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C.Durante sotto Guidobaldo II

Moriva in Pesaro, il 20 ott. 1538, il Duca Francesco Maria I non senza sospetto di veleno. Gli storici contemporanei ne esaltarono giustamente le civili e domestiche virtù e la grande sua perizia nelle armi, quando già erano entrate in lizza le prime artiglierie. Volle la stretta osservanza delle leggi, perseguitò inesorabilmente i fattucchieri; facile all’ ira, ma pronto a placarsi, fu magnanimo ed indomito nelle avversità, amorevole e giusto coi sudditi, ma severo vindice contro gli oltraggiatori della religione e del pudore. Casteldurante pianse amaramente il suo Principe, sotto il quale godette buona pace e vide nel suo seno rifiorire le arti e le scienze, e il popolo minuto godersi un relativo benessere, non ostante le frequenti carestie. E Francesco Maria amò di speciale predilezione questa nostra Terra dove per lo più passava l’ autunno e si era riservato due miglia di territorio per ogni lato per la caccia. Fu egli che volle la ricostruzione delle mura castellane fatte atterrare da Lorenzino de’ Medici. Sopravvisse ancora 12 anni al marito Eleonora Gonzaga dimorando per lunga stagione nella corte di Casteldurante. Al pari della zia Elisabetta, fu gentildonna molto colta, di alti sentimenti, d’ intemerato costume, e, nelle frequenti assenze del marito, capacissima a reggere lo Stato con piena soddisfazione dei popoli. Guidobaldo II, primogenito dei suoi cinque figli, successe nel governo del Ducato senza che avesse a verificarsi alcuna novità. Uno dei suoi primi decreti (9 febbraio 1539) era rivolto ai durantini; con esso, richiamando grida precedenti del genitore, proibisce ai nostri di portare armi di giorno e di notte "similmente se notifica a ciascheduna persona che non ardisca ne presuma biastemar o maledir lo onipotente Idio co la sua matre semper vergine Maria o alcuno de li soi Santi e Sante... item che nessuna persona ardisca o presunta in la terra de Durante andar de notte dopo el terzo suono de la campana sensa lume sotto pena... ". Desta meraviglia che una popolazione al tutto religiosa, calma, dedita al lavoro avesse provocato i richiami dell’autorità anche civile. Eppure anche poco appresso fu necessaria la venuta in C. Durante dell'Uditore generale del Duca il quale lamentò pubblicamente " le molte risse e delitti che si succedono nel Castello e che questa Terra, così memorabile un giorno, sia diventata un bosco ". Qualche demone maligno, sbucato oltre confine aveva portato il suo tossico pestifero e ne aveva avvelenato specialmente i giovani incauti. Le cronache non ce lo dicono, ma noi, fermi nell’ antico effato che " nemo repente fit malus " lo dobbiamo ammettere senz’ altro. Giustizia fu fatta e la Comunita mandò ambasciatori a chieder scusa al Duca. Siccome il Commissario di Massa, fino dal tempo di Federico II risiedeva coi suoi ufficiali subalterni nella nostra Terra, i Vadesi, che avevano tentato sottrarsi alla giurisdizione ecclesiastica dell’ Abate durantino, nel 1544 si agitarono perché il Commissario lasciasse Castel Durante e tornasse a risiedere in S. Angelo in Vado. Il Duca, cui erano stati deferiti codesti piati, con molta grazia, ma anche con molta risolutezza, sopì l’alzata di scudi lasciando le cose come avevano stabilito i suoi antecessori. Guidobaldo ancora adolescente aveva sposato Giulia Varano che gli portò in retaggio il Ducato di Camerino di cui Guidobaldo divenne Duca: ma fu connubio di poca durata perché a soli 23 anni la Varano moriva in Fossombrone il 18 febbraio 1547. Il Lanciarini dice che " il Duca dopo aver ripudiata la Varano il 4 giugno 1547 sposava Vittoria Farnese, nipote del Papa allora regnante". Nessun altro storico parla di ripudio, bensì non scorsero neppur quattro mesi dai magnifici funerali di Giulia che il Principe stipulò un nuovo atto coniugale passando a seconde nozze: pero solo nel gennaio successivo la nuova Duchessa fece il solenne ingresso nel ducato accolta da giubilo universale tanto più che era nipote del Papa regnante. Le leggi di allora erano severissime a tutela della santità del matrimonio, tanto che, qualunque attentato al pudore, era punito colla pena della forca. E il Duca fu sempre scrupoloso osservatore degli stessi suoi decreti. Dal matrimonio con la Farnese, il 20 febbraio 1549, nacque al Duca un figlio chiamato Francesco Maria, colui che avrebbe poscia prediletta la Terra nostra più teneramente degli altri Principi, scelta a stabile dimora nell’ ultimo ventennio della sua esistenza. Ci sia permesso dare uno sguardo a questo ducale rampollo prima ancora ch’ei cinga la corona. Il padre volle che alla di lui educazione attendessero non soltanto letterati di rinomanza, ma uomini maturi di senno e di esperienza. A 16 anni Francesco Maria, annuente Guidobaldo, se ne andò alla Corte di Spagna presso Filippo II per addestrarsi nella diplomazia e nelle arti principesche. Quivi s’ acquistò molta riputazione ma poi, perché troppo spendereccio, venne richiamato dal