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Museo Civico

Il Museo Civico ha sede nel Palazzo Ducale, vasto complesso monumentale (circa 6.000 mq) dovuto alla committenza dei Montefeltro-Della Rovere che lo edificarono sopra una preesistente rocca appartenuta alla famiglia Brancaleoni. Il palazzo conserva la duplice identità di fortificazione e di palazzo-corte, centro di raffinata cultura rinascimentale. L’edificio si presenta in modo quasi ordinario sul prospetto di Corso Vittorio Emanuele, ma poi sorprende con la vista del quattrocentesco cortile dalle colonne di travertino bianco e dai capitelli che evocano un arcaico Rinascimento. Il palazzo è da vedere per le stanze del piano superiore, con i soffitti a vela della sala maggiore, le finestre e le porte dagli spazi scavati secondo i modi del Genga, le fughe di ambienti degli appartamenti che portano al corridoio e alle torri sul fiume Metauro. Qui si apre un incantevole scenario sulle anse del tortuoso fiume Metauro, sui caratteristici colli, sulla parte trecentesca di Casteldurante, vicino al ponte di porta Celle, dove le case fondate sulle rocce di arenaria si ergono sulle gorghe del Metauro. Da non perdere i sotterranei del palazzo con la rampa elicoidale di Francesco di Giorgio Martini con la sobria solidità dell’architettura quattrocentesca e il suggestivo gioco di ombre e di luci. L’architetto Francesco di Giorgio Martini progettò l’impianto generale dell’edificio (1470 circa) e Gerolamo Genga le sale all’interno del palazzo, compreso l’aereo camminamento sul fiume Metauro di grande valore paesaggistico. I Montefeltro e i Della Rovere vi trascorrevano lunghi periodi dell’anno, già con Federico da

Frontespizio delle Epistole San Gerolamo

Frontespizio delle Epistole S. Gerolamo commentate da Erasmo da Rotterdam, Ed. del 1524, stampata a Basilea

 Montefeltro, e ancor più con Guidubaldo I fino all’ultimo duca Francesco Maria II, nume tutelare di questo storico edificio, che trascorse il maggior tempo della sua lunga vita a Casteldurante ove morì nel 1631. Nel palazzo vi si conservava (dal 1608) la libreria a stampa ricca di circa 15.000 volumi ritenuta tra le biblioteche più importanti dell’epoca. La libreria venne lasciata, per testamento ducale, alla comunità di Casteldurante: fu di fatto l’inizio delle collezioni artistiche del Museo Civico durantino. Dopo la devoluzione del ducato di Urbino (1631) il palazzo passò di proprietà al Granduca di Toscana; in seguito la famiglia Albani lo acquistò dalla Camera Apostolica per impiantarvi, nel secolo scorso, una fabbrica di ceramica.   Attualmente nel Palazzo, di proprietà del Comune di Urbania, hanno sede: il Museo Civico e la Pinacoteca, la Biblioteca Comunale, gli Archivi Storici del Comune e le gallerie d’arte moderna. Nelle cantine, grandi ambienti dalle volte quattrocentesche, è allestito un Museo della Cultura Contadina per l’Alta Valle del Metauro. Francesco Maria II, ultimo duca di Urbino, lasciò alla Comunità di Casteldurante la sua biblioteca di cui facevano parte dipinti,  incisioni, disegni,  carte geografiche, manoscritti, ... Nel 1667 per volontà di papa Alessandro VII la biblioteca a stampa fu trasferita a Roma per costituire la biblioteca Alessandrina  (attuale biblioteca universitaria) tra il malcontento della popolazione locale. Tuttavia per non disperdere questa preziosa eredità e pubblico beneficio, il primo vescovo di Urbania Honorato degli Honorati e il conte Bernardino Ubaldini provvidero immediatamente alla ricostituzione della biblioteca e delle raccolte attraverso la donazione delle loro librerie e collezioni d’arte. Bernardino Ubaldini versò nella "pubblica libraria" anche le collezioni del

