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Casteldurante al tempo di Federico II il grande

Federico era figlio illegittimo del Conte Guidantonio, che l’aveva avuto vivente ancora la sua prima moglie, ed era nato in Gubbio il 7 giugno 1422 forse da certa Donna Mira di Casa Ubaldini. Quattro anni appresso era stato legittimato da Papa Martino V e affidato bambino a Giovanna Alidosi moglie di Bartolomeo Brancaleoni signore di S. Angelo in Vado e di Mercatello. Fin dai teneri anni Federico si era fidanzato a Gentile figlia di Bartolomeo, ma il matrimonio, con le dovute dispense e con tutta solennità, si celebrò soltanto nel 1437 quando Federico aveva appena 15 anni. Cosi egli, quale amministratore dei beni della moglie, (essendo già morto Bartolomeo) entrò nel governo di quella Provincia e se lo tenne con mano ferma senza competitori. Vivente ancora Guidantonio, Federico aveva dato luminose prove di forte ingegno e di non comune perizia nelle armi, tutelando gli interessi paterni e sostenendone i diritti. Appena gli arrivò la nuova della tragica morte del fratello accorse subito in Urbino, quale erede di quella Signoria secondo il testamento del padre. Ma vi trovò chiuse le porte, né fu ammesso in città prima che non avesse giurata solennemente fede e rispetto ai venti capitoli presentatigli dal Magistrato urbinate. Di là trasferitosi a Casteldurante ratificò i privilegi già concessi da Guidantonio ed altri ne aggiunse, come chiaramente si rileva dalla capitolazione da lui quivi sottoscritta il 24 settembre dell’istesso anno. Fu quella di Federico una vita di perfetto principe, di valoroso condottiero, di sagace politico, del vero amante del bello e del buono, tutto dimentico di se pur d’essere giovevole ai suoi Popoli a’ quali dedicò senno, destrezza, valore, ed intera la vita. Amò di specialissima predilezione la nostra Terra, da cui trasse numerosi capitani, artisti ed uomini di senno e dottrina che volle attorno a se per aiuto e consiglio. Confermò a Casteldurante il primato di Massa Trabaria stabilendo che qui solo si facessero le riviste delle milizie, vi risiedesse un supremo giudice di appello per tutta la provincia che poi si nomò Commissario di Massa. Desta la più alta meraviglia sapere come un principe che passò la sua vita quasi di continuo tra lo strepito delle armi, abbia avuto tempo e comodo da attendere a tante altre opere di pace seminate per ogni Terra del suo Stato. Basti per tutte il monumento cui è legata la sua fama imperitura, cioè l' erezione del Palazzo ducale di Urbino uno dei più belli e più armoniosi che abbelliscono l’Italia. Che se Urbino vanta giustamente la sua Corte ducale come uno dei monumenti più insigni del ‘400, anche la patria nostra è altrettanto orgogliosa del magnifico palazzo che lo stesso Federico II edificò in Casteldurante ingrandendo ed abbellendo quello eretto un secolo e mezzo innanzi dai Brancaleoni. I nostri archivi hanno soltanto una lettera del Duca al podestà durantino del 23 luglio 1474 con la quale proibisce "lo giocare de la palla che per lo tempo passato ha damnificato et damnifica la Corte". Il Marcolini ne dà architetto il fiorentino Baccio Pontelli altri l' attribuisce all’ insigne senese Francesco di Giorgio Martini che tanto lavorò nel Ducato di Urbino, ma nulla di positivo abbiamo per mancanza di sicuri documenti. Il nostro Raffaelli scrive: "Il belligero Federico, circa la metà del sec. XV, faceva costruire sull’idea della Corte di Urbino, questo palazzo di fronte largo 85 metri e di fianchi lungo 51 che, con l’annesso giardino, occupa una superficie di 6110 mq. Da due lati guarda la città, verso mezzogiorno il giardino ed a ponente il Metauro, sovra cui sporge un portico pel passeggio con ai capi due torrioni, uno dei quali di pittoresca visuale. Lo