancaleoni e di altri doviziosi benefattori. Dai codici censurari dell’Abbazia, giunti fino a noi, conosciamo la stragrande ricchezza di questo Cenobio, che, in secoli burrascosi, oltre tener testa ai prepotenti di allora, seppe al tempo stesso offrire asilo e sicurezza ai vinti ed agli oppressi. Acerrimi sostenitori del Romano Pontificato, erano codesti religiosi guelfi fino alle midolla, e sovvenivano i Ripensi di uomini e di mezzi nei duri contrasti che ebbero coi vicini Urbinati ghibellini. Di qui l’alto dominio che l’Abbate di S. Cristoforo esercitava su Castel delle Ripe. Ne abbiamo sicure prove nei primi documenti che il tempo ci ha risparmiato. Infatti, quando l’ Abbate Ildebrando nel 1205 debellò a mano armata alcuni signorotti dei dintorni e fatti molti prigionieri, li rinchiuse nei fortilizi di Ripe. Gli uomini del nostro Castello, per la grande maggioranza, si davano al mestiere delle armi, e, quando l’opera loro non urgeva alla tutela del paese o a quella del monastero, si mettevano al soldo delle città dalle quali speravano aiuto nelle loro ricorrenze. Nel 1213 l’ Imperatore Federico, a rimunerare i servigi a lui resi dalla prode famiglia dei Montefeltro, ai due fratelli di questa Buonconte e Taddeo concesse in feudo Urbino e il suo contado. Ma questa città, sebbene di fazione imperiale, vedendo così manomessa la propria libertà, rifiutò sdegnosamente sottomettersi al giogo dei Montefeltro. Buonconte e il fratello allora, a raggiungere lo scopo, si assoggettarono a Rimini, procurandosi altresì alleanze con città e signori vicini. Circa questi tempi sotto le insegne dei due fratelli e al soldo di Rimini troviamo militare alcuni di Castel delle Ripe e sudditi del Monastero, il che ci dà a conoscere come, tra gli altri confederati ai danni di Urbino, fossero accorsi anche i nostri. Il Tonini riporta un documento del 2 dicembre 1216 nel quale Taddeo, figlio già di Montefeltrano, fa quietanza al Comune di Rimini sulle paglie ricevute per i suoi uomini tra i quali ricorda i pedoni "qui pro nostro Domino Bonocomite ad servitium Arimini interfuerunt: Ioannes Zuliane de Ripis, Rubens Ocri de Ripis, Ioannes Zancati de Ripis, Guiton Capanace de Ripis, Ugolinus Guidocti de Ripis, Ioannes Aulive de Perverzo, Ugolinus de Turre Abbadie, Rainerius de Turre Abbadie, Pelizion de Turre Abbadie..." ed altri non pochi della Stretta, di Monte S. Pietro, dell’Orzarola, del Peglio, dei Pecorari ecc. L’ intervento dei nostri contro Urbino accese di furore quei cittadini che ne giurarono vendetta appena le circostanze li avessero favoriti. Un triste giorno del 1225 piombarono d’ improvviso su Castel delle Ripe distruggendolo completamente. Gli scampati all’ eccidio corsero al Monastero imploranti protezione e ristorazione della patria. Il fiero Abbate Ildebrando, vista l’impossibilità di potere coi suoi mezzi rifabbricare il Castello e assicurarne la difesa in avvenire, strinse alleanza con Città di Castello in forza della quale "pro reedificatione et restauratione Castri Riparum quod nunc destructum est" la Comunità Tifernate si obbliga a cooperare validamente alla riedificazione di Ripe e alla sua difesa contro qualsiasi oppositore, specialmente contro gli urbinati invasori. L’Abbate poi, a nome del popolo ripense promette di dare ogni anno al Comune Castellano 2 libbre di denari ravennati per ciascun focolare, di scegliersi il podestà tra gli uomini di Castello, di non sottoporre quei cittadini a qualsiasi tassa o pedaggio, e, in caso di guerra, di correre al loro servizio con 50 cavalli e 200 fanti. Così Ripe risorge dalle sue ceneri. A maggior sicurezza dal lato ovest, dove altre volte gli urbinati irruppero coi loro assalti, venne alzata una ben munita rocca che Città di Castello assunse l’onere di presidiare. La località dove press’ a poco sorgeva questa fortezza è detta anche oggi Cittadella. Narra il Muzi come, nell’anno 1242, il podestà di Castello non vedendo comparire l’annuo tributo già