fratello Federigo, celebre erudito del ‘600 e formalizzò la donazione con rogito del notaio Ortensio Gatti (1687) lasciando "... libri, pitture, galanterie, quadretti con cornice, ..." e una somma di trecento scudi con la quale si doveva provvedere all’aggiornamento negli anni a venire. Di tutto questo il conte Ubaldini "...ne fa dono amplissimo e irrevocabile ... per benefizio pubblico e della gioventù, et altri che avranno fine d’approfittarsi nelle virtù, non meno per loro utile, et honore che di tutta la città...". Queste sono dunque le fonti principali delle raccolte del Museo Civico che diventò per Urbania un polo di conservazione e di attrazione dei beni culturali e dove sulla scia di quanto sopra furono versati altri materiali (donazione Matterozzi del ‘700) e vi convennero anche le risultanze delle soppressioni degli ordini minori in età napoleonica e risorgimentale. Tutto ciò era conservato in un’ala del Palazzo Ducale fatta costruire appositamente da Francesco Maria II della Rovere (1608) per contenere la biblioteca ducale, di qui trasferita nel corpo principale del palazzo nel 1952 in occasione del disgraziato abbattimento della biblioteca ducale. Da quella data le collezioni assunsero gradualmente la loro attuale disposizione. Negli ultimi tre decenni si sono verificate importanti donazioni che si riannodano idealmente ai precedenti più antichi (Enrico Rossi, Francesco Valli, Stelio Rigucci, Vittorio Bianchi, Nadia Maurri Poggi, Federico Melis, Carlo Ceci, Enrico Galluppi, Vittorio Salvatori, ...). In particolare la varietà di queste donazioni rende interessante il percorso e la natura del museo: vicino alle collezioni ducali vi sono esempi del collezionismo di questo secolo: dalle ceramiche del generoso artista Federico Melis, da Nadia Maurri Poggi, a Carlo Ceci, da Enrico Galluppi, a Vittorio Salvatori ad altre figure di profilo più civico che concorrono a mantenere la memoria collettiva della comunità. Le sezioni più conosciute del Museo sono: le raccolte dei disegni rinascimentali, delle stampe antiche (incrementate attualmente con fondi novecenteschi), i due globi di Gerardo Mercatore con le carte geografiche dal ‘500 al ‘700, i libri antichi (incunaboli e cinquecentine della libreria ducale), una discreta quadreria con dipinti di Peruzzini, Guerrieri, etc. Inoltre vi sono reperti molto particolari, graditi dal pubblico per il valore di rarità curiosa o anedottica come, per esempio, le schede segretamente trafugate di un conclave pontificio, il diario del buffone Monaldo alla corte dei Della Rovere, il libro di Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio V,... Le collezioni sono periodicamente riorganizzate, in concomitanza con mostre o nuove acquisizioni. Si accede al Museo Civico e al Palazzo Ducale attraverso il cortile d’onore, opera di Giorgio Orsini da Sebenico e di Francesco di Giorgio Martini, cortile che si vuole ricostruito con materiali di riuso dell’antico palazzo comitale di Urbino oppure realizzato appositamente per la corte durantina (Federico II da Montefeltro era Duca di Urbino e Conte di Casteldurante) dove l’apparente arcaismo dello stile sarebbe allora frutto dell’esecuzione di un rinascimento di provincia. Superata la scala del Genga si accede nella SALA MAGGIORE, grande sala per feste e solennità della vita cortigiana dove il meglio dell’architettura genghiana è rivelato nel soffitto dalle volte a vela e dalle belle finestre con le nicchie scavate. L’architetto Gerolamo Genga restaurò la corte di Casteldurante nella prima metà del ‘500 e secondo Vasari il meglio del Palazzo Ducale "viene da questo mirabile ingegno". Nella GALLERIA prospiciente il cortile più arcaico con il portico di quattro colonne d’arenaria è allestita una esposizione di CERAMICA DURANTINA. Nelle vetrine sono presenti ceramiche (dal XV al XVIII sec.) di Casteldurante che ha conosciuto un periodo straordinariamente felice per la produzione della maiolica. Varie sono le forme della ceramica durantina, negli stili che vanno dal severo al compendiario: boccalini, ciotole, crespine, bacili, piastrelle devozionali. Una quantità di frammenti esibiscono, nelle vetrine, una estesa gamma di decori: dagli stemmi e festoni alla foglia di rovere e la ghianda (omaggio alla famiglia ducale). I colori tipici della ceramica durantina sono il verde, il giallo, l’arancione e il blu. I manufatti e i frammenti esposti sono una piccola parte della produzione rinascimentale durantina andata purtroppo dispersa nel corso dell’800 in seguito a numerosi acquisti operati da musei italiani e internazionali o anche da semplici privati. Le opere oggi conservate sono frutto di ritrovamenti avvenuti nel centro storico di Urbania in occasione di lavori di ristrutturazione di palazzi antichi o ai piedi delle mura nei pozzi da butto dove le ceramiche mal riuscite venivano "cestinate". In altri casi si tratta di donazioni o acquisti. Il durantino Cipriano Piccolpasso che riassume il patrimonio della ceramica italiana ne Li tre libri dell’arte del vasaio aveva svelato i segreti di questa arte redigendo, alla metà del ‘500, questo trattato che per gli amatori della ceramica è una sorta di libro sacro. Nella stessa galleria è in mostra l’incisione monumentale de Il corteo trionfale di Carlo V (autore Nicola Hogenberg), uno dei pezzi più prestigiosi delle collezioni roveresche, (lunghezza 12 metri) che ricorda il corteo dell’imperatore Carlo V e Clemente VII svoltosi a Bologna nel 1530. Per un avvenimento straordinario come fu l’incoronazione imperiale, venne elaborato un memoriale altrettanto singolare come il rotolo incisorio che si ricollega al genere dei trionfi antichi. Con la precisione di un reportage giornalistico, vengono raffigurati i due astri della cristianità. In realtà -come ricordano gli storici- quel giorno così trionfale, in cui ebbe un ruolo importante Clemente VII e Carlo V, per le vie di Bologna con tutti gli apparati e la nobiltà europea del periodo Francesco Maria I Duca di Urbino (nella processione è ritratto con la spada imperiale) sottolineò il trionfo degli Asburgo e l’inizio del predominio spagnolo nella nostra penisola.