illuminano al di dentro tre cortili, il primo dei quali adorno di ventidue svelte colonne di travertino di ordine corinzio. Al di sopra di quello gira consimile corridoio per cui si entra da due parti nel salone collocato di mezzo alla fabbrica, lungo ben 24 metri e largo 11, con vasto camino sul sinistro fianco. Mette questo in altre tre sale inferiori cui corrispondono i diversi appartamenti e le fughe delle stanze da un capo all’ altro dell’ intera larghezza, e trovi a tutti i quattro angoli del fabbricato una scala con la sua uscita, due delle quali cocleari e segrete. I suoi ambienti, cominciando dai sotterranei, sono tutti grandiosi e tutti a volte poggiate su capitelli di pietra, dei quali non ne trovi mai uno simile, per quanti mai siano, a un altro". Il dotto Autore poteva anche accennare che la maggior parte di quelle sale aveva il pavimento ammattonato, alcune altre, invece, l’avevano di mattonelle maiolicate e egregiamente dipinte dai nostri celebri vasai e ricordate anche dal Passeri che, nel ‘700, poteva ancora ammirarle. L’acqua poi che in abbondanza trovavasi nel giardino, proveniva da fuori porta Celle, condotta sul ponte detto del Riscatto, in origine (come si è detto) molto più basso dell' attuale. Oggi, a levante e a mezzogiorno, la Corte ha perduto all’ esterno tutta ha venustà dell’architettura quattrocentesca, e l'interno è stato deformato in malo modo fin da quando, nel 1772, ebbero qui ricetto 120 gesuiti portoghesi che vi dimorarono fino alla loro morte; nuovo vandalismo subì dopo che il Palazzo passò ai Principi Albani che vi impiantarono una fabbrica di stoviglie (nel sec. XIX) asportando ogni opera d’arte ancora ivi conservata. Altra opera degna di ricordo è quella da noi volgarmente detta il "Barco" che il Duca Federico fece nel 1465 al sollazzo della sua Corte. Circondò il luogo di mura per tre miglia con piantagioni di querce e di cerri riempiendolo di selvaggina. Ivi pure, ad istanza di S. Bernardino da Siena, alzò il Monastero pei Minori Osservanti con bella chiesa. Tra i personaggi illustri che onorarono della loro amicizia il Magnifico Federico, oltre S. Bernardino che egli aveva chiamato ne’ suoi Stati al bene spirituale dei popoli, vi fu pure il celebre Cardinal Bessarione. Questi, inviato dal Pontefice a pacificare l’Inghilterra, passò per Gubbio ove allora dimorava Federico. Dietro sua istanza, l’illustre porporato cresimò il figlio Guidobaldo di soli tre mesi, dopo di che, dirigendosi egli a Castel Durante volle il Duca accompagnarlo con tutta solennità, e fu proprio in quella circostanza che il Bessarione lasciò all’Abbazia nostra, di cui era Commendatario, l’insigne reliquia dell’òmero di S. Cristoforo (27 aprile 1472). Cessata la grande epidemia colerica del 1448, che tante vittime fece anche nel nostro territorio, Federico chiamò a reggere la podesteria il Conte Gaspare Ubaldini. Contrariamente agli statuti ed alla prassi dell’ epoca, l’ Ubaldini tenne il comando della nostra Terra per 17 anni quasi senza interruzioni, il che sta a provare e la somma perizia di lui al governo, la fiducia illimitata del Duca e il gradimento dei sudditi. La nobilissima famiglia Ubaldini da quest’ epoca per due secoli et ultra dimorò in Durante ed abitò sempre un proprio e vasto palazzo (ora Raffaelli) che fronteggia la Chiesa del Corpus Domini alla quale fece dono delle stupende Sibille affrescate da Raffaelin del Colle. Dalla stessa prosapia uscirono uomini illustri nelle Scienze, nelle armi ed i duchi se ne giovarono in tante occasioni, li ebbero sempre al loro fianco fidi e prodi consiglieri e ad essi affidarono uffici e cariche importantissime. Ecco un curioso e poetico albero genealogico di codesta famiglia ritenuto, per molto tempo, uno dei primi documenti poetici del volgare italiano, ma