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Palazzo Comunale-Torre

Una delle prime fabbriche di Casteldurante fu il Palazzo della Comunità, chiamato allora Palatium Sancte Romane Ecclesie. Fu sempre situato dove trovasi al presente, ma in origine alquanto più in avanti e con innanzi un loggiato che proseguiva per l’ intera via che va oggi dal palazzo Amantini a Porta Celle (ora intitolate a Bramante e all’Ugolini), portici questi che correvano paralleli tanto a destra che a sinistra della strada fino al Convento di S. Francesco da un lato ed all’ex-chiesa di S. Giovanni dall’altro, interrotti (come in parte ancor conservasi) soltanto dagli sbocchi delle vie laterali. Il palazzo comunale, a pianterreno aveva la sala della giustizia (banchum ubi redditur jus); nel piano superiore, oltre le stanze per il podestà, cancelliere, notaro, trovavasi il salone dove si adunava il Consiglio Generale dei Sessanta e quello Speciale, composto di 12 nobili presieduto dal podestà o commissario. Quivi era eretta la tribuna detta "arengheria" sulla quale solamente ai consiglieri era permesso di parlare. Ai lati il palazzo aveva due torri tozze e non troppo alte, in una delle quali era posta la campana grossa e nell’altra la cosiddetta campana della ragione. La maggiore era stata fusa in Durante nel 1397 in una fornace improvvisata entro una casa sfitta di proprietà della Badia: lo stesso anno il Comune registra la spesa di 15 bolognini " per attaccare li martelli " alla campana grossa. Questo bronzo fu calato dalla torre nel 1518 minacciando rovina l’ intero palazzo e collocato nel campanile di S. Francesco, dove poi si ruppe nel 1550. La piazzola sul davanti della facciata del Comune nel 1407 era stata allargata abbattendo alcune case, di cui si pagarono gli spropri, e (cosa rara in quel tempo) venne perfino ammattonata. Da parecchio tempo i consiglieri alzavano le loro voci a lamentare lo stato indecente in cui s'era ridotto il vecchio edificio comunale perché le molte rabberciature degli anni antecedenti, l’avevano vieppiù deformato e scosso tanto che nel 1543 era proprio cadente. Si pensò allora rifabbricarlo dalle fondamenta. Mastro Antonio di Pietro Penari da Como, già da tempo residente in Durante, ne fu il costruttore. Nel giugno di detto anno si iniziò la demolizione del vecchio palazzo, dopo che il Comune ebbe comprate altre case poste nel di dietro. Nell’atterramento sparì un magnifico affrescò della Vergine costato al Comune 7 fiorini. Intanto il Consiglio comunale si adunava nel refettorio dei Francescani. Dopo cinque anni, per mancanza di mezzi, si dovettero sospendere i lavori. Ripresi nel 1551, si portarono a compimento sei anni appresso; in questo ultimo periodo si spesero fiorini 1063. Il concio del portone del Palazzo, allora a laterizi, fu fatto a travertino solo nel 1620 in occasione della venuta in Durante di Claudia de’ Medici; Mastro Orazio del Piobbico ne fece il disegno e l’attuò. Non è fuor di luogo ricordare che, allargata la piazza del Comune, fin dai primi del ‘500, a pubbliche spese, fu collocata nella facciata a nord dell’odierna casa Leonardi una bellissima tavola raffigurante la Madonna col Bambino, probabile lavoro del nostro Dolci. Dinnanzi alla sacra effigie, accese due candele, i famigli del Comune ogni sera all’Ave Maria suonavano le loro trombe. Questo pietoso ossequio, sospeso al tempo della Repubblica Francese, si ripristinò nel 1815 cessando del tutto alla caduta del governo pontificio. Nella riedificazione del Palazzo mancava la torre, sebbene le sue basi fossero già gettate solide e profonde ; Mastro Guido Zandrini nostro conterraneo (il migliore artista di quel tempo) ne fu ufficiato premurosamente, ma egli, come già aveva fatto 18 anni prima, non poté accettare, trovandosi al servizio del Marchese Raniero Dal Monte S. Maria di Pesaro, cui stava costruendo colà un grandioso palazzo rimasto incompiuto. Fu allora commesso il lavoro allo stesso Mastro Antonio lombardo il quale, volendo imitare il campanile a cono di S. Francesco, lasciò mozza la torre, che ebbe il suo compimento soltanto nel 1579, quando già da qualche anno vi erano saliti il campanone e l’orologio. La torre è alta m. 32,30. OROLOGIO - Dai primi anni di Casteldurante la Casa comunale aveva il pubblico orologio. Rinnovato il Palazzo ed alzata la nuova torre si pensò ad un orologio moderno. Il 16 nov. 1561 il Duca scrive che, essendo stato nel mese passato in Durante, aveva ordinato "si provvedesse a che all’anno seguente alla nostra venuta in quel luogo fosse in essere uno horologio buono et nel luogo già desti nato per d.o comune di sorta che si possa sentire et sapere le hore ". I Priori, ossequenti ai desideri di Sua Eccellenza si rivolgono a Mastro Stefano di Tirinio da Gubbio, che altre volte aveva servito la Comunità, commettendogli il lavoro. Egli "s’offerse voler far bene et diligentemente l’orologio da battare et rebattare senza intervallo alchuno de sei hore in sei hore per scudi 25". Un anno dopo gli stessi Priori sollecitano il Mastro a portare l’orologio pattuito. Risponde: "di pigliare un po’ di patientia, io non manco di lavorare sopra il dì et la notte et ho più voglia io di finirlo che voi di haverlo, et perché me son condotto nelli dì piccoli et i freddi grandi non me lassano fare quanto voria ". Finalmente nel gennaio seguente (1563) giunge la macchina e dallo stesso Mastro viene collocata nella nuova torre. Per le battute è stata presa la campana di S. Caterina in Proverzo "che è di bel suono"; Guido Oradei ne fu il primo moderatore col salario annuo di sei fiorini. L’odierno orologio è opera del vadese Antonio Podrini che lo eseguì nel 1814, dietro compenso di 558 scudi.

CAMPANONE - Proprio in Casteldurante venne fusa nel 1561 la magnifica campana del Comune che da quasi quattrocento anni spande tra noi la sua voce sonora. La sua nota dominante è un "sol bemolle" e pesa 19 quintali. La tradizione racconta che ogni ceto di cittadini per la sua fusione facesse a gara allora di gettare nella grande caldaia monete, oggetti di bronzo ed altri metalli acciò la campana riuscisse veramente pregevole per suono e per metallo. Tre anni innanzi Ottaviano Dolci aveva apprestato il calco per il Crocifisso e per gli stemmi che vi dovevano figurare e che effettivamente vi figurano: e pel suo lavoro s’ ebbe modico compenso. Quattro sono le iscrizioni:

1. Hieronimus. Honofrius. Sentinas. Aera R. P. D. Sump. G. V. II. Ur. D. MF. Confl.

2. In. nomine. Iesu. omne. genuflectitur. coelestium. terrestrium. et. infernorum.

3. MDLXI. Q. M.

4. Imbres. terribili. sonitu. dirasque. procellas. - Grandineosque globos. daemonas. hincque fugo.

Il metallo avanzato, nel dicembre dello stesso anno, fu venduto ai Mercatellesi che ne abbisognavano per la fusione di certa loro campana.