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Casteldurante nel primo secolo della sua esistenza

I primi sessant’anni di Casteldurante passarono in grande tranquillità e senza molestia dell’esterno. Il fondatore antiveggente aveva dettate legge savissime che tennero il paese in pace e nel proficuo lavoro atto a rimarginare le profonde ferite aperte nella distruzione di Castel delle Ripe. I pubblici poteri erano in mano di un capitano detto altrimenti judex pro S. R. Ecclesia nominato dal Legato papale o dal Rettore di Massa. Il capitano doveva essere dottore in legge, forestiero e di sicura fede guelfa. Lo assistevano 60 consiglieri scelti tra i più ragguardevoli cittadini di ogni casta; il Consiglio si adunava nel palazzo comunale che si chiamava ancora palatium S. R. Ecclesie. Veniva convocato sono campane, tube et voce preconi. Il consigliere per esporre il suo parere doveva salire in luogo eminente detto arengheria: di qui la voce arringare. Per le votazioni vi era il bossolo e si usavano fave bianche e nere per i voti da cui venne la parola sfavata. Ogni forestiero che venisse a prendere il suo domicilio nel paese doveva innanzi al capitano e due consiglieri, giurare di essere vere guelfus. I due maggiori consiglieri, scelti tra i nobili, erano chiamati Priori e a principio stavano in carica due mesi, più tardi sei. La loro assunzione si festeggiava con vino e confetti al popolo dopo aver assistito a speciale funzione nella Chiesa Abbaziale. Anche in ogni frazione del contado si nominava un sindaco cui era commessa la tutela dell’ordine e di rappresentare il popolo avanti l’ autorità cittadina. Così la villa di Proverzo aveva il suo sindaco retribuito con 14 soldi l'anno - villa S. Patrignano con 25 soldi - villa del Porreo s. 16 - Selva piana s. 25 - Pian di S. Giorgio s. 23 - Montefortino s. 7 - Monte S. Pietro s. 13 - Villa Ocre s. 10 - Villa della Morcia s. 5 - Villa della Stretta s. 12 - Villa di Torre s. 21. La pubblica illuminazione consisteva in una sola lampada che ardeva nella loggia del palazzo comunale; chiunque avesse avuto necessità di uscire di casa, dopo il suono del coprifuoco, doveva portare il lume a mano per non cadere sotto le unghie dei birri che perlustravano il paese. Mancando gli spazzini pubblici, era provveduto alla nettezza delle strade (non ancora selciate) coll’obbligo a tutti i terrazzani di spazzare, nei sabati e nelle vigilie delle feste, il tratto di strada ch’era davanti alla propria abitazione. Tra le spese comunali si registravano 108 libbre di denari al Capitano ogni semestre, 60 fiorini annui al medico, 20 fiorini al Castellano del Cassero, 16 a quello della Torre della Badia; paglie irrisorie ai soldati che presidiavano le diverse fortezze poste al confine del territorio. Le porte erano guardate di notte dai cittadini a turno senza alcuna retribuzione. Venti soldi si pagavano al contestabile preposto a tutelare l’ordine coi suoi uomini durante la fiera di S. Bartolomeo e quella di S. Luca. In dette occasioni i forestieri per otto giorni prima e per otto seguenti erano sciolti dal pagare la tassa di pedaggio. L’entrate ordinarie pubbliche, in tempi normali, consistevano: nella fumentaria (oggi diremmo focatico,) che gravava ogni famiglia, nel pedagio da pagarsi da chiunque venisse da fuori del territorio, la pesa pubblica ed altre misure tanto per solidi come per liquidi (Statera, mina, crebelli, scutelle). L’ esazione di detti contributi si vendeva all’incanto concedendosi al miglior offerente. Nel 1338 (rog. Tomaso di Ser Corrado) il Camerlengo durantino registra la spesa di 36 libbre di denari per un mese di paga alla guardie che presidiavano il Peglio, segno certo che allora codesto Castello era alle dipendenze di Casteldurante. Disgraziatamente i libri di riformazioni comunali del sec. XIV e XV non sono arrivati fino a noi, perdita gravissima perché da questa come da fonte sicura, emerge la storia dei nostri comuni. Dobbiamo contentarci pertanto delle poche notizie trasmesseci a mezzo degli istrumenti notarili. Il legale Tomaso di Ser Corrado ci ha lasciato l'istrumento di concordia per la definizione dei termini tra il territorio durantino e quello del Castello di Orsaiola (Orzarola). Da parecchio tempo si agitava lite tra loro, quest’ultimo resisteva contro Durante nel difendere gli antichi diritti di comunanza - goduti ad immemorabili (17 marzo 1338). Da questi apparisce come una parte nobile durantina si esercitava alle armi arruolandosi nelle cosiddette compagnie di Ventura ch’erano così spesse in Italia, parte invece si dava agli studi legali tanto in voga a quei tempi frequentando le più celebri università d’ Italia. Da qui quella plejade di dottori e notari di cui abbondò sempre Castel Durante. Il 5 gennaio 1398 la repubblica di Firenze chiede al Consiglio durantino quattro notari, de’ quali due debbono prestare servizio al Potestà Fiorentino, l’altro sarà addetto alla Curia del Capitano del popolo, il quarto finalmente agli ordini dell’Esecutore della giustizia. Alla domanda risponde il Consiglio il 18 genn. ringraziando Firenze dell’onore che faceva alla Terra nostra e mandando i quattro notari richiesti. Il latore della lettera veniva regalato di un braccio di panno scarlatto. (Arch. Ant. Busta 3). Il resto del popolo durantino, fatta eccezione di quello addetto ai lavori agricoli, si esercitava in lavori manuali. Era stata impiantata fino dai primi tempi l'arte della lana e perché questa assodasse e pigliasse buona piega si facevano venire i maestri da Firenze dove quest’arte fioriva a meraviglia. Infatti in una nota di spese del Comune durantino del 1397 leggiamo "per la provvigione a Mastro Vico da Firenze maestro nell’arte della lana fiorini 22 e mezzo per sei mesi". Si registrava inoltre una spesa di 18 fiorini" per i tiratori fatti nuovi per la detta arte della lana". I nostri notari del sec. XV parlano di molte società costituite in arte lane. Resta ancora una quietanza di Ludovico da Firenze mastro dell' arte della lana con cui si chiama soddisfatto del salario ricevuto dalla Comunità durantina per avere esercitata l’arte per un triennio. (Arch. segr. Cas. ex A. n. 18. anno 1401). Quando sul chiudersi di questo secolo s’introdusse in C. Durante la lavorazione delle maioliche, per cui la Terra nostra salì a tanto grido, l’arte della lana andò man mano sparendo.