poi scoperto essere una elegante ciurmeria del sec. XVI "Con lo meo cantare - dallo vero narrare - nullo me diparto - anno millesimo Christi salute - centesimo octuagesimo quarto - cacciato da veltri a furore - per quindi altri mugellani cespi un cervo - per li corni allo fermato - Ubaldino genio anticato - allo sacro imperio servo et  co piedi avacciarmi - et con le mani aggrapparmi - alli corni suoi d’un tracto - lo magno Sir Federico che scorgeo - lon tralcio a corso lo svenò di facto - però mi feo - don della cornata fronte bella - et per le ramoza degna - et vuole che sia - della prosapia mia - gradita insegna. - Lo meo padre è Ugicio e Guarento avo mio già di Ugizio, già di Azzo dello già Ubaldino, dello già Gotichino dello già Luconazzo". L’ultimo di tale ferocissima progenie fu, in Castel Durante, il Conte Bernardino Ubaldini cui, per le insigni benemerenze a pro della città nostra e della Chiesa, il patrio Consiglio, 50 anni dopo il suo decesso, nella sala maggiore del Comune volle dedicargli un’ onorifica lapide marmorea. Morì questi il 27 ottobre 1687 e, unitamente alla moglie, un putto e due figlie monache nel Convento di S. Chiara, ebbero in questa Chiesa onorata sepoltura. Con giubilo straordinario in Casteldurante ed in tutto lo Stato si festeggiò la nascita del figlio del Duca Federico avvenuta in Gubbio il 24 gennaio 1472: al neonato venne imposto il nome di Guidobaldo. Ma la gioia universale per tale evento fu ben presto amareggiata da lutto profondo. Il 6 luglio 1474 la Duchessa Battista Sforza, a soli 27 anni, moriva tra le braccia di Federico accorso in tutta fretta da Firenze, dove per le magnanime imprese s'era guadagnato onori e doni ricchissimi. La perdita di tanta Donna afflisse profondamente il marito e tutti i popoli del Ducato. Sposata a 13 anni, nella quasi continua assenza dello sposo resse lo Stato con sagacia, avvedutezza, prudenza. Ammirata pel suo ingegno e la sua facondia, meritò le più ampie lodi dei letterati del suo tempo " Principessa - dice l’Ugolini - sinceramente pia, elemosiniera, modesta, massaia, d’intemerati costumi, specchio di virtù private e pubbliche; ammirabile anche ne’ lavori donneschi di tela, d’oro, d’ago, di seta". Restano di lei ben quattordici lettere dirette alla Comunità durantina pel buon governo del popolo, nonché alcuni editti contro donne di mal affare, sulle vesti muliebri, contro gli usurai ecc. Dieci anni dopo la morte di Battista Sforza seguì quella di Federico il 10 sett. 1482. All’ eclissarsi di questo astro possiamo con tutta verità dire che il Ducato di Urbino dové coprirsi di nera gramaglia. Perdere a 60 anni un principe che per valore ed imprese guerresche superò i più bravi condottieri dell' epoca fu danno veramente irreparabile per tutto lo Stato. Amico e Mecenate dei letterati, dei poeti, degli artisti più celebri della sua età, fu non signore, ma padre amorevole del suo popolo, di cui curò al sommo grado il benessere e la giustizia, tanto che anche il più infimo dei sudditi poteva avvicinarlo, sicuro di essere sempre ascoltato e di ottenerne giustizia. Intendentissimo di arte in ogni città o paese del dominio volle lasciare monumenti che anch’ oggi ridicono la di lui munificenza e il suo gusto artistico. Anche in fatto di religione e di pratiche di pietà non la cedeva ad alcun principe. Zelò l’onore di Dio, il decoro delle chiese e più d’ogni altro volle la riforma degli istituti monastici. A lui deve Gubbio la fondazione del convento dello Spirito Santo aperto per opera di due durantine: la beata Francesca Ubaldini e Suor Paola Papi. Di qui il cordoglio universale per l’acerba perdita di un Principe che a tutta ragione venne poi chiamato "Grande" ed i secoli posteriori han confermato e conservato al Duca Federico il meritatissimo attributo.