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Personaggi illustri di Urbania

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Guglielmo Durante

Papa Urbano VIII

Francesco Maria II Della Rovere

Cipriano Piccolpasso

Ludovico Canossa

Bernardino Ubaldini

Domenico Peruzzini

 

Filippo Ugolini

Ottaviano Dolci

Lucio Dolci

Giustino Salvolini (detto Episcopi)

Giorgio Picchi

Guido Cagnacci

Tommaso Amantini

 

Guglielmo Durante

Guillaume Durand nacque a Puimisson presso Bèziers, in Linguadoca, nel 1237. Studiò diritto a Bologna, fu lettore di diritto canonico all’Università di Modena. Durante il Pontificato di Clemente IV svolse il ruolo di uditore della Sacra Rota. Fu Papa Bonifacio VIII, in seguito, a designarlo arcivescovo di Ravenna e rettore della Romagna della Marca anconetana. Quando i ghibellini rasero al suolo Castel delle Ripe, Monsignor Durante fu inviato in soccorso dei ripensi scampati all’eccidio e con "senno e magnanimità" dispose il rialzamento dell’abitato attorno al monastero di San Cristoforo al Ponte (l’attuale Cattedrale). Affidò i lavori di ricostruzione ad una compagnia di mastri muratori bolognesi e curò personalmente l’assetto edilizio del nuovo castello. Fu sotto la sua vigilanza che nacquero le prime fabbriche e si tracciarono le  prime piazze.

Opera di Guglielmo Durante

 

 

Quando Casteldurante, così chiamata in suo onore, fu inaugurata (come vuole la tradizione) il primo settembre 1284, fu lui a dare alla comunità durantina i primi statuti. Gli impegni amministrativi ed ecclesiastici non ostacolarono i suoi studi; il suo lavoro principale lo Speculum iudiciale, trattato in quattro libri composto nel 1271, gli valse il titolo di Speculator : di alto valore pratico, rappresentò un ampio tentativo di raccogliere quanto di meglio era stato scritto in precedenza in materia di procedura civile ed ecclesiastica. Tra le altre sue opere il Pontificale, raccolta di norme relative al disbrigo delle celebrazioni della liturgia da parte del Vescovo, il Rationale divinorum officiorum, illustrazione della prassi liturgica del tempo e le Glosse note alle Costituzioni,   da lui ispirate, dei papi Gregorio X e Nicolò III. Mori a Roma nel 1296. Le sue spoglie ivi riposano all’interno della Chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

 

 

Papa Urbano VIII

Papa Urbano VIII (Firenze 1568 - Roma 1644), al secolo Maffeo Barberini, di nobile famiglia fiorentina, succedette a Gregorio XV il 6 agosto 1623. Si firmò inizialmente presso i Gesuiti completando poi gli studi umanistici e di diritto.  Si impegnò nel governo della Chiesa avendo cura che i decreti del Concilio di  Trento venissero applicati e riformando il clero romano e i seminari. Durante il suo Pontificato l’inquisizione riebbe

Papa Urbano XIII

 

  tutta la sua potenza: l’ammirazione e l’amicizia non gli impedirono di dichiarare eretico, nel 1616, Galileo Galilei; importante fu anche l’azione contro Giansenio la cui opera Augustinus fu censurata, con bolla papale, nel 1643, e contro Tommaso Campanella. Notoriamente nepotista ma generoso mecenate, protesse Bernini e altri artisti con l’ausilio dei quali abbellì Roma con fontane, piazze e palazzi tra cui Palazzo Barberini. Quando Federigo Ubaldo, unico erede di Francesco Maria II Della Rovere, mori, Urbano VIII con abilità costrinse il vecchio duca a riconoscere i diritti della Santa Sede sul Ducato di Urbino ed il primo gennaio 1625 (sei anni prima della morte dell’ultimo roveresco) incaricò Berlinghiero Gessi di assumere il governo del Ducato. A lui si deve l’innalzamento di Casteldurante a città e Diocesi - che volle chiamata dal suo nome Urbania e decorata del suo stemma coi relativi privilegi (18 febbraio 1636). Furono eretti per l’occasione il Vescovado e il Seminario Diocesano.