padre. Tornato in patria, il giovane Principe dimorò a lungo in Castel Durante appassionato com' era per la caccia. Giunto ch’egli fu ai quattro lustri di età, il padre, consultando più l' alta ragione di Stato che il genio del figlio, gli cercò una sposa e questa fu Lucrezia d’ Este sorella del Duca di Ferrara che portava la cospicua dote di 150 mila scudi. Francesco Maria chinò a malincuore il capo al volere paterno, eccedendo la sposa di 14 anni l’età del Principe. Il matrimonio si celebrò con feste solennissime in tutto il Ducato e, per l’occasione, il Tasso compose una bella canzone ed un sonetto, ma i caldi voti del grande Poeta non resero più felice il connubio. Nell’anno seguente i Principi cristiani, scossi finalmente dalla voce del santo Pontefice Pio V, si erano decisi fiaccare la tracotante potenza dei Turchi minaccianti le ridenti coste d’ Italia. Si apprestarono all’uopo le numerose navi di Spagna cui si congiunsero quelle di Venezia, del Papa e del Duca di Savoia. All’appello della Religione e stimolato da sete di gloria Francesco Maria a capo di seimila metaurensi volle cimentarsi pur esso nella grande impresa. Nel suo diario racconta; " ai due di luglio (1571) mi partii da Pesaro, per andare a Genova ad imbarcarmi sopra l’ armata della lega; et ai 7 di ottobre si fece battaglia con l’armata del turco e vinsesi; et io mi ritrovai sopra la galea capitana del duca di Savoia...". Il Principe nostro nella battaglia di Lepanto (aveva soli 22 anni!) diè bella prova d’assennatezza e di valore sì da meritarsi la stima e le lodi dell’ammiraglio oltre un trofeo di 24 schiavi turchi e un gonfalone che ora vediamo conservato nel Duomo di Urbino. Con tale brillante successo iniziò la sua carriera militare. Gli ultimi anni del Duca Guidobaldo vennero funestati dalla sollevazione di Urbino e le mani di lui si lordarono del sangue dei sudditi. Degenere dai suoi predecessori, che avevano tenuto le redini del Ducato con grandissima soddisfazione ed amorevolezza dei popoli, senza soverchiamente gravarli di balzelli, il Duca, dopo aver quasi carpito dal Papa Pio IV il sovrano assenso, si diede a fiscaleggiare città, paesi e campagne con tanta crudezza da rendere il giogo insopportabile. E mentre nei primi tempi le entrate ducali non oltrepassavano i 40 mila scudi annui, si arrivò alla fine a raddoppiarli, imponendo tasse sul bestiame grosso e minuto, carne salata, sul vino, sul grano e sulle altre biade. Di qui lamenti e querele altissime specialmente in Urbino, dove, il 16 dicembre 1572, scoppiò un’insurrezione popolare. Si mandarono larghe deputazioni a Pesaro, venne la Duchessa in Urbino a calmare gli animi, si ricorse al Papa, ma tutto quasi senza alcun risultato; molti proscritti fuggirono esuli a Rimini ma anche qui, per volontà sovrana, furono raggiunti dal ferro omicida. Fatte deporre e tolte le armi, gli urbinati furono costretti a domandare perdono: tutto inutile! nove dei primari cittadini, già chiusi nella rocca di Pesaro pel solo delitto di aver sostenute le parti dei popolo, vennero barbaramente trucidati. Dopo un anno finalmente tornarono a rifiorire i benefici della pace, ma Guidobaldo II ne godette ben poco, giacché, nel settembre del 1574, passava all’altra vita. All’annunzio della grave malattia del padre, Francesco Maria accorse subito in Pesaro al suo letto di morte. Egli veniva da Casteldurante dove aveva dimorato quasi tutto il tempo dell’ insurrezione urbinate e probabilmente dal suo ritorno dalla battaglia di Lepanto. Guidobaldo, specialmente nell’ultimo decennio della vita, non fece mai gran conto dei figlio, tutto affidato a due perfidi consiglieri, il Bonarelli e il Landriano, ch’egli si teneva carissimi ed aveva largamente favoriti. Francesco Maria fu tenuto infatti sempre appartato dal governo, ma, senza venir meno alla filiale soggezione, fece ogni sforzo per tenere a freno i popoli metaurensi: a segno che, mentre si aumentava l’odio dei sudditi contro il Duca, cresceva l’affetto e l’attaccamento generale al Principe, cosicché, appena diffusa la notizia del decesso di Guidobaldo, tutti i popoli del Ducato respirarono e, come per incanto, si trovarono strettamente uniti a Francesco Ma. Non si possono negare al Duca Guidobaldo preclare doti di Principe invitto, profondi i suoi sentimenti religiosi, vita rigidamente severa, assertore tenace di moralità in tempi tanto corrotti. Splendido mecenate si videro affluire alla sua Corte i più sublimi ingegni del tempo; basti ricordare il Tasso ed il Tiziano. Dietro questi due sommi, una vera plejade di dotti e di artisti in ogni campo trovarono in Guidobaldo stima ed appoggio. Le maioliche durantine salirono per lui alla più alta perfezione, protetta e favorita fu l’agricoltura. Prelati e Cardinali, oltre il massimo rispetto e venerazione, trovarono in Guidobaldo chi ne sostenesse le ragioni ed i diritti conculcati e i suoi palazzi, specialmente quello di C. Durante, col più sicuro rifugio nelle loro peripezie, offrirono ad essi largo conforto e principesco trattamento.