pattuito nel 1225 con l’Abbate di S. Cristoforo, ne fa richiesta ad Alberico Brancaleoni che era a capo di Castel delle Ripe. Questi, a nome del suo popolo, fece osservare come gli alleati erano venuti meno ai patti e che i Ripensi costretti a servire nell’ esercito dell’ Imperatore, non potevano in nessuna maniera pagare. Non si conosce quali siano stati i patti non osservati dai Castellani, né per qual ragione i Ripensi erano Stati costretti a militare sotto le insegne dell’ Imperatore. Ciò mi fa supporre che, circa questo tempo, Città di Castello o avesse mutata bandiera o fatto lega con qualche altra città ghibellina e questa avesse obbligati quei di Ripe a dare aiuto all’ imperatore Federico. La tenacia delle fazioni agitanti senza tregua le nostre contrade tenevano ognor viva la lotta tra Castel delle Ripe e i Montefeltro arrivati già, dopo un ventennio di contrasti, alla Signoria di Urbino. Forti i Ripensi nei diritti di libertà, non volevano in nessun modo piegare il capo al giogo degli urbinati, i quali non perdevano occasione con scorrerie e prepotenze d’imporsi con la violenza. Un vecchio manoscritto ricorda come il 30 - 6 - 1256 i Ripensi e i deputati di Massa Trabaria si portarono a Città di Castello dove il Podestà e i Capitani di Arezzo dichiararono solennemente: il Castello di Scalocchio, di Torre della Badia, la Valle del Candigliano e Castel delle Ripe essere di pertinenza e giurisdizione dei Castellani. A scanso poi di ulteriori fastidi i Tifernati strinsero lega offensiva e difensiva con Guido il vecchio Signore di Urbino. In forza di questa venne stabilito che i Ripensi pagassero alla Comunità Urbinate 26 denari annui per ciascun focolare, che il Castello fosse rispettato da entrambi i Comuni, che nelle cause civili e criminali, mantenuto il proprio giudice di prima istanza, i Ripensi fossero liberi di appellare all’una o all’ altra città, che queste presidiassero la fortezza in comune, ma che nessun di loro potesse distruggerla, dandosi altresì facoltà ai fuorusciti di tornare alle proprie case. Sembrava dover essere così assicurata la pace tra Urbino e Castel delle Ripe. Invece il fuoco covava sotto la cenere! Da qual parte venisse la provocazione non ci è dato conoscere. E da riferirsi a questi anni quanto, in base alla popolare tradizione è note storiche, racconta l’Ugolini: "Un giorno gli urbinati fatta irruzione nel territorio ripense, ne trassero ricco bottino. Di ciò informati gli abitanti del Castello, corsero armati per iscorciatoie e tragitti ad una macchia, al luogo detto Monte Soffio, a metà di strada da Urbino, aspettando ivi i depredatori, i quali venivano fidenti e spensierati. Piombarono i ripensi sopra gli urbinati, che al fiero e inaspettato urto non resistendo, parte fuggirono, parte furono morti o presi e fu ritolto il bottino. La macchia ove i ripensi irruppero si chiamò, e ancor si chiama, del mal consiglio". Due anni appena erano scorsi dalla lega tra Città di Castello con Urbino, quando i tifernati, risaputi gli atti di pirateria contro Ripe, cominciarono a dubitar forte della fede urbinate e a vivere in ansia per i loro concittadini: podestà, officiali e custodi della cittadella ripense, e però giudicarono opportuno stringere alleanza coi riminesi, coi quali il popolo di Urbino era vincolato da precedenti obbligazioni solennemente giurate. Credettero con ciò di frenare la tracotanza urbinate. L’ alleanza, firmata il 18 nov. 1258, pattuiva: che le due comunità si difendessero a vicenda, contro i comuni nemici. Nominalmente i riminesi dovessero tutelare quanti tifernati fossero in Castel delle Ripe e in altre terre vicine. Occorrendo ai riminesi l’ aiuto dei castellani contro urbinati e cagliesi, ognun d’essi avesse a prestare le proprie forze e rimanere in campo a proprie spese per otto giorni... Ciascuno degli alleati così tirava l’acqua al suo molino e il povero Castel delle Ripe era posto in balia di se stesso, contro un nemico sempre alle spalle.