 

 

Francesco Maria II Della Rovere

Francesco Maria II Della Rovere nacque nel 1549 da Guidubaldo II Della Rovere e Vittoria Farnese. La figura dell’ultimo duca di Urbino è storicamente legata alla parabola discendente che porterà il ducato di Urbino alla devoluzione allo Stato della Chiesa ad opera di papa Urbano VIII Barberini. Di indole contemplativa, incline alla riflessione e allo studio, si era formato alla corte madrilena di Filippo II, avvezzo più alle "faccende di studio" che alle pratiche relative al governo.  Subì controvoglia le due mogli impostegli dalla ragion di Stato: la prima, Lucrezia D’Este, più anziana di lui, ben presto si ritirò nella sua città di Ferrara; la seconda, la giovanissima nipote Livia Feltria Della Rovere, gli diede nel 1605 il sospirato erede come sua dimora 

Francesco Maria II Della Rovere

Claudio Ridolfi, Francesco Maria II Della Rovere

 stabile il Palazzo di Casteldurante. A differenza dei suoi predecessori, che vi scendevano solo nei mesi più caldi dell’anno, egli vi dimorava per intere stagioni e vi trascorse ininterrottamente l’ultimo periodo della sua vita. A Casteldurante amava rifugiarsi per dedicarsi alle cacce e ai suoi studi filosofici e, immergendosi nella quiete del palazzo, cercava di temperare gli impegni gravosi legati al governare lo Stato alle soglie della devoluzione. Le tappe più importanti della sua vita hanno sullo sfondo la cittadina durantina: qui si sposò in seconde nozze (1599), qui mori ultraottantenne nel 1631 e nella chiesa del SS.mo Crocifisso dispose la sua sepoltura. Il Muratori così lo ricorda negli Annali d’Italia: "Giunto era all’età di ottantadue anni Francesco Maria duca di Urbino e dimorava in Casteldurante ... quando venne Dio a chiamarlo all’altra vita. Mancò in lui la famiglia Della Rovere, che tanto si era segnalata nel valore dell’armi, nella protezione de’ letterati, e nel giusto e dolce governo de’ suoi popoli, che amaramente lo piansero...".

 

 

Cipriano Piccolpasso

Cipriano Piccolpasso nacque a Casteldurante nel 1524. Iniziò a lavorare come architetto militare e fu maestro di fortificazioni; dal paese d’origine passò a Rimini, Ancona, Fano, Spoleto, Appassionato di maioliche, decise di tornare a Casteldurante dove si distinse come creatore di maioliche d’arte e decoratore tra i più raffinati del settore. Qui aprì una fabbrica di ceramiche che ben presto divenne famosa e che formò numerosi ceramisti divenuti poi celebri. Autore di diverse opere di vario genere, la sua fama come scrittore si deve soprattutto al trattato Li tre libri de l’arte del vasaio (1548) nel quale illustra i segreti di bottega del far ceramica della sua epoca. Qui vengono spiegate dettagliatamente le fasi della produzione dei manufatti ceramici (trattamento delle argille, foggiatura, cottura, smaltatura, decorazione ...), le differenti tecniche costruttive, gli strumenti utilizzati nonché le diverse dosi degli impasti e dei colori. Il manoscritto è inoltre arricchito da tavole autografe che riportano con dovizia di particolari le tipologie decorative durantine diffuse in quel periodo (trofei, grottesche, cerquate, ...) e da disegni che illustrano varie fasi della lavorazione e gli strumenti fondamentali del ceramista. Il trattato, rimasto sempre in Casteldurante prima e in Urbania poi, divenne famoso a partire dal 1758, quando fu citato dal Passeri nel suo libro sulla storia della maiolica di Pesaro e dintorni. Tra il 1857 e il 1879 fu pubblicato almeno tre volte e il 10 Gennaio 1861 fu acquistato per conto del South Kensington Museum (oggi Victoria and Albert Museum) di Londra dove si trova tuttora. Il Piccolpasso morì a Casteldurante il 21 novembre del 1579 e fu sepolto nella locale chiesa di S. Francesco.

