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Casteldurante nel sec.XVII

La prima metà di questo secolo fu certamente la più movimentata di quante ne registri la storia del nostro paese. Francesco Maria aveva quasi del tutto abbandonate le corti di Pesaro e di Urbino. L’età, le sue abitudini, il grande amore allo studio gli, avevano fatto scegliere la quiete ed il silenzio di Casteldurante. Qui aveva fatto trasportare il tesoro dello Stato altre volte conservato nella rocca di S. Leo, la sua copiosa argenteria, quadri di sommo valore, e la sua stessa famosa biblioteca di libri stampati, mentre la preziosa collezione dei manoscritti rimaneva ancora nella Biblioteca del Palazzo Ducale di Urbino. Così si era tirato dietro personaggi e intere famiglie dell’ aristocrazia di tutto lo Stato. Basta dare uno sguardo ai libri parrocchiali della nostra Cattedrale per conoscere di quanto era in quest’ epoca cresciuto l’animato del paese. Non è mica a credersi che il Ser.mo durante la sua lunga permanenza in Casteldurante abbia condotto una vita neghittosa ovvero di continuo assorta nelle elocubrazioni filosofiche e letterarie. Tutt’ altro. Oltre i doveri di Stato che non abbandonò se non gli ultimi anni della sua esistenza, ebbe particolare cura dell’ edilizia e non poche fabbriche vennero erette dalla sua munificenza. Come già vedemmo, fin dalla sua gioventù il Principe, appassionatissimo per la caccia, predilesse sempre il Parco di Castel Durante fatto già dal grande Federico nel 1465. Il tempo ne aveva corroso e in tante parti guasto i manufatti; Francesco Maria rifece quasi ex novo Convento; Chiesa e stanze per la Corte. Il magnifico edificio era posto più vicino al fiume a nord - ovest del presente vi aveva alzata una torre dove vigilava la sentinella ogni qualvolta il Duca se ne stava quassù. La torre fu gettata a terra il 17 settembre 1759 allorché si iniziò l’ odierno fabbricato. Altro edificio uso villa aveva alzato per la cosiddetta strada del Castagnolo fuori Porta di Pontevecchio, e il Comune durantino ne curava con particolare sollecitudine la manutenzione della strada di accesso. Non trovai notizie come finisse questa villetta; forse qualche frana deve averla abbattuta sulla fine del ‘500, per cui il Principe decise erigerne altra in luogo più solido e più arioso. Scelse all’uopo il colle di Monteberticchio. Si iniziò la fabbrica nella primavera del 1600, su disegno del Conte Torquato Brancaleoni che allora andava tra i migliori architetti del suo tempo. A mastro Giannicola Bruscia di Cagli vennero affidati i lavori in pietra e cioè gradini della scala grande, la scala lumaca, soglie per porte e finestre e diversi camini; la fattura del camino della sala invece fu commessa ad altro artista. Sopra solido fondamento, largo più di un metro (sette teste) i nostri bravi capomastri Gabriele Mambrini, Stefano Ciccolini e Girolamo Biagini innalzarono un elegante palazzo alto 35 piedi a due piani elevati, gli ambienti tutti soffittati quali a lunetta, quali a conca e gli altri a botte. L’ opera riuscì di tanta soddisfazione del Duca ch’ egli chiamava la villa "il suo diletto loco". Dopo la morte di Lui l’edificio, abbandonato a se stesso e poscia adibito ad usi rustici, deperì, finché nel 1787 il piccone demolitore non ci lasciò neppure le vestigia. Coeva alla fabbrica di Monteberticchio fu la conduttura dell’acqua di Scarzeto nel giardino ducale, passando sul ponte di Portacelle che in quei tempi era più basso dell’ odierno. Il fontanaro era forestiero, i tomboli di terracotta vennero commessi ai due figoli Svolgi e Centi, un artistica vasca di marmo accoglieva la abbondante acqua e ne riversava sulla peschiera. Dietro l'ex chiesa di S. Giovanni, sulla ripa del Metauro, alcune private abitazioni comprate dal Duca vennero adibite da Lui a cucine per uso della numerosa sua famiglia. Anche l’area che dall’ orto dei Francescani (ora del Seminario) si stendeva fino alle mura settentrionali del paese ove presentemente troviamo il mattatoio ed il silos - il Ser.mo occupò per farvi la sua scuderia ed il deposito di paglia e di fieno. Erano già passati cinque anni dal matrimonio del Duca ed ancora nessuna speranza di successione gli arrideva. Voti ardenti e pubbliche preghiere in tutto lo Stato si alzavano al cielo per ottenere finalmente un erede. Il nostro Comune (non secondo ad alcuno), in plenaria adunanza aveva a questo fine emesso voto solenne per il Principe nascituro. Ai primi di dicembre 1604 si sparge, come baleno, la fausta notizia della gravidanza della Duchessa, mentre più tardi, circa il mezzogiorno del 16 maggio 1605, Francesco Maria dal balcone centrale del suo palazzo di Pesaro, al popolo, che da più di 24 ore assiepava la piazza antistante, diede il lieto annunzio: "Iddio ci ha dato un maschio ". La gioia più clamorosa eruppe dai petti della folla adunata. In pochi giorni la sospirata novella si diffuse in tutto lo Stato, e tali e tante furono le esplosioni di contentezza che il Ser.mo stesso sentì il dovere di frenarle. I durantini n’ ebbero partecipazione il dì stesso della nascita, alle ore 22, dal concittadino Giambattista Bettini Maggiordomo della Ser.ma. Manco a dirlo! Casteldurante dopo le esterne solenni allegrezze, spedì subito due primari cittadini, cui vollero unirsi altri quattro nobili per congratularsi col Duca; si fecero le 40 ore di ringraziamento, nominata la Commissione per adempiere ad unguem quanto era stato promesso col voto del 1601, e la Madonna dei Portici, trasportata solennemente nella Chiesa Abbaziale, ebbe il dovuto culto e poco più tardi dichiarata Protettrice della Città. Al Principino fu posto il nome di Federico Ubaldo. Francesco Maria ottenuta la sospirata grazia dell’erede, filosofo qual era e prudentissimo Principe, venne ad una decisione da meravigliare i sovrani più saggi del tempo. Prevedendo non lontana la sua fine terrena, e temendo che il figlio, restato ancora in pupillare età, avesse dovuto sottostare ai pericoli di una reggenza, ordinò alle città e alle due province del Montefeltro e di Massa Trabaria di scegliersi tre soggetti tra i più capaci e meritevoli; tra i quali poi egli ne avrebbe scelto uno, da formare così -un Consiglio (chiamato poi degli Otto) che, risiedendo in Urbino, avesse governato lo Stato, mentre Egli " attendeva a prendere informazione d’ogni cosa, sì del governo, come de’ negozi forestieri al detto Consiglio per incamminarlo al servizio d’Iddio e al benessere dei sudditi e del proprio figliuolo ed erede".  Nella terna eletta per la Massa Trabaria il Duca prescelse a consigliere il Dr. Stefano Mini durantino. Gli Otto rappresentanti delle province e delle città del ducato si adunarono la prima volta in Urbino il 22 gennaio 1607; prestato il dovuto giuramento iniziarono subito l'alto loro ufficio.