 

Ludovico Canossa

Della nobile famiglia veronese, venne educato alla corte di Urbino. Da Giulio II ebbe la nomina a vescovo di Tricarico nel 1511. Leone X gli affidò importanti uffici. Fu legato apostolico presso Francesco I re di Francia che lo propose a vescovo di Bayeux. Quale insigne letterato, fu amico del Castiglione che gli indirizzò molte lettere, e di Raffaello Sanzio, conosciuto giovinetto in Urbino. Al Sanzio aprì le porte della gloria presso il Pontefice e Raffaello gli fu grato dipingendo per lui "La Madonna della perla". Gli fu conferita la commenda dell’Abbazia durantina nel 1513. Alla sua liberalità si deve la ricostruzione del Palazzo abbaziale, oggi Episcopio, che era stato abbandonato da tanti anni.

 

Bernardino Ubaldini

La famiglia Ubaldini si lega a quella ducale fin dal XV secolo: lo stesso Federico da Montefeltro ne era membro in quanto figlio di Aura da Montefeltro e Bernardino Ubaldini. La figura del conte Bernardino Ubaldini, (1625-1687) si inserisce nello scenario dei lasciti ducali alla cittadinanza durantina. Quando papa Alessandro VII predispose il trasferimento della biblioteca Ducale a Roma (1667) e della "pubblica libraria", che Francesco Maria II Della Rovere aveva destinata a Casteldurante non rimasero che 500 volumi, il conte, assieme al primo vescovo di Urbania Honorato degli Honorati, si impegnò a versare i suoi libri personali alla biblioteca. Egli donò non solo libri, ma anche incisioni e disegni e la collezione di manoscritti delle Vite Ubaldiniane redatte dal fratello Federico. Il palazzo dei conti Ubaldini era situato di fronte all’oratorio del Corpus Domini per il quale furono generosi benefattori, e nei pressi della chiesa convento delle Clarisse di S. Chiara presso il quale fu monacata la figlia del conte e dove trovò, lui stesso, sepoltura. Su Bernardino Ubaldini è ricordato un curioso aneddoto: in occasione del passaggio della regina Cristina di Svezia, ospite di famiglie pesaresi, il conte partecipò al ricevimento servendo la regina in qualità di coppiere. Lo stemma della famiglia Ubaldini, la testa di un cervo con una stella a otto punte, è presente come ex libris nel frontespizio di tutti i testi donati alla biblioteca di Urbania. La tradizione vuole che tale insegna sia stata concessa agli Ubaldini da Federico Barbarossa il quale fu tratto in salvo da un avo del conte durante una battuta di caccia al cervo.

 

Domenico Peruzzini

Il padre, cuoco al seguito della corte roveresca, si era trasferito per la sua attività da Pesaro a Casteldurante. La prima prova del pittore nato a Casteldurante nel 1602, formatosi alla bottega di Giovan Giacomo Pandolfi che pur risiedendo a Pesaro aveva realizzato diversi dipinti nella vallata metaurense, sono legate al territorio: da una Madonna con Bambino e Santi (fra cui Andrea), disperso, realizzato per la chiesa di Santa Lucia di Acqualagna nel 1623, alla Santa Mustiola per l’omonima chiesa di Peglio, tuttora conservata. Dopo un intenso e proficuo soggiorno pesarese, del quale sono documentate diverse opere dovute a committenze private ed attualmente non conosciute (rimane una Sacra Conversazione ora conservata nei Musei Civici), si trasferì in Ancona rimanendo però collegato ai luoghi d’origine per i quali realizzò le tele laterali della chiesa di San Giovanni Evangelista dove racconta due celebri episodi della vita del santo: La scrittura dell’Apocalisse ed Il miracolo di Efeso. La sua attività, che arricchì Ancona di opere,  si estese anche sull’altra sponda dell’Adriatico essendo stata ritrovata testimonianza della sua attività a Ragusa. Il suo ultimo dipinto conosciuto, datato 1671, è la Madonna e i Santi Onofrio e Bernardino da Siena nella chiesa di San Francesco di Sant' Angelo in Vado: per i francescani aveva eseguito anche una Visitazione nella chiesa minorita vadese e una Assunzione della Vergine a San Francesco di Urbania. Fu anche incisore: è conosciuto il frontespizio per le Lettere ai principi di Prospero Bonarelli dato alle stampe nel 1636; volume consultabile nel M u s e o Civico.

Immacolata Concezione

Immacolata Concezione

 

 

 

Filippo Ugolini

Filippo Ugolini nasce in Urbania il 26 marzo 1792, frequenta le scuole pubbliche e quelle del Seminario primeggiando "dall’Abbici alla Filosofica"; dopo gli studi compiuti nella città natale passa a Urbino dove regge il Liceo come Prefetto. È in questo momento che si profila la vocazione patriottica: le simpatie vanno alle idee illuministiche tanto che si dedica anche allo studio del francese, ma con la sconfitta di Napoleone nel 1813 e la rovina del Regno Italico, cadono le sue illusioni. Il giovane Filippo abbandona Urbino e va a reggere la Segreteria di Serravalle, un piccolo Comune degli Appennini, più tardi è segretario a Urbania dove rimarrà per 36 anni, fino al 1849, e dove sposerà Carolina Cionini. Nell’Archivio segreto del Comune con la convivenza e la direzione dell’Ugolini tenevano riunioni i Carbonari del  luogo: dai documenti sappiamo che

  l’Ugolini prima è stato carbonaro quindi mazziniano e affiliato alla Giovine Italia". Nel 1831, scoppiata la rivoluzione in Emilia, anche Urbania insorge con a capo l’Ugolini inneggiante al tricolore, ma poi egli paga assai caro tale slancio quando viene ristabilito l’ordine nello Stato Pontificio: dopo qualche giorno di prigione, tre anni di lavoro senza remunerazione è la pena inflittagli. In questo periodo nascono i primi scritti: Cinque discorsi sulla libertà dei Comuni dello Stato Pontificio (Cagli 1846) e Vocabolario di parole e modi errati (Urbino 1848). Nel 1848 aderisce alla Repubblica Romana: si presenta come candidato alle elezioni per la Costituente, viene eletto ed ha l’incarico dell’Uditorato dei  Triumviri: il primo luglio del ‘49 la Repubblica viene soffocata, le truppe francesi entrano a Roma e  l’Ugolini ripara in Toscana presso Sestino poi ad Arezzo. Qui non potrà avere un lavoro per divieto del Granduca che non voleva fastidi con lo Stato   Pontificio. Le condizioni familiari

Filippo Ugolini

   di Ugolini sono disperate: nel 1852 la moglie muore in Urbania di crepacuore lasciando ben sette figli. Si trasferisce poi a Firenze dove si fermerà esule fino al 1860 e darà alle stampe la sua opera maggiore: Storia dei Conti e dei Duchi di Urbino; è questo il periodo della maturazione del pensiero dell’Ugolini che frequenta il circolo Viesseux e ristampa il suo vecchio vocabolario. Finalmente dopo i noti avvenimenti che porteranno all’unità nazionale, nel 1860 può tornare a Urbania dove il 10 settembre presenzia alla proclamazione dell’Unione al Regno d’Italia. Viene nominato Provveditore agli Studi di Pesaro e regge quell’Ufficio per tre anni, fino alla morte sopraggiunta il 9 gennaio 1869.

 

Ottaviano Dolci

Ottaviano Dolci (Casteldurante 1480 ca.1565 ca.) fu indirizzato all’arte dal padre come stuccatore, disegnatore di maioliche e scultore, rendendosi indipendente nella bottega presa in affitto nel 1512 da Biagio di Francesco. Da quella data ebbe inizio la sua intensa attività artistica della quale resta un prodotto nella statua in terracotta policroma della Madonna seduta adorante il Bambino sulle ginocchia nella chiesa di S. Maria d’Acquanera di Frontone, firmata e datata 1518, opera certa che fa attribuire al Dolci altre due statue: quella in terracotta policroma della Madonna seduta col Bambino nella chiesa del Corpus Domini di Urbania e la sua replica scolpita in legno e dipinta nel Museo Bandini di Firenze. Dal 1533 fu al servizio dei Duchi di Urbino, che lo incaricarono di disegnare o fare il plastico dei confini tra il Ducato di Urbino e la Repubblica di Firenze, di Sestino e, nel 1558, di Casteldurante e Sant’Angelo in Vado. In tale anno sono registrati i pagamenti per la pittura degli stemmi, dei cibori e delle colonne eseguiti in occasione delle esequie della Duchessa Eleonora Gonzaga, nonché per fregi e stemmi rovereschi. Gli sono attribuite le sperimentazioni in ceramica della formula del colore rosso, inusitato ai maiolicari durantini, dopo averlo appreso nella grande bottega di mastro Giorgio Andreoli. Liti e vertenze giudiziarie che costellarono la vita del Dolci, lo portarono ad indebitarsi e nel 1558 in carcere; nel 1565 risulta morto. Dalla moglie Pantasilea ebbe i figli Bernardino, Pierfrancesco, Luzio e Gentile, madre del pittore e maiolicaro Agostino Apolloni.

 

Lucio Dolci

Lucio Dolci (Casteldurante primo quarto XVI sec. - 1591) ebbe la sua prima educazione artistica nella bottega del padre Ottaviano ma in lui sono presenti tendenze talmente varie da far ritenere che ben presto, probabilmente nel 1541, lasciò la casa paterna per seguire a Roma il concittadino Giustino Episcopi, chiamato a lavorare con Taddeo Zuccari e con Perin del Vaga. Da quella data le sue opere risultano infatti legate a quelle dell’Episcopi con il quale dipinse nel 1558 la grande tavola della Pentecoste per la Cattedrale di Urbania, che rivela evidenti influssi raffaelleschi, e gli affreschi intorno, andati distrutti nel XVIII secolo. Subito dopo, con il collega, accettò la commissione dell’opera pittorica nella chiesa di S. Chiara, dove affrescò a tempera il padiglione con il Paradiso, compiuto nel 1560. È tradizionalmente attribuito all’artista anche un dipinto attualmente conservato nella Sala Consiliare del Municipio di Urbania raffigurante una Madonna con Bambino, datato 1569. Circa un decennio più tardi (1571) il Comune affidò a lui e al nipote Agostino Apolloni l’incarico di erigere la statua di Ercole nella piazza in occasione delle nozze di Lucrezia d’Este con Francesco Maria II della Rovere. Oltre alla produzione pittorica, favorevolmente considerata dalla critica, (sue opere si trovano a Pesaro, Urbino, Rimini, Città di Castello, Cagli), importante fu la sua pregevole attività di stuccatore, documentata dalla decorazione della chiesa durantina di Santa Caterina. Non si conoscono opere in maiolica firmate dall’artista, anche se i documenti archivistici locali lo presentano in età avanzata con l’appellativo di "vasarius".

 

Giustino Salvolini (detto Episcopi)

La pittura dell’Episcopi (Casteldurante not. 1527 - 1609) si caratterizza per un’adesione ad un’area culturale di più vasto respiro che riporta ai due illustri vadesi Zuccari, soprattutto a Taddeo, con il quale, secondo le fonti, collaborò a Roma, riportandone un’apertura di orizzonti che lo solleva al di sopra dell’atmosfera

 provinciale. Della sua produzione nella capitale gli sono state assegnate alcune Storie di San Paolo a Castel Sant’Angelo, dove, secondo alcuni, sarebbe stato collaboratore di Perin del Vaga nell’impresa della decorazione della Sala Paolina. Allievo di Raffaellino del Colle, l’Episcopi, che collaborò anche alla decorazione della Villa Imperiale di Pesaro, si configura come un vero trait d’union tra la grande stagione manieristica a metà del secolo e quella terminale. La sua pittura, che si pone in logica continuità con quella del maestro al punto da mettere in discussione l’attribuzione di alcuni interventi ascritti a Raffaellino nella Villa Imperiale, è caratterizzata da un’esagitazione motoria delle figure e delle capigliature, probabile derivazione dal fare di Pellegrino Tibaldi (1527-1596) che incontrò verosimilmente durante il soggiorno romano. La sua attività fu molto fervida: la critica gli attribuisce una Pentecoste dipinta con il Dolci per la cattedrale di Urbania, una Adorazione dei Magi nella chiesa di San   Francesco, la Madonna con Bambino e Santi nella chiesa

La pentecoste

La pentecoste

   dell’ospedale della stessa città, la Lapidazione di S. Stefano nell’omonima  chiesa di Piobbico, datata 1570, e l’affresco con l’Ascensione nella chiesa di S. Chiara a Urbania, opera realizzata in collaborazione con il Dolci. Nella città natale si dedicò anche a lavori in maiolica secondo la tradizione della scuola di Casteldurante. L’ultimo periodo della sua vita fu piuttosto amareggiato da vicende avverse, l’ultima delle quali gli fu procurata all’inizio del 1600 dal giovane pittore Giorgio Picchi, che tentò di distruggere i suoi affreschi nella chiesa di S. Chiara. Durante il processo subito dal Picchi emerse tuttavia la grande stima mostratagli dalla popolazione.

 

Giorgio Picchi

Non si conosce con precisione né la data né il luogo di nascita di Giorgio Picchi, ma in base all’affermazione della quasi contemporanea cronaca di Flaminio Terzi che lo dice morto intorno ai cinquant’anni, si può ipotizzare la sua nascita tra il 1550 e il 1560. Se non è addirittura nato a Roma, il Picchi, discendente da un’importante famiglia di maiolicari durantini, ci trascorse con ogni probabilità la sua prima giovinezza, dato che il padre vi si era trasferito e vi aveva aperto una bottega. La sua prima formazione, ignota, deve essersi svolta oltre che su testi zuccareschi, su quelle varianti della Maniera caratterizzate da forzature espressionistiche. Nel 1582 Picchi è presente a Urbania, come dimostra la sua prima opera nota, l’Immacolata Concezione nella locale chiesa di San Francesco che già 

Martirio di S. Lucia

Giorgio Picchi, Martirio di S.Lucia (Chiesa dei morti).

denota quella  predilezione per le tinte chiare e vivaci che caratterizzerà, con note sempre più acute, tutta la sua produzione. Alla più convenzionale sosta rappresentata dall’Adorazione dei Pastori, sempre nella chiesa di San Francesco di Urbania, firmata e datata 1586, e allo scoperto baroccismo della Circoncisione nella omonima chiesa a Mercatello, Picchi sostituisce nell’Ultima Cena della chiesa del Corpus Domini di Urbania una più individuata grinta stilistica che si evidenzia nell’uso del colore, corposo e squillante, nel piglio caricato e popolaresco dei personaggi e nel gioco degli effetti luminosi. Tre anni dopo Picchi è di nuovo a Roma dove, secondo quanto documentato nel processo del 1601, entra a far parte della schiera di artisti marchigiani attivi nelle imprese decorative per papa Sisto V, anche se non è stato ancora identificato nulla di questi interventi romani; manca quindi la possibilità di seguire per

Re David

Giorgio Picchi, Re David

      alcuni anni lo sviluppo del maestro che, per altro, quando ricompare in zona adriatica, mostra un ulteriore rafforzamento del proprio inconfondibile stile, che darà di lì a poco le sue espressioni più compiute nel ciclo di Storie di San Marino, del 1595, nell’omonima chiesa di Rimini. Nella medesima città aveva eseguito una Madonna della cintola andata dispersa; fu attivo anche nella parrocchiale della vicina Mondaino. Lo stesso ritmo pervade anche il Miracolo della Vera Croce nella chiesa di Santa Croce di Mercatello sul Metauro, mentre nelle opere successive il Picchi, che muore nel 1605, sembra ripiegarsi su modi più moderati, specie negli affreschi, caratterizzati da una sommessa gamma di toni pastello e da una costruzione più semplificata.

 

Guido Cagnacci

Luogo di origine dei Cagnacci è Casteldurante, dove il padre di Guido esercitava per tradizione familiare il mestiere di pellicciaio. Trascorsa l’infanzia a Sant’Arcangelo di Romagna, dove nacque nel 1601 e dove dette i suoi primi saggi pittorici, il ragazzo fu mandato a Bologna per imparare l’arte della pittura. L’ossequio nei confronti di Ludovico Carracci, mediato attraverso il Guercino ed espresso in termini comunque molto personali, risulta il tratto meglio apprezzabile dello stile del pittore alla vigilia del suo trasferimento a Roma. A quest’epoca risalgono il S. Marco, la Vocazione di San Matteo (entrambi nella Pinacoteca di Rimini) e il San Giovannino (Parigi, Louvre), esercitazioni su modelli caravaggeschi. Al 1630 è databile la pala con i Santi Carmelitani (Rimini, San Giovanni Battista), in cui i richiami al caravaggismo hanno già subito una personale rielaborazione alla luce di modi guercineschi. Nel 1631 si trasferì poi a Rimini con la famiglia nel borgo di San Bartolomeo,  presso il convento dei frati di San Giovanni Battista. Del 1635 è una pala firmata e datata raffigurante il Bambino Gesù fra i SS. Giuseppe ed Eligio (Sant’Arcangelo, Collegiata), commissionata dalla  Confraternita dei Falegnami e dei Fabbri. L’incontro con il Reni deve essere avvenuto poco prima dell’esecuzione di questa pala,  improntata ad un forte caravaggismo ma vicina al Reni nella figura di Sant’Eligio. Nel 1637 dipinse la Maddalena per le monache benedettine di Santa Maria Maddalena ad

Maddalena Penitente

Maddalena Penitente

 

       Urbania, suo caposaldo stilistico. Nel biennio 1642-43 si trovava a Forlì, incaricato dalla Confraternita dei Battuti Bianchi e Bigi di eseguire due grandi quadri (Forlì, Pinacoteca) raffiguranti la Gloria di San Valeriano e la Gloria di San Mercuriale, protettori della città, da collocarsi in Duomo, nella tribuna della cappella della Madonna del Fuoco. Il soggiorno forlivese culminò nella commissione della decorazione della cupola di S. Maria del Fuoco in Duomo, mai condotta a termine (1642-43). Considerando i caratteri fiorentini presenti nelle sue opere attorno al 1645, si può ritenere che compì un viaggio in Toscana negli anni immediatamente successivi. Dopo un probabile periodo trascorso a Bologna, il Cagnacci si recò poi a Venezia dove rimase un decennio e dove apri anche una scuola di pittura. Nel 1660 si trovava a Vienna su invito di Leopoldo I e morì in tale città nel 1663, dopo aver realizzato altre opere importanti. Il tracciato dell’attività dell’artista si svolge dunque lungo un quarantennio in centri molto diversi tra loro e permette di evidenziare che Guido Cagnacci rivestì un importante ruolo non solo locale, ma europeo entro il solco del naturalismo seicentesco.

 

 

Tommaso Amantini

Maiolicaro e scultore, fu dapprima discepolo di Francesco Bertoccini, passando poi alla scuola del pittore Federico Gioia di Borgo San Sepolcro. Nel 1642 aprì una fabbrica di maiolica a Casteldurante ma nel 1648, alla morte del padre, si recò a Roma per dedicarsi alla scultura, entrando nella bottega di Ercole Ferrara, aderendo così ai dettami del barocco romano.  Artista notevole, eseguì, in collaborazione con  il milanese  Francesco Agustone, i lavori a stucco nella Cattedrale di Osimo e, nell’Oratorio di Santa Croce di Urbino, le statue dei Profeti David e Giona (la cui impostazione risulta meno articolata rispetto ai Profeti realizzati per la chiesa di Santa Caterina di Urbania) e quella del Cristo morto posta sotto l’altare, opera che riecheggia un

Il profeta David

Il profeta David

 

 modello iconografico molto diffuso, realizzato nella stessa città dal Bandini (tra il 1590 e il 1597) nella Pietà dell’Oratorio della Grotta. Della sua attività vi sono testimonianze anche a Fossombrone dove realizzò, assieme ai suoi allievi, una pregevole decorazione a stucco a San Filippo, che presenta evidenti similitudini con quella effettuata per la chiesa di San Giovanni Battista a Jesi. L’Amantini fu molto operoso anche ad Ascoli Piceno dove, nella chiesa di S. Maria delle Vergini (oggi scomparsa), lavorò in stucco il fastoso altare maggiore, di notevole effetto e molto lodato dalla tradizione critica locale. Da documenti d’archivio risulta che nel 1663 eseguì per la stessa città l’ornato dell’altare laterale alla sagrestia nella chiesa dell’Angelo Custode, una delle più pregevoli costruzioni barocche ascolane. Nel 1669 si impegnò poi a decorare la chiesa di San Filippo Neri (in seguito demolita), opera che venne  perfezionata da Domenico e Marco Capobianchi a causa dell’improvvisa partenza dell’Amantini da Ascoli. Un piccolo capolavoro è poi costituito dal rilievo in terracotta patinata con la Madonna col Bambino del Vescovado di Urbania, firmata, che lo mostra capace di cogliere in modo sorprendente i caratteri del barocco romano, piegandoli ad effetti di originale delicatezza. Nel 1675 la Compagnia del SS.mo Crocifisso di Urbino, detta "della Grotta", gli commissionò di lavorare in terracotta un bassorilievo rappresentante la Natività, opera che non poté ultimare per l’improvvisa morte, avvenuta